N543, Margherita Merzagora_Milano
Finalista Premio Energheia 2025 – sezione adulti
“Lo sai che quando sento questa canzone penso a te?”
Nina solleva appena la testa dalla spalla di Davide e lo guarda negli occhi, come se stesse cercando un po’ d’ironia in quella frase fuori contesto.
Poi alza lo sguardo alla fermata, sul marciapiede si è radunata una folla di gente in attesa del mistico autobus che li accompagnerà il più vicino possibile ai loro letti. Loro due sono gli unici seduti sul bordo della banchina, una cuffia a testa, le menti grondanti di domande che non avranno mai il coraggio di fare. Entrambi si chiedono se anche l’altro sta pensando a quello che stava per capitare alla festa, cocciutamente decisi a non proferirne parola per primi.
Non possono farlo. Non possono parlarne ad alta voce.
“È troppo tardi per fare questi discorsi.” Risponde assonnata Nina, riappoggiando la testa sulla sua spalla.
“Da quando in qua le tre e mezza per te è troppo tardi.”
“Io infatti sarei rimasta a ballare, sei tu che te ne sei voluto andare.”
“Potevi rimanere con gli altri se volevi,” ribatte scocciato Davide, controllando sul telefono se il tempo d’attesa dell’autobus è aumentato ancora. Sbuffa, non sorpreso nel leggere un numero più alto di quanto si aspettava. Nina nota la sua reazione aprendo un occhio di sbieco. Ma che fretta ha? Lei starebbe in quella posizione per sempre, se potesse.
“Sì, bravo, così mi toccava tornare fino a casa da sola. Che gentiluomo.”
Davide osserva l’ennesimo autobus arrivare, neanche stavolta quello che li porterà nella direzione giusta. Sbuffa ancora.
“Girami una sigaretta, così almeno arriva.”
Il ragazzo sorride di sottecchi, tirando fuori il tabacco.
“Perché invece non impari a girartele da sola?”
“Perché vorrebbe dire ammettere che ho ripreso a fumare.” risponde Nina, gli occhi sempre chiusi, come se fosse ovvio.
“Guarda che anche se mi scrocchi dieci sigarette al giorno significa che hai ripreso a fumare,” ridacchia Davide, leccando la cartina trasparente.
Nina apre gli occhi, si gode quel banale scambio di promesse, di vizi condivisi. Indugia un po’ prima di prendere la sigaretta, sfiorando le dita di Davide.
La infila tra le labbra socchiuse, in attesa del
“A che cosa stai pensando?”
Nina è indecisa se mentire, non è mai stata brava a farlo. E l’alcol che ha in corpo le impedisce di ragionarci troppo su, come fa di solito.
“Mi chiedevo quale strofa di questa canzone ti faccia pensare a me.”
Il ragazzo tossicchia fuori il fumo della sigaretta che si è acceso a sua volta. Nina lo guarda divertita, gli fa quasi tenerezza, così decide di andare in suo soccorso.
“Te ne sei accesa una anche tu così l’autobus arriva prima?”
“Geniale, vero?”
Una luce abbaglia la strada davanti a loro. Entrambi alzano di poco la testa, per poi riabbassarla di fronte a un numero diverso da quello che aspettano.
Nina osserva i suoi coetanei salire sul mezzo di trasporto. Con le loro vite da fuori sede, così diverse e così simili alla sua. Guarda due ragazzi ridere e spingersi prima di salire insieme. Chissà se anche loro non si dicono le cose. Chissà se anche loro non vogliono andare a letto. Chissà se anche loro desiderano qualcosa così tanto da averne paura, al punto da restare immobili, sospesi tra ciò che è noiosamente giusto e ciò che è irresistibilmente sbagliato.
“Non sta funzionando molto bene.” Commenta acida, guardando il mezzo sfrecciare nella via buia e sbuffare fuori il fumo nell’aria tiepida.
“Già.”
