I racconti del Premio letterario Energheia

Occhiale_Federica Caliendo, Caserta

_Racconto finalista quindicesima edizione Premio Energheia 2009.

 

“Quando si possiede tutto, si desidera l’impossibile…

Quando non si possiede nulla si desidera qualsiasi cosa, anche la più stupida…

Quando si perde tutto ciò che si possiede, si desidera solo una cosa…farla finita”.

Era estate piena. Piena per modo di dire, considerando che ci trovavamo agli inizi di giugno, con l’esame di maturità alle calcagna. E se Venditti e generazioni intere cantavano e vivevano la loro “Notte prima degli esami”, noi vivevamo le nostre “notti prima dell’esame”, andando per i locali più in della città, trascorrendo interi pomeriggi tra centri commerciali e negozi vari a comprare qualsiasi cosa o, semplicemente, girando e rigirando con la musica a palla nelle nostre mitiche Smart. Accessori insostituibili come gli occhiali da sole stile “diva”, il sorriso appena sbiancato dal dentista e una lampada così forte che risaltava ancora di più il lavoro del nostro dottore, facevano da cornice al nostro abbigliamento.

Concorderete con me nel dire che per lo studio ci restava poco tempo… quasi zero… normale routine. O almeno lo era.

Ore 9.45: suonava la sveglia. Maledetta sveglia del cavolo…

Prima delle 10, in estate, non riuscivo a svegliarmi, ma la mamma cominciava a dire che così si perdeva un’intera mattinata di studio e per accontentarla anticipavo il marchingegno diabolico di 15 minuti, giusto per fare scena, tanto si sa tra doccia e colazione se ne va un’altra oretta circa. Mi raggiungevano poi Ilenia, Elena, Simone e ovviamente Alessandro.

Vivevamo praticamente in simbiosi, conoscendoci da una vita, amici inseparabili con qualcosa di unico che ci univa. Le loro facce erano simili alla mia, con un’aria mista ad ansia, noia e voglia di evadere, voglia di uscire, voglia di divertirsi, voglia che finivamo per accontentare: come si dice prima il piacere poi il divertimento, vero?

“Oggi ripassiamo italiano, siete d’accordo? Procediamo con lo studio delle materie in ordine alfabetico, come avevamo stabilito il primo giorno”.

“Come HAI stabilito il primo giorno! Madò sembri la Liquori…, fai meno la maestrina Ilè!”

Ilenia è sempre stata la più pacata del gruppo, forse se non ci fosse stata lei, stavamo ancora a commentare la serata precedente. Però Simone aveva ragione, a volte era troppo puntigliosa. In ogni modo da qualcosa dovevamo iniziare, altrimenti un’altra mattinata se ne andava a farsi friggere e considerando che mancavano 8 giorni 14 ore e 27 minuti, non era proprio il caso di perdersi in chiacchiere. Ale stranamente non parlava, non so per quale motivo, in tutto quel casino nemmeno ci avevo fatto caso. I minuti trascorrevano lenti e inesorabili, sotto i nostri sguardi persi. Avevamo imparato a girare le pagine dei libri ad intervalli regolari, segno che non prestavamo minimamente attenzione a ciò che leggevamo.

Ogni tanto mi alzavo per aumentare i gradi al condizionatore o per prendere da bere (almeno mi rendevo utile in quell’inutilità di menti che cercavano di elaborare qualche pensiero sensato da esporre nella propria tesina, ma non ci riuscivamo e non perché fossimo stupidi o incapaci, semplicemente perché l’idea di affrontare la maturità rendeva inerme chiunque, anche la più brava della classe.) E la vera paura non era superare la maturità scolastica, ma quella psicologica…

Alle 14 circa, come si suol dire baracche e burattini venivano messi da parte e a volte si ritornava ognuno alle proprie case per il pranzo, altre volte si rimaneva tutti da me, ma la maggior parte delle volte si andava da Antonio che ci preparava una pizza meravigliosa. Il pomeriggio poi si riprendeva per un paio d’ore, ci si preparava e iniziava il divertimento.

Quella sera al bar Ale continuava ad essere silenzioso, quando mi avvicinavo era freddo. Ma che cavolo era successo?

Che gli prendeva all’improvviso? Stavamo tutti bene, no? L’unico problema poteva risultare l’esame… Lo presi allora per un braccio e gli dissi che dovevamo parlare, subito.

