I racconti del Premio letterario Energheia

L’ultima goccia di Marco Caneva, Lissone(MB).

_Racconto finalista ventiduesima edizione Premio Energheia 2016

mare-Ehi, Pietro! Esci in mare anche stasera? Và che hanno previsto brutto tempo-
-Ciao Michele. Si lo so ma… saranno due gocce, vedrai. E poi… e poi che ci vuoi fare, è necessario qualche sacrificio per arrivare alla fine del mese…-
-Aspetta domani almeno, le previsioni dovrebbero migliorare… Dai fermati qui al bar, che ci facciamo qualche sorso di bianco e guardiamo la partita!-
-Ti ringrazio ma oramai ho già preparato gli attrezzi e mi sono bardato di tutto punto, cosa vuoi che faccia un po’ di pioggia, un paio d’ore e sarò di ritorno…-
Michele fece l’ultimo tiro di sigaretta prima di buttare il mozzicone a terra. Piegò le labbra in un sorriso sarcastico.
-Come vuoi Pietro… sempre il solito vecchiaccio testa dura eh? Vabbé, io rientro, che la partita sta per cominciare. Buona pesca, ci vediamo domani in giro. Stai attento-.
Pietro rispose con un cenno della testa e si avviò con passo ancor più risoluto verso il porticciolo del piccolo paese.
Michele era un bravo ragazzo, di compagnia, un poco pigro forse, ma anche un gran scocciatore, se ci si metteva. Quando cominciava a parlare poi non la piantava per tutto il tempo e a Pietro quella sera proprio non andava di fare chiacchiere. Tra gli abiti e l’attrezzatura da pesca ci aveva messo un po’ a prepararsi e, se aveva deciso di uscire, di certo non bastava un perditempo qualsiasi a fargli cambiare idea.
“Vecchiaccio testa dura”. Chissà perché lo chiamavano sempre così, quando voleva semplicemente fare a modo suo. Se prendeva una decisione, cercava di andarci fino in fondo, senza stupidi ripensamenti, tutto qua. Era stato educato così, lui, cresciuto nei difficili anni del dopoguerra, in quel paesino ligure incastrato tra due alti costoni di roccia scura. Quando suo padre ordinava una cosa, questa andava fatta, subito. Senza se e ma. Senza rimandare. Non come per i giovani di oggi. A loro basta una stupida partita di calcio in tv, o un semplice temporale, per rimandare ogni impegno al giorno dopo.
A dire il vero, Pietro sapeva che quella sera il tempo non si sarebbe aggiustato. Era da qualche giorno ormai che dense nuvole si erano posate sulle colline nell’entroterra e pareva che ci si trovassero così bene da non voler più andarsene. L’abbondante pioggia autunnale aveva inzuppato i terrazzamenti coltivati e fatto cadere dagli alberi le ultime foglie ingiallite. La radio, nel pomeriggio, aveva annunciato che quella sera ci sarebbe stato il gran finale.
-Intensificazione della perturbazione numero tre del mese. Piogge intense. Forti raffiche di vento da Nord Ovest. Mari da mossi a molto mossi-.
Ma a Pietro poco importava. E poi erano già due sere che non stava bene ed era stato costretto a starsene rintanato in casa, senza poter uscire a pescare. Ultimamente soffriva di attacchi di febbre che gli causavano grande debolezza ma la pensione che riceveva bastava al massimo per tre settimane. Così, se voleva trovare i soldi per mangiare dignitosamente anche negli ultimi sette giorni del mese, doveva darsi da fare. Fino a poco tempo prima, quando stava ancora bene, Pietro usciva tutte le sere, sabato e domenica esclusi, per qualche ora di pesca. In tre, quattro ore,
pescava abbastanza pesce per sé e per rivenderlo la mattina seguente ai pochi ristoranti del paese. Con quel lavoro pagava qualche bolletta e poteva permettersi anche le sigarette. Fumava da cinquant’anni le Merit, quelle a buon prezzo, mica le più famose marche americane, davvero care. Pietro era un uomo semplice, a lui piaceva essere così. Lavoro e sacrificio. Duro dentro e duro fuori, come quelle rocce nere che spaccavano in due la valle dove era sorto il paese. Gli bastava solo fumare e leggere qualche libro di avventure che prendeva in prestito alla biblioteca in città.
E il mare. Avrebbe potuto fare a meno anche dei libri, persino delle sigarette, ma mai del mare. Ah si, quella era la sua vera passione. Di più. Il mare era la sua vita.