Parte un’altra canzone alle cuffie. Nina dopo le prime note soffoca una risata.
“Che c’è?”
“No è solo buffo, questa canzone stava suonando quando siamo andati via.”
Nina dosa molto bene le parole, scegliendo di dire “quando siamo andati via” per non sottolineare, come vorrebbe tanto, che è stato lui a scappare.
“Ah sì?”
Perché gli uomini non fanno caso a queste cose importanti? Perché la vita non può essere come quella di un film? Con la colonna sonora perfetta a sottolineare ogni piccolo gesto di una persona, rendendolo diecimila volta più importante. Perché le persone non ci dicono mai quello che vogliamo veramente sentirci dire?
“Poi giù al bar dove ci si ritrova, nostra alcova, era tanto potere parlarci, giocare a guardarci, tra gli amici che ridono e suonano attorno ai tavoli pieni di vino…” canticchia a bassa voce Nina, domandandosi se anche lui si sia reso conto che Guccini sta parlando di loro due.
Davide tentenna un attimo, ma non poi così tanto. Si alza in piedi, beccandosi un’infastidita occhiataccia dal basso da Nina. Le porge una mano con fare teatrale. Lei lo guarda senza capire.
“È stato interrotto un ballo… non sia mai deludere la ragazza più permalosa di Roma.”
Nina gli fa una smorfia, poi si alza. Davide la trascina giù dal marciapiede, inizia a ballare con lei in cerchio nella corsia preferenziale degli autobus.
Nina trattenere a stento una risata, non può fare a meno di pensare che quella scena osservata dall’esterno, senza musica, sembra tutto fuorché romantica.
No. Via, vai via. Parola maledetta. Esci dalla mia mente.
Come e quando si era accorta che la vicinanza dei loro corpi la faceva stare bene, lei non sapeva dirlo. Forse era stato il modo in cui Davide riempiva gli spazi senza mai ingombrarli. Forse erano i bigliettini che lasciava sul tavolo della cucina per dirle che aveva bevuto il suo latte a colazione perché aveva fatto scadere il suo, per l’ennesima volta. O forse era tutto quello che non le aveva detto, accumulato in mesi e mesi, che ora faticava a rimanere placato sotto lo strato di parole e azioni appropriate che dovevano sostituire quelle vere.
Nel momento in cui Nina trova il coraggio di guardarlo negli occhi, gli occhi più sorridenti che lei abbia mai visto, di quelli che creano un esercito di rughe intorno al taglio esterno dello sguardo, si rende conto che anche lui fugge ogni contatto visivo. Sorride, e come sorride, ma sembra stia lottando con tutte le sue forze per non guardarla.
Non farmi così male. Io penso di essere forte, mi vanto tanto di esserlo, ma non lo sono. Sono debole come il bicchiere che hai scheggiato l’altro giorno, e che è ancora appoggiato sul bancone della cucina. Perché non l’hai buttato via? Se ti vuoi prendere cura degli oggetti rotti, ci sono io.
Un fascio di luce abbagliante diretto verso di loro li acceca e li risveglia
Eccolo. L’autobus notturno N543, il loro salvatore, o l’ennesimo rinvio di quel momento che non arriva mai.
Quante cose avrebbero potuto dirsi in quel viaggio condiviso, quante cose sarebbe stato necessario dirsi. Per capirsi meglio, per conoscersi meglio. E invece finivano sempre per ascoltare le canzoni di Guccini, fumare e parlare del nulla. Ma sì, tanto Nina ha sonno, le fa male la schiena, vuole andare a letto. Non fa niente.
Mentre le luci si avvicinano sempre di più, e la gente intorno a loro esulta per l’arrivo dell’autobus, ormai atteso con la devozione riservata al ritorno del Messia, Nina non riesce a trattenersi.
“É stato interrotto ben altro che un ballo stasera,” gli sussurra prima di spostarsi sul marciapiede con un passo all’indietro, trascinando anche lui per permettere all’autobus di fermarsi a pochi centimetri da dove si trovavano un attimo prima. Gli autisti romani non vanno mai sottovalutati. Non conoscono bene né il concetto di freno, né i marciapiedi.
