I racconti del Premio letterario Energheia

Il Professor Travaglia e i sette gatti di Anna Bani, Roma.

 

_Racconto finalista ventiduesima edizione Premio Energheia 2016

 

spagna11Orlando Rubino si sedette di malavoglia alla sua scrivania e s’impose, nonostante fosse già il tramonto, di arrivare almeno sino a pagina cinquanta di quel romanzo che doveva assolutamente finire di leggere per l’indomani. Mentre s’impegnava a seguire il filo della narrazione, provava una certa tristezza alla vista della tavola non ancora apparecchiata, nonostante fosse quasi ora di cena, e del letto in camera sua ancora da rifare.
“E’ triste vivere solo!” commentò a voce alta, seguendo ancora una volta il filo dei suoi pensieri invece di quello del romanzo, al punto che lo squillo improvviso del campanello di casa lo fece sobbalzare.
“E’ proprio impossibile concludere qualcosa oggi!” sbottò seccato, alzandosi dalla scrivania.
“Buongiorno, signor Rubino!” lo salutò con la sua voce chioccia l’inquilina del piano di sotto non appena egli ebbe aperto la porta.
“Scusi il disturbo ma volevo ricordarle l’assemblea condominiale straordinaria che si terrà stasera alle nove, nel mio appartamento”.
“Senta signora”, rispose, trattenendo a malapena la stizza “se è per quella faccenda dei gatti, le dico subito che la questione non mi interessa!” e, senza attendere risposta, bofonchiando un saluto, richiuse la porta in faccia alla donna, inserendo per provocazione perfino il chiavistello.
“Vecchia strega!” borbottò tra sé, rimettendosi alla scrivania e scorrendo per l’ennesima volta la prima riga del capitolo quinto.
All’ultimo piano, intanto, il professor Travaglia si faceva il sangue amaro nel difficile tentativo di ritracciare il quinto dei suoi sette gatti.
Egli, che li teneva tutti amorevolmente in casa, li aveva chiamati con i giorni della settimana perché sosteneva di averli trovati, in grave stato di abbandono, ciascuno in un giorno diverso; Venerdì, per l’appunto, era quello che scappava più spesso per tornare solo dopo aver effettuato lunghe ed accurate esplorazioni.
Inutilmente sollevava per la centesima volta il lembo del copriletto nella sua camera o apriva la porta dello stanzino delle scope nella speranza di vederselo sfrecciare tra le gambe; il felino doveva essere scappato dalla finestra e in quel momento poteva essere a spasso sul tetto.
Olindo Travaglia, professore di Lettere presso il Liceo Carducci, il più prestigioso della città, non aveva figli né moglie, genitori o fratelli, e gli unici suoi affetti erano rappresentati da quei sette gatti.
Quando la madre, che era stata la stimata preside del Liceo dove ora egli insegnava, era morta lasciandogli quella casa in eredità, aveva deciso di trasferirvisi con i suoi animali, immaginando nella sua ingenuità pari a quella di un bimbo nonostante i cinquant’anni suonati, che tutti gli inquilini di quel palazzo li avrebbero amati a prima vista e fatto a gara per farseli amici.
Disgraziatamente i suoi vicini di casa erano, al contrario, nemicissimi degli animali e, in particolar modo dei gatti, tanto che il povero professor Travaglia si era dovuto ben presto pentire della sua decisione.
Era vero che i gatti se ne stavano prevalentemente in casa ma d’altra parte, non potendo vivere recluso con sette animali, il professore era costretto di tanto in tanto a concedere loro un po’ di libertà e allora . . . apriti cielo!
Lunedì , una sera afosa d’Agosto, approfittando della porta aperta, era penetrato nell’appartamento della signora Augusta, quella del terzo piano, e saltato sul tavolo della cucina aveva divorato le polpette di carne che l’incauta aveva lasciato incustodite nel piatto; Martedì era piombato sul balcone del Rag. Albertis, appassionato di giardinaggio e, a detta di costui, aveva fatto secco il ciclamino a forza di urinarvi sopra; il portinaio, infine, giurava di aver trovato per le scale le feci di quei “maledetti” felini. Insomma il povero prof. Travaglia si era inimicato l’intero quartiere e quando al mattino usciva dall’appartamento di buonora

