Stress e percezione del tempo
– di Roberto Vacca
Il tempo ritaglia (in secondi, minuti, ore, giorni) il flusso continuo della
realtà che viene, però, spezzettato drasticamente quando subiamo un trauma.
“Trauma” in Greco è “ferita”; nelle lingue moderne, oltre ai danni fisici, indica
risposte emotive a stress singoli o ripetuti più intensi del normale e ardui da
sopportare. È una forma di intelligenza che ci protegge. Un trauma, se non siamo
riusciti a integrarlo, ci estranea dal presente: una parte di noi resta nel passato e
vediamo il mondo attraverso un ritardo temporale cumulativo.
Il trauma influenza la memoria esplicita: quella semantica (nomi, luoghi)
e quella episodica (cosa è successo, a chi, dove, perché e come). Influenza anche
la memoria implicita, emotiva. In conseguenza possono essere disturbati i
normali processi di registrazione mentale che funziona, quindi, in modi
frammentari e disorganizzati.
Gli stimoli esterni causano risposte neurochimiche, cioè sequenze di
eventi molecolari che modificano lo stato delle sinapsi nervose, ne creano di
nuove e attivano l’espressione di geni e la sintesi di nuove proteine. Anche in
situazioni normali, vengono eliminate informazioni non necessarie e vengono
aggiunte nuove informazioni a ogni pacchetto temporale; l’esperienza soggettiva
include il riconoscimento di configurazioni, sentimenti, emozioni e pensieri.
Tutti questi elementi producono tracce nella memoria a breve termine in
una scala temporale di decine di secondi organizzata dai neuroni dell’ippocampo
utilizzati anche per la registrazione delle percezioni spaziali oltre che temporali.
Queste ultime implicano anche altre regioni cerebrali preposte a consolidare
esperienze e informazioni dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine
coinvolgendo i vari strati della neocorteccia cerebrale che include circa il 90 %
della superficie del cervello umano.
Le memorie, inoltre, sono “plastiche”, cioè possono essere modulate o
modificate da nuove informazioni o da esperienze, anche traumatiche, in tempi
successivi agli eventi originali. In presenza di un trauma i processi descritti
possono essere alterati nel senso che immagini, relazioni e sequenze di dati
vengono ritenute nella mente in modo incompleto o secondo scale di tempi del
tutto diverse da quelle originali.
Si parla, quindi, di disturbi da stress post-traumatico (in inglese PTSD –
Post-Traumatic Stress Disorder). Gli stress sono causati da incidenti, situazioni
personali difficili, stupri, ferite, malori e da gravi rischi corsi. Fra questi, l’essere
bersagliati dal fuoco nemico. Si parlava di “shell shock” (shock da granata o
nevrosi di guerra) nella Prima Guerra mondiale. Dapprima chi ne era affetto fu
accusato di codardia e talora fucilato; nell’esercito tedesco i militari stressati
venivano puniti e talora sottoposti a “cure” pesanti e inefficaci come
l’elettroshock.
Scoraggiare o punire la discussione dei traumi di guerra priva di
supporto le persone colpite e può aggravare lo stato e le sofferenze di chi ne sia
affetto, che nei primi anni del secolo scorso veniva anche chiamato “scemo di
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guerra”. I sintomi presentati (oltre a distorsioni delle date che vengono alterate e
imperniate sui fatti drammatici più rilevanti e decisivi) sono: insonnia, incubi,
memorie intrusive, flashback che convincono il paziente di essere tornato
indietro nel tempo producendo reazioni fisiche intense come attacchi di panico
scatenati da stimoli che rievocano il trauma originale e la sensazione di essere
tenuti in ostaggio dal proprio sistema nervoso.
Per rimediare a questi disturbi si ricorre a esercizi di focalizzazione
della vista (ancora in fase di sperimentazione) e a una terapia cognitiva-
comportamentale. Con questa, elaborata da D. Meichenbaum e A.Beck, il
terapeuta evidenzia al paziente i suoi pensieri negativi, le emozioni disfunzionali
e i comportamenti disadattativi aiutandolo a eliminarli. Ciò viene fatto con un
approccio sperimentale riflettendo sull’evidenza empirica con tecniche analoghe
a quelle delle scienze naturali. Il paziente è indotto a vedere sé stesso in modo
positivo, impara a risolvere problemi, a prendere decisioni e a ristrutturare le sue
conoscenze. Solo nei casi più gravi si ricorre all’aiuto di psicofarmaci.