Davide aggrotta le sopracciglia, spaesato. Apre la bocca per dire qualcosa, ma la folla di gente inizia a spingere. Raramente Nina ha visto il terrore, quello vero, da vicino, se non negli occhi dei romani che temono di non riuscire a salire su un mezzo pubblico.
“Non entreremo mai.”
Nina lo guarda. Non vorrebbe salire, vorrebbe rimanere lì seduta su quel marciapiede per sempre. A giocare a non dirsi le cose.
“Sì che entriamo.” Gli afferra la mano e lo trascina avanti, senza paura di tirare spallate a chi è troppo lento o timido per entrare per primo. Non senza fatica, riescono a salire sull’autobus, ma nella confusione generale un gruppetto di persone ancora eccitate dalla serata si mette in mezzo, interrompendo il loro contatto e separandoli di qualche metro. L’unica cosa che li tiene ancora uniti sono le cuffie senza fili, una ciascuno, con la musica che continua a suonare solo per loro.
Si scambiano un leggero sorriso divertito, poi Davide socchiude gli occhi.
“Che cosa intendevi prima?”
“EH?” Il frastuono dell’autobus non è esagerato, ma abbastanza alto da costringere la conversazione ad alzarsi di qualche decibel.
“Cosa intendevi prima?” Lui è alto, ma Nina a malapena lo vede tra le teste del gruppo che li separa.
“Prima?”
“Prima.”
“Prima quando?”
Davide sospira, “prima in strada.”
“Che ho detto?”
“Lo stai facendo apposta?” Davide socchiude di nuovo gli occhi indispettito.
“Io?” Ribatte Nina, alzando le sopracciglia. Ma lo sa già tutta Roma che non è brava a mentire. Ma non può, non può, non per prima. Mai.
“Perché sei così strana ultimamente?”
La domanda la spiazza. Non è ironica, non è divertita. Sembra scocciato.
“Strana come?”
“Così!” Risponde Davide lascia il palo a cui si sorreggeva fino a un attimo prima per indicarla, ma una brusca frenata lo costringe ad aggrapparsi di nuovo per non finire addosso ai suoi vicini di viaggio. “Anche la frase di prima… è come se volessi dirmi qualcosa, ma non ci riesci.”
Nina inizia ad agitarsi, si guarda intorno, gli altri passeggeri continuano a parlare tra di loro, oppure fanno finta di non sentirli.
“Che coraggio detto da te.” Sbuffa. Parare, parare, parare colpi su colpi, senza sbilanciarsi troppo. Coraggio, lo sai fare, sono mesi che lo stai facendo.
“Hai detto che è stato interrotto altro, oltre un ballo stasera.”
“Lo sai benissimo cosa intendevo.”
Lo sai cosa stavi per fare Davide, perché continui a fare finta di niente. Sei veramente bravo a giocare, se esistesse un premio per il miglior finto tonto lo vinceresti tu.
“Perché deve essere tutto così complicato con te.”
La ragazza guarda altrove, non riesce a trattenersi. “Anche tu lo stai rendendo complicato, Davide.”
Finalmente una frase non spezzata, non lasciata a metà. La pura e semplice verità, per la prima volta dopo mesi. Ma ora ha paura. Ha paura che lo dica ad alta voce, che diventi reale. Che diventi vero. Non è successo veramente, è ancora lì, racchiuso in quella magica cornice senza tempo del tutto e del niente. Dove stanno le cose veramente sbagliate e importanti.
Vede un ragazzo appeso alla maniglia dell’autobus che soffoca una risata. Chissà se voleva solo farsi gli affari suoi e invece si è ritrovato nella loro traiettoria, oppure se un suo amico ha appena detto qualcosa di divertente.