Dopo un quarto d’ora di tira e molla, ero riuscita a capire il problema: doveva trascorrere il weekend con i genitori in barca e quindi non potevamo andare a ballare, anzi non potevamo vederci per 3 giorni. Da un lato mi sentivo sollevata, poiché non era una notizia catastrofica, però proprio il fine settimana, prima dell’esame, doveva lasciarmi sola in balia di quei pazzi dei nostri amici? E per giunta che facevo sabato sera? Di andare a ballare, senza di lui, non se ne parlava, non perché non volesse, ma semplicemente perché non mi fidavo di Simone alla guida, di sabato notte, sulla strada per Gaeta… sarebbe finita male!! “E che problema c’è?? Ci andiamo la prossima volta!”. Non potevo rispondere altrimenti ad un ragazzo così dolce e premuroso da preoccuparsi di dirmi una cosa del genere. Il tutto si concludeva con il solito bacio alla “OK”. e si ritornava dentro dagli altri. Il giorno dopo (che poi era il giorno prima del weekend e, quindi, della sua gita familiare in barca), avevamo deciso di prenderci una pausa dallo studio matto e disperatissimo e di trascorrere tutta la giornata insieme al mare, a casa mia. L’amore è fantastico, lo sapevate?

Non capivo niente…sentivo urlare, urlare come non avevo mai sentito in vita mia, ma io continuavo a non capire niente.

Ero presente ma ero assente, sì proprio così, vivevo uno spettacolo che mi faceva rabbrividire, volevo uscire da quel teatro, volevo tornare a casa, fatemi tornare, che volete da me???

Speravo fosse solo un sogno, un brutto bruttissimo sogno… mi sarei svegliato e tutto sarebbe passato. E invece io continuavo ad essere lì, presente: non era un sogno, era la realtà, ed io volevo solo addormentarmi, per non ascoltare più…

“Mamma io ti ho sempre detto che mi sento inglese nell’anima. E gli studenti inglesi cosa fanno il sabato??? Dormono, cara mammina, o quanto meno non vanno a scuola e non studiano. Quindi per favore, rispetta il mio “essere”, baci Flora”. Questo post-it lo lasciavo attaccato alla porta della mia stanza ogni sabato estivo, in modo tale da non essere svegliata per motivi futili. Ma quella mattina mamma mi svegliò: dovevamo andare in agenzia a prenotare la vacanza con il mio gruppo inseparabile, ovviamente. Perciò le urla di disdegno iniziali, per essere stata buttata giù dal letto alle 9, divennero ben presto moine e parole d’affetto nei confronti della mia adorata mammina. Ero proprio al settimo cielo!

Non ricordo bene quanto tempo passò e soprattutto in che modo trascorse…ricordo solo un senso di pesantezza alla tempia e agli occhi. Era una sorta di sonno forzato, io invece volevo svegliarmi e vedere tutto chiaro, ma non ci riuscivo. Mi sentivo come un essere invisibile, nessuno mi vedeva o sentiva.

Oppure ero io, ora, a non vedere né sentire più nulla. E mentre pensavo e ripensavo a quello che stava accadendo, venivo gettato nuovamente in un sonno profondo… cominciavo ad avere paura, i ricordi erano offuscati, la mente annebbiata.

Era la seconda volta, quel giorno, che guardavo le foto, i video e le dediche fatte durante il liceo. Gli ultimi anni della mia vita scorrevano veloci dinanzi ai miei occhi commossi: la prima foto di classe per l’annuario (io, Elena e Ilenia ancora con i visi da bambina), l’elezione dei rappresentanti d’istituto con la vittoria di Alessandro, la gita a Siracusa (indimenticabile) e il diario di banco, mio e di Ilenia. Gli occhi grondavano di lacrime, lacrime di gioia per fortuna. Mi ero decisa a posare tutto, anche perché le ragazze sarebbero arrivate a momenti.

“Se mi dici che vieni più tardi ti ammazzo perché dobbiamo andare dal parrucchiere!”

Avevo risposto al cellulare con la mia solita voce squillante.

Sapevo che era Elena, il suo numero di casa è riservato e quindi non compare mai sullo schermo.

Ma le convinzioni a volte cambiano, purtroppo.

Una trentina di chilometri separava l’ospedale da casa di Flora. Eppure mi sembrava il viaggio più lungo della mia vita.

Sono abituato a parlare e a sparare scemenze ogni secondo della mia giornata. Però, quel giorno, avevo perso le parole. E le speranze. Perché quando il fratello del tuo migliore amico ti invia un messaggio, dicendoti che è successo qualcosa di grave, allora tutto ti crolla addosso. Ogni incidente che i giornalisti raccontavano al tg mi faceva venire i brividi. Ma i ragazzi come me erano e sono convinti che queste “cose spiacevoli” non capitano mai, che le nostre auto siano indistruttibili, che i nostri amici guidino sempre bene. Ma le convinzioni cambiano. Punto e basta.