per recarsi a scuola, se sentiva un po’ di fermento sul pianerottolo, preferiva far cinque rampe di scale a piedi piuttosto che rischiare d’incontrare qualcuno nell’ascensore.
L’unico che sembrava non essersi mai unito al coro generale delle proteste era proprio Orlando Rubino, lo scrittore di recensioni.
Un giorno egli aveva trovato uno dei gatti incriminati nel suo studio: un bel felino rosso dai verdi occhi screziati di ruggine che in quel momento lo guardavano spaventati; per nulla stupito della scoperta, dopo averlo accarezzato due o tre volte, gli aveva versato un po’ di latte su di un piattino in un angolo del pavimento ed era tornato tranquillo al suo lavoro.
Dopo qualche minuto aveva sentito squillare il campanello e si era trovato davanti il Prof. Travaglia tutto affannato.
“Mi scusi, ha mica visto, per caso, un grosso gatto dal pelo fulvo, macchiato di bianco . . .” poi, interrompendosi di colpo, era indietreggiato di un passo aspettandosi evidentemente una reazione violenta.
Orlando Rubino, per niente seccato, al massimo solo un po’ incuriosito nei confronti di quell’uomo grande e grosso, con una barba da brigante che rivelava, a dispetto delle apparenze, un animo timido e infantile, lo aveva fatto accomodare nello studio, dove Sabato stava ancora leccando il suo latte, e gli aveva offerto un tazzina di caffè.
“Lei è troppo gentile!” aveva esclamato il professore, gettandosi pesantemente sul divano “Davvero, è l’unico individuo civilizzato in questo covo di barbari!”. Da lì era nata subito una conversazione cordiale che era servita a rompere il ghiaccio tra i due vicini.
“Dunque lei scrive recensioni di opere di narrativa; un lavoro interessante e inconsueto!” aveva commentato il sig. Olindo, sorbendo il suo caffè.
“Oh, non tanto interessante quanto si immagina; prima di tutto si è costretti a leggere una quantità di romanzi, non tutti appassionanti, e poi a scrivere su di essi dicendo, il più delle volte, il contrario di quello che si pensa, infine si è sottopagati”.
“Sa, anch’io mi diletto a scrivere” aveva azzardato a questo punto il professore, schiarendosi la voce leggermente imbarazzato, “ma non credo che qualcuno leggerà mai le mie opere!”
“Che genere di opere?” aveva chiesto il recensore con un subitaneo moto di simpatia per quella timidezza malcelata.
“Oh poesie, racconti, anche un piccolo romanzo”, aveva risposto il professore che alla fine, dopo un po’ d’insistenza aveva acconsentito a illustrargliene il contenuto.
“Beh, per la verità il protagonista della mia storia vive un’avventura piuttosto insolita. Colpito sin dalla nascita da un’anomalia congenita, decide di recarsi in un famoso santuario ad implorare il miracolo e il miracolo avviene: egli si ritrova in pochi istanti guarito.
L’avvenimento straordinario cambia radicalmente la sua vita; quasi pazzo di gioia si sente ricolmo di amore verso il prossimo e di gratitudine verso Dio, della cui esistenza è ormai certo come è certo del suo nome e cognome. Ma ben presto questa certezza diviene la sua tragedia. Capisce cosa intendo?”
“Non ne sono del tutto sicuro”
“Immagini che Dio compaia improvvisamente in questa stanza e le dica: vedi? Io esisto. Come pensa che si sentirebbe?”
“Beh, a dire il vero, non ci ho mai pensato. Forse spaventato!”
“Dica pure oppresso, oppresso da quella presenza, ormai non più ipotetica ma terribilmente reale. Tornando al nostro miracolato, egli sperimenta dolorosamente quella che possiamo chiamare la consapevolezza scioccante dell’esistenza di Dio, del fatto che ogni capello del nostro capo, come dicono i vangeli, è contato. Ben presto perde ogni gioia di vivere, sente come un macigno il peso delle colpe commesse e vive ogni giorno nel terrore di cedere alle sue inclinazioni viziose; sente l’occhio di Dio su di sé e perde per sempre il privilegio di essere libero. . .”
“Non so se ho recepito correttamente il suo messaggio, professore: intende forse dire che l’uomo certo dell’esistenza di Dio non è più felice di colui che ne dubita o addirittura lo rifiuta?”
“Direi di sì, visto che il povero miracolato finirà per mettere fine ai suoi giorni!”
“Interessante caro professore, ma temo che il suo racconto troverebbe ben pochi estimatori. Lei pretende di resuscitare Dostoevskij nell’epoca dei reality show!”
“Mi basterebbe semplicemente resuscitare la capacità di pensare”
“Ancora più difficile: il pensiero significa pesantezza, solidità, radicamento nel tempo e nello spazio, mentre questa è l’epoca della leggerezza, della vanità, dell’oggi senza ieri. . . Il pensiero, caro professore, riconduce alla terra, all’inizio e alla fine, alla paura e l’uomo contemporaneo non tollera la paura. . .”
“Allora lei mi consiglia di smettere di scrivere?”
“Niente affatto” aveva risposto il signor Rubino, accompagnandolo alla porta insieme a Sabato, “continui a scrivere i suoi interessantissimi racconti e li conservi per tempi migliori. C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare, mio caro professore!”