Nella brutta stagione le viuzze del piccolo borgo erano sempre deserte e la sera era difficile fare incontri, soprattutto con un tempaccio come quello. Purtroppo gli scocciatori come Michele, in quanto tali, apparivano sempre nei momenti in cui erano meno graditi così, per evitare con sicurezza altre inutili perdite di tempo, Pietro lasciò la strada principale e svoltò in un vicolo che scendeva ripido verso il mare, insinuandosi tra gli spigoli delle case. Conosceva così bene quel tragitto che avrebbe potuto farlo ad occhi chiusi. Dieci gradini e poi una svolta ad angolo retto. Altri gradini e una piccola piazzola. La suola di gomma degli stivali calpestava con cadenza regolare i sassi che formavano lo sconnesso sentiero e diffondeva un suono cupo che rimbombava intorno. La sua ombra, deformata dalle canne da pesca e ingrandita dalle lampade gialle dei lampioni, sembrava quella di un mostruoso ragno gigante e avrebbe spaventato chiunque si fosse avventurato tra i vicoli in quella sera da lupi.
Fortunatamente Pietro non incontrò anima viva e dopo pochi minuti arrivò alla rimessa delle barche, sotto le prime gocce di pioggia. Il cielo, basso sopra la sua testa, era una distesa di grosse nuvole grigie e viola, illuminate a tratti da sfolgoranti saette. Più avanti, oltre la sagoma delle ultime case incrostate, si intravvedeva la sconfinata distesa nera del mare. L’uomo chiuse gli occhi e si fermò per inspirarne il profumo pungente e salato. Rimase così qualche istante, in silenzio. Il rombo delle onde che grugnivano e ringhiavano prima di infrangersi sugli scogli era un suono terribile ma ipnotico e ammaliatore, come il canto di una sirena.
Un tuono improvviso lo fece trasalire. “Avanti, muoviamoci” disse, anche per farsi un po’ di coraggio. Un grosso gatto bianco e marrone sbucò fuori da sotto un cumulo di reti da pesca e attraversò la rimessa emettendo un lungo miagolio di spavento. Le vecchie barche dei pescatori erano lì, schierate in fila ordinata, in attesa di riprendere il largo. Pietro ricordò che il giovane sindaco del borgo, fresco di elezione e proprietario di un negozio di souvenir, si era molto raccomandato con i pescatori di mantenere il piccolo porto in ordine, “dato l’esiguo spazio a disposizione”. Pietro teneva la sua barca sempre in modo impeccabile, senza bisogno di leggerlo sulla bacheca in Comune. Quando tornava dalla pesca caricava la piccola imbarcazione sul carrello e la trascinava a fatica verso la sua postazione. Sistemava le reti piegandole bene, puliva la tolda dai resti di pesce e dal guano dei gabbiani. Al primo momento gli era sembrato ingiusto quell’appello generico “ai pescatori”. Il Sindaco aveva fatto bene a redarguire i giovani, maleducati e disordinati, era ora che qualcuno insegnasse loro un po’ di disciplina. Aveva fatto bene, certo, ma avrebbe dovuto scrivere “escluso Pietro Randazzo”.
-Bah- sospirò, caricando la grossa sacca con gli attrezzi da pesca sulla barca. A volte si rendeva conto che pretendeva troppo dal mondo, dalla gente, dal prossimo. Dopo tanti anni aveva finalmente capito che le persone serie e precise come lui erano davvero rare, e spesso erano persone sole. Persino sua moglie e sua figlia se ne erano andate di casa, una mattina d’estate,
qualche settimana dopo l’ennesima litigata. A Pietro tornarono in mente le fatidiche parole di addio. Fredde e taglienti, come scogli bagnati.
-Ce ne andiamo in città. Lontano da questo paesucolo umido che puzza perennemente di pesce, da queste quattro barche ammuffite, da… tutto- gli disse la moglie. La loro bambina, che ormai bambina non lo era più da tempo, aveva finito le scuole e voleva studiare design all’Università di La Spezia. Avrebbe potuto andarci ogni giorno con la corriera che faceva la spola tra i piccoli borghi della costa, si sarebbe dovuta svegliare presto, ma almeno sarebbe rimasta in paese col suo vecchio e i soliti pochi amici. Invece no, a lei non bastava. Voleva stare tra la gente, andare la sera a ballare, farsi bella dall’estetista, vedere i film al cinema. A Pietro parevano tutte cose inutili e superflue, a volte incomprensibili per la sua mentalità di pescatore. La moglie aveva preso l’occasione al volo, quella stronza, e aveva trovato un bilocale in città per sé e la figlia, sessanta metri quadri con cucinino, al secondo piano. Gli aveva sventolato la piantina sotto gli occhi poco prima di informarlo che nel giro di qualche settimana lo avrebbero salutato.