Davide sospira e si guarda anche lui intorno, i denti stretti, leggermente imbarazzato. “Non credo che questo sia il luogo e il momento più adatto per avere questa conversazione.”
Il telefono vibra nella tasca di Nina. La ragazza lo tira fuori, legge la notifica del messaggio, “buonanotte amore”, e il suo sguardo triste si sofferma sul cuore rosso alla fine della frase
Nina alza gli occhi per guardare Davide, sta mandando un audio a bassa voce, ma lei riesce a sentire quelle poche parole che bastano a provocarle una punta di gelosia nello stomaco. “Ti scrivo domani mattina quando mi sveglio, sarà tardi, notte amore…”
Nina guarda fuori dal finestrino, voltando la testa, con una sensazione di nausea che le attanaglia le viscere.
“Non sarà mai il momento giusto.”
Davide alza lo sguardo su di lei, senza dire niente. Ha uno sguardo pensieroso, affranto.
“Nina ti prego, è tardi, siamo ubriachi…”
“É questo il problema? Non usciamo più insieme allora.”
“Ce l’hai con me vero?” Alza la voce Davide, irritato. Adesso qualche testa si gira davvero verso di loro, non è più nella testa di Nina. “Ho detto qualcosa di male? Se l’ho fatto perché non me lo dici e basta così la finiamo con questo teatrino?”
“Scusa.”
“Cosa?”
“Mi hai chiesto scusa.” Sbotta Nina, alzando la voce a sua volta, la musica nell’orecchio destro la infastidisce, ma la canzone suona solo per loro. L’unica cosa che li sta tenendo legati in mezzo a quella folla. Davide la guarda in silenzio.
“Mi hai chiesto scusa quella mattina, e mi hai chiesto scusa ancora stasera, dopo che stava per succedere di nuovo. Basta con le scuse, non ne posso più! Sono mesi che non fate altro che chiedermi scusa. Tu, Lorenzo, tutti. O fai le cose o non le fai, non ti fermi a metà, nel punto più sbagliato in cui potrebbero essere, e chiedi scusa, come se fosse un magico salvataggio che cancella tutto. Così lo hai reso uno sbaglio. Hai reso me sbagliata.”
L’ultima frase quasi la sussurra, guardando da un’altra parte.
Eccola di nuovo, quella fitta insopportabile che da mesi la accompagna nella sua avventura romana senza una data di scadenza. Il senso di colpa.
Si deve sentire in colpa ogni volta che al tavolo di un bar insieme agli amici comuni i loro sguardi si incontrano e si agganciano per più di mezzo secondo.
Si deve sentire in colpa quando i loro corpi sono vicini, e non può fare a meno di domandarsi che cosa pensi lui di quella vicinanza.
É come la sabbia nelle scarpe dopo una giornata al mare. All’inizio ti sembra di poterla scrollare via facilmente, ma poi torni a casa e te la ritrovi ovunque: tra le lenzuola, nelle tasche, nelle scarpe. E anche dopo la doccia, sfregando la pelle, la sensazione di averla ancora addosso rimane.
Davide la fissa con uno sguardo indecifrabile. Poi volta la testa verso il finestrino.
“La prossima è la nostra.”
Allunga la mano tra la folla, tesa verso di lei. Nina la guarda per un istante, indugia. Quante altre cose non saranno dette. Quante altre cose non saranno fatte. Accetta la presa salda che la tira verso di lui in mezzo alla folla. L’autobus N543 inchioda nel viale. Le porte si aprono. Saltano giù dall’autobus e iniziano a camminare spalla a spalla verso casa. Le saracinesche serrate, i muri tappezzati di stampe e manifesti di iniziative sociali e serate di slam poetry.
Rimangono in silenzio, dividendosi l’ultima sigaretta della serata. Le bocche troppo secche e i polmoni troppo appesantiti per concedersene una a testa.
“Vuoi sapere quale strofa di quella canzone mi fa pensare a te?”
“Sentiamo.”
“Tutte.”