Man mano che i giorni passavano, la questione dei gatti minacciava di diventare assai più seria di quello che all’inizio fosse sembrata; i condomini si erano coalizzati tra loro e, complice l’amministratore, avevano più volte scritto lettere minacciose al mite professor Travaglia, chiedendo con tono perentorio e niente affatto conciliante che gli animali fossero al più presto allontanati dal palazzo, minacciando addirittura l’intervento dell’avvocato e, se necessario, della forza pubblica.
Il sig. Rubino che aveva osservato da lontano tutte quelle manovre si dispiaceva in cuor suo di tutto quell’accanimento contro un brav’uomo, colpevole soltanto di amare quei gatti come fossero suoi figli, e una sera, con la scusa di un nuovo romanzo da recensire, aveva deciso di fargli visita nel suo appartamento.
Il professore gli aprì circondato dai suoi sette gatti in grande agitazione per quella che doveva essere l’ora di cena.
“Venga, venga” lo accolse allegramente il sig. Olindo “si accomodi, sto preparando la cena a questi piccoli diavoli e le assicuro che non è affar di poco. Lunedì mangia solo cibi in scatola, Martedì e Mercoledì preferiscono le polpette al sugo cucinate da me; giovedì va matto per il pesce, mentre Venerdì e Sabato
mangiano esclusivamente avanzi di cucina; quanto al povero Domenico, beh, per intanto il poverino dovrà rassegnarsi a digiunare!” concluse il professore con una nota di tristezza.
“Perché, è ammalato?” chiese divertito il Sig. Rubino.
“Come, lei non sa niente? Il povero Domenico è stato avvelenato!” annunciò il sig. Olindo con tono così drammatico da strappare un sorriso al suo interlocutore.
“Non mi faccia parlare. Ieri sera sono rientrato più tardi del solito per via di una riunione scolastica interminabile e appena uscito dall’ascensore chi ti vedo? Il povero Domenico stecchito sul tappetino del mio uscio. Il poverino respirava ancora, perciò mi sono precipitato dal veterinario che ha dovuto praticargli immediatamente una lavanda gastrica. Indovini un po’ che cosa aveva ingerito? Veleno per topi. Non mi dica, poi, che questo non è un covo di banditi!”
“Quindi lei sospetta qualcuno del condominio?”
“Ma certamente! Non potendo convincermi con le buone, hanno deciso di provarci con le cattive, non le nascondo che sono preoccupato per le mie bestiole!”
Poi cominciò a servire i suoi diletti animali, distribuendo a ciascuno la scodella col proprio cibo; presto si udì un suono inconfondibile di mascelle in movimento e il professore si sedette finalmente sulla poltrona.
“Caro professor Travaglia lei mi ricorda il personaggio del romanzo che sto leggendo in questi giorni e la cui recensione non sarà affatto facile”
“Di che si tratta?”
“Ma, a quanto pare, è la storia di un povero pensionato che vive in simbiosi con il suo cane un po’ come lei con i suoi felini; un brutto giorno il cane muore e il poveretto inizia a dare i numeri”
“Vale a dire?”
“Diventa un incendiario”
“Interessante, direi!”
“Già. Ad ogni modo è una ben strana vicenda, tanto che comincio a nutrire dei dubbi sulla possibilità di riuscire a recensirla in un modo plausibile”
“Cosa intende dire?”
“Beh, tanto per cominciare, come devo considerare l’anziano protagonista di questa storia, come un povero vedovo affranto dalla morte della moglie, che diventa folle quando anche l’ultimo affetto, quello del cane, gli viene a mancare o come un perfido vecchio nemico della natura?”
In una parola, il protagonista di questa vicenda è colpevole o innocente?”
“Una bella domanda! Un vero quesito filosofico! Io direi che questo povero vecchio è innocente e colpevole insieme, martire e aguzzino nello stesso tempo. Come lei sa e come la tragedia greca insegna non c’è colpevolezza senza innocenza e viceversa: è questo il fato degli uomini!”
“Caro professore vorrei che fosse lei a fare il recensore al posto mio!”
“Mi lasci il romanzo e vedrò quello che posso fare” propose bonariamente il professore al suo ospite, raccogliendo da terra le scodelle ormai vuote.