-Proprio così, Pietro. La ragazza ha ragione, vuole farsi una vita ed io ecco… non voglio lasciarla sola-.
-Ma così lasciate solo me. Tanto lo so che non è dal paese che fuggite, ma da me-.
La donna sbuffò, e spostò lo sguardo verso la finestra.
–Si Pietro, ce ne andiamo anche da te. Io, io… non ne posso più. Sei vecchio dentro, fai sempre e solo le stesse cose, con le tue manie dell’ordine e la disciplina e questo e quell’altro. Io sono giovane… MI SENTO ancora giovane e… e niente, vado con mia figlia-.
-Nostra, figlia- pensò lui, senza dire nulla.
La voce della donna diventò improvvisamente più morbida.
– Pietro, vedrai che è la cosa migliore. Starai bene anche tu. La casa tutta per te, potrai seguire i tuoi ritmi, la pesca, i tuoi orari. Ti verremo a trovare spesso e anche tu verrai in città, perché no, sono solo quindici chilometri, ci divertiremo…-
La frase rimase così, sospesa, senza una fine, come se la moglie si aspettasse una sua conferma.
Pietro invece rimase ancora zitto, seduto sulla seggiola della cucina. Si accese una Merit e cominciò a sbuffare fumo, senza fare nulla. La donna rimase qualche secondo a guardarlo, riprese la sua piantina del bilocale sessanta metri quadri con cucinino e sparì in camera da letto.
Un mese dopo madre e figlia se ne andarono. Da allora, molti anni erano passati. Le rivedeva solo ogni tanto. Tornavano a prendersi qualche borsa, il tempo di un caffè. Telefonavano a Natale.
La luce di un lampo trasformò per un istante la rimessa delle barche in una immagine in bianco e nero. Pietro lasciò da parte i ricordi, caricò le ultime lenze, riempì il serbatoio di benzina e cominciò a spingere carrello e barca lungo la discesa che portava all’ acqua. Ultimamente faceva più fatica, sentiva dolori alle ossa, alle articolazioni delle dita, a volte il peso della barca sembrava moltiplicarsi. Pietro sapeva che un giorno non ce l’avrebbe più fatta. Che sarebbe stato troppo vecchio e malato per pescare. Come avrebbe fatto a quel punto? Il mare per lui era tutto. Il mare era la sua vita.

Quella sera raggiungere il largo fu più complicato del previsto. Appena uscito dal porto, una volta superati i grandi massi frangiflutti, Pietro vide onde oltre il metro e mezzo abbattersi pericolosamente una dopo l’altra sullo scafo della barca, un legno cigolante provato dai tanti anni passati in mare. Chiuso nella piccola cabina e aggrappato al timone, con la potenza del motore al
massimo, il vecchio pescatore cercava di mantenere la rotta. La corrente era forte e deviava la piccola imbarcazione, facendola vibrare tutta. Ormai era troppo tardi e pericoloso tornare indietro. Pietro lottava con tutte le sue forze nella speranza di raggiungere il mare aperto in fretta e di trovare condizioni migliori. La massa d’acqua gorgogliava, bolliva e si contorceva tutta intorno, come mossa da una gigantesca centrifuga. La visibilità era ridotta a causa della pioggia, ora scrosciante, e della schiuma che si sollevava dalla cresta delle onde e impattava contro il vetro della cabina. Man mano che procedeva verso il largo la sua barca si faceva sempre più piccola, fino a diventare un punticino di luce in mezzo al nero assoluto. Il paese, rimasto al sicuro sulle rocce e distante solo qualche miglio, ora pareva ancora più lontano, quasi in un sogno, incerto e sfuocato.
In mare aperto la situazione peggiorò ulteriormente, invece di migliorare, come Pietro sperava. Si chiese se questa volta avesse davvero sbagliato. Forse avrebbe dovuto ascoltare Michele e piantar lì borse e canne, mettersi davanti alla tv del bar con in mano un buon bicchiere di vino bianco e guardare la partita in compagnia. Eh no, troppo facile. Lui non si tirava mai indietro di fronte al dovere. Non lo aveva mai fatto, figuriamoci per quattro gocce.