I giorni passavano ma il fervore della polemica da parte degli inquilini nei confronti del malcapitato professore non accennava a diminuire.
“Sa di cosa sono arrivati a minacciarmi?” si sfogò un giorno il poveretto col Sig. Rubino che aveva incontrato in ascensore “di farmi pagare un’ammenda pecuniaria di duemila euro per non aver rispettato le regole del condominio. Basta! Sono esasperato da tutta questa storia, ragion per cui ho deciso di togliere il disturbo e andarmene!”
“E dare a questi nevrotici la soddisfazione che non si meritano?”
“Capisco cosa intende dire ma preferisco risolvere questa faccenda una volta per tutte; ho acquistato una casa in campagna con il ricavato della vendita dell’appartamento. E’ da ristrutturare ma una volta sistemata io e i miei animali vivremo finalmente tranquilli”.
“La invidio professore!”
“Può sempre venire atrovarmi!”
“Stia certo che lo farò” assicurò il recensore.
Il trasloco del signor Olindo fu un sollievo per tutti, tranne che per il signor Rubino.
Quest’ultimo aveva aiutato il professore a imballare gli ultimi oggetti e a sistemare i sette animali che furono chiusi ciascuno nella propria gabbia per poter essere trasportati nell’auto del loro padrone.
Mentre il recensore guardava i poveri animali chiusi nella propria prigione e ascoltava i loro miagolii di disperazione, al pensiero che ben presto quell’appartamento sarebbe stato abitato da persone estranee, si sentì afferrare da una grande malinconia e decise in cuor suo di far visita al professore il più presto possibile.

Ma i mesi passarono e il sig. Rubino, sempre assorto nelle letture e assorbito dai continui problemi di salute della madre anziana, non aveva potuto mantenere l sua promessa.
Poi, un giorno, in prossimità del Natale, era entrato in una libreria per scegliere dei regali e, fermatosi a leggere qualche pagina in qua e in là, all’improvviso aveva ripensato alle sue conversazioni con il professor Travaglia.
Al ritorno, si era fermato in portineria e aveva chiesto al portiere il nuovo indirizzo del professore.
“Chi, quello dei sette gatti?” aveva domandato il portiere.
“Proprio lui!”
“Ma come non lo sa? Il professor Travaglia è morto!”
“Come, morto?” balbetto dopo qualche secondo il recensore, completamente basito.
“Ma sì, è accaduto circa un mese fa; un tumore al polmone. E pensare che il professore non fumava nemmeno!”
Orlando Rubino, sconvolto dalla notizia, sebbene non si sentisse sicuro sulle sue gambe, preferì salire le scale a piedi piuttosto che servirsi dell’ascensore ma giunto al settimo gradino si fermò e dopo un momento di esitazione tornò precipitosamente indietro, ripresentandosi davanti al portiere.
“Senta, ci ho ripensato. Mi dia ugualmente quell’indirizzo”
“Ma a che scopo, scusi” gli aveva chiesto quello sorpreso.
“Me lo dia e basta!” aveva risposto il Sig. Rubino con voce alterata.
Dopo a ver chiesto ripetutamente indicazioni e aver guidato per circa un’ora in aperta campagna, aveva trovato il paese e infine la casa del professore.
Sceso dalla macchina, era rimasto lì a contemplarla ad una certa distanza: il casolare era chiuso, l’orto, il pergolato e il giardino erano in stato di abbandono e condividevano il loro spazio vitale con l’edera rossa e le piante selvatiche.
Ad un tratto sentì un miagolio sommesso, poi uno più deciso e all’improvviso comparvero i gatti del professor Travaglia, un po’ sparuti e malridotti ma ancora vivi.
Mancava solo Venerdì, il solito vagabondo, pensò tra sé il signor Rubino e chissà perché si sentì riconfortato.

“Allora signor Rubino, ha proprio deciso di andarsene?” chiese il portinaio osservando non senza una certa apprensione l’andirivieni degli operai dell’impresa traslochi.
“Sì, ho preso una decisone di quelle irrevocabili”
“E dove se ne va di bello, se non sono indiscreto?”
“Indovini un po’? Nella casa del professor Travaglia ad assistere i suoi sette gatti rimasti orfani!”
“Gatti orfani? Non capisco!”
“No, infatti, lei non può capire. E’ una storia di amicizia, una semplice storia di amicizia, di quelle che non val la pena di recensire” replicò il signor Rubino, consegnando al portiere le chiavi dell’appartamento.