-Già, quattro gocce- mormorò. Mandò giù un grumo di saliva che gli sembrò denso come mollica di pane. Ancora aggrappato al timone cercò di sporgersi verso il vetro per sbirciare il cielo, come a domandare un po’ di tregua. Una saetta blu elettrico fu la risposta maligna del dio della tempesta. E il tuono seguente la sua voce arrabbiata. Pietro comprese che forse questa volta aveva esagerato. Magari come molte altre. Si era fidato troppo di se stesso, non aveva ascoltato chi cercava solo di consigliarlo per il meglio. Sorrise. Non avrebbe mai pensato che anche Michele, il fannullone del bar, potesse un giorno avere una qualche ragione. E lui non gli aveva dato retta. Chissà quante volte si era comportato allo stesso modo con sua moglie, o con la figlia. Freddo, insensibile, cocciuto. Non aveva compreso i loro bisogni, non aveva fatto nulla per renderle davvero felici. Non ci aveva nemmeno PROVATO. E alla fine se ne erano andate, silenziose, come onde di risacca. Strinse forte il legno asciutto del timone. Chinò la testa. Per la prima volta nella sua vita si sentì davvero un uomo solo.

Non era passata neanche mezz’ora dalla partenza dal porto e la barca di Pietro era ormai in balia del mare in tempesta. L’uomo cercava disperatamente di mantenere una rotta per evitare di andare alla deriva ma la forza della corrente era spropositata. All’improvviso, forse a causa di un’onda anomala o dell’urto con qualche scoglio nascosto, Pietro sentì un forte rumore di qualcosa che si era rotto. Si rese conto immediatamente che il timone non rispondeva più ai comandi. Probabilmente si era spezzato l’albero che lo univa all’elica. Ora erano guai seri. La piccola imbarcazione oscillava e si piegava sui lati, si impennava e poi tornava in acqua con un tonfo sordo. Il legname strideva e cigolava come se fosse stato strizzato da forza disumana. Le onde si scontravano tra loro, trasformandosi in ripide salite e vorticose discese, come in una giostra mortale.
Pietro all’improvviso era crollato sul pavimento della piccola cabina. Aveva vomitato la cena. Toast, tonno in scatola e una mela matura erano diventati una poltiglia giallastra e maleodorante che gli si era appiccicata ai vestiti. Cadendo aveva battuto forte il ginocchio, il polso e la testa, che ora pulsava dolore ad ogni movimento brusco. Faceva fatica a muovere il braccio e la gamba e a ritrovare l’equilibrio. Il frastuono della tempesta fuori era attutito solo leggermente dalle quattro pareti del cabinato. Pietro sapeva che non avrebbero resistito tanto. Presto un’onda più grossa
avrebbe sfondato il parabrezza o la piccola porta di legno compresso e l’acqua lo avrebbe sommerso. Decise che doveva provare ad alzarsi. Non tanto per cercare di riprendere il controllo della barca, ormai era spacciata, solo un miracolo lo avrebbe salvato. E i miracoli non accadevano a persone grigie e severe come lui. Non a chi aveva buttato una vita intera per dedicarla solo al lavoro, dimenticando sogni, emozioni, leggerezze, risate. Voleva rialzarsi perché non voleva morire così, come un topo in trappola, ma in piedi, al timone, seppure inservibile, della sua imbarcazione. Come un vero Capitano.
Doveva lottare. Era uno forte, lui.
Senza sapere perché ricordò la scena che tante volte aveva letto sui libri di storie di mare. 1912. Oceano Atlantico. Il Titanic che affonda. Il Comandante ritto in plancia di comando. L’orchestra che suona come ipnotizzata. Ora li sentiva anche lui, i violini. O forse… forse no, era un’allucinazione.
Piegò la gamba.
Ancora i violini. In un crescendo.
Si afferrò al timone.
Ora i fiati. Perfetti all’unisono.
Pietro cacciò un grido e si ritrovò in piedi.
L’orchestra ci dava dentro.
Spalancò la porta della cabina e uscì nella notte.
Il fischio del vento si portò via il Titanic e tutta la sua banda.
Ora era in piedi, solo, nella tempesta. Per un attimo l’istinto lo pregò di lottare. Di non mollare.
Scosso e in piedi per miracolo Pietro pensò invece di rinunciare. Per chi lottare? Per cosa? Si chiese. A casa non lo aspettava nessuno. E per giunta era malato da qualche parte, dentro. Persino il suo corpo voleva abbandonarlo. Non voleva passare gli ultimi giorni in un letto di ospedale tra uno o qualche anno. Il mare era tutto per lui. Il mare era la sua vita.
Decise.
Aggrappandosi ad ogni appiglio raggiunse barcollando la prua.
Guardò verso l’infinito orizzonte nero. L’ultima volta.
Si sedette.
Una goccia d’acqua, portata dal vento, gli si posò delicatamente sulla guancia.
Pietro la lasciò colare lungo il viso, farsi largo tra i peli ruvidi della barba.
Fu come ricevere un bacio. Dal suo amore più grande.
Il mare lo stava chiamando. Lo voleva.
Pietro non si sentì più solo.
Un’onda rovesciò la barca.