Stringevo la mano di Flora, ma guardavo fisso Ilenia. Lei sapeva. Io sapevo. Pure Simone sapeva. Flora non voleva sapere nulla. Ero convinta che Alessandro si era trovato al posto sbagliato al momento sbagliato, era stata solo una terribile fatalità. Non riuscivo a decidermi per chi mi dispiacesse di più: lui aveva fatto l’incidente, lei si era fatta male. Male dentro.

I suoi genitori cercavano in tutti i modi di intraprendere un discorso, anche il più banale. In alcuni momenti però le parole non servono. E nemmeno le buone intenzioni. Io, ogni tanto, sorridevo per appoggiare i loro tentativi di approccio.

Flora fissava il finestrino leggendo le indicazioni stradali che conosceva a memoria. Simone ed Elena tenevano la testa bassa, come se stessero pregando. E, intanto io pensavo a come cambiano le cose in un solo istante. Ho sempre programmato ogni singolo momento della mia vita. Se accadeva qualcosa di inaspettato ero terrorizzata perché due erano le possibilità: o andava a finire bene o andava a finire male. Fino a quel giorno avevo avuto la fortuna di ottenere la prima alternativa.

Ma le convinzioni cambiano, anche per chi è convinto che programmare sia la cosa migliore da fare.

“Sembra un tipo tranquillo, sciolto e disinvolto”. Testuali parole le aveva dette 7 anni prima la ragazzina più carina della classe, quando la professoressa di italiano le aveva chiesto di descrivere alcuni dei suoi compagni. Ora quella ragazzina era diventata grande e sicuramente stava per cambiare idea su di me. E la cosa mi angosciava come non mai. Peggio il dolore fisico o quello sentimentale? Ho avuto l’opportunità di provarli contemporaneamente e l’unico rimedio era chiudere gli occhi e dormire. Io gli occhi li avevo chiusi, ma non dormivo. Ero sveglio.

Il signor Pineta stringeva la moglie forte. Lei piangeva forte. Io avevo trattenuto un pianto forte. Davide, dopo aver abbracciato i due, con la scusa di voler un caffè mi aveva raccontato tutto. Il suo racconto era stato forte. Come un colpo al petto, forte forte. Suo fratello era stato investito da un pirata della strada che aveva invaso la sua corsia. Andava a 100 km/h, in pieno centro abitato. Era ubriaco o fatto. Questo lo sa la polizia. Io sapevo solo che il mio amico, per evitare quel pazzo, era andato a sbattere contro un muro e i pezzi di vetro del parabrezza si erano conficcati nei suoi occhi. Per il resto tutto bene, è stato graziato, così si dice in questi casi, vero?

“Se volete entrare potete farlo. Per pochi minuti, mi raccomando”.

La classica risposta di un dottore. La classica risposta del magico dottore dei film. Ma quel film non mi piaceva. Mi faceva schifo. Avrei voluto mettere pausa, ma su quel lettore dvd non esisteva nessun tasto. Ed ora arrivava la mia scena principale, dovevo entrare e parlare. O ascoltare. Stando in silenzio. Però, con il silenzio, si sarebbero sentite le mie lacrime scendere inesorabili. Odiavo di più la bugia che mi aveva raccontato Alessandro o quel bastardo che lo aveva rovinato? Odiavo me stessa. Era colpa mia. Non so perché, ma era colpa mia. Ne avevo la convinzione.

L’esame era finito, finalmente. Nei giorni seguenti avevamo studiato poco e male. Soprattutto avevamo studiato ognuno a casa propria, senza pranzare insieme, senza andare per negozi e locali. Anche lui si era diplomato, senza affrontare né gli scritti né gli orali. Aveva l’indennità. C’era chi diceva, addirittura, che era stato proprio fortunato a non sostenere l’esame grazie all’incidente. Del resto tutti sapevano che era sempre stato un bravo studente e, dopo quello che gli era capitato, questo era il minimo che potesse ottenere.

Il nostro viaggio era stato prenotato per le prime 2 settimane di agosto. Luglio l’avremmo trascorso a Gaeta, tutti noi avevamo le case lì. Nessuno di noi, però, aveva avuto il coraggio di parlarne, dell’estate intendo. Nessuno di noi aveva avuto il coraggio di andare in agenzia e disdire la prenotazione. Ilenia chiamava e mandava messaggi in continuazione (tipico del suo carattere) e nel frattempo decideva a quale università iscriversi: con la media altissima in tutte le materie poteva scegliere qualsiasi facoltà. Elena veniva spesso da me, abitando nello stesso parco era facilitata nel vedermi. Si stendeva in terrazza a prendere il sole e nel frattempo cercava di convincermi. Come faceva a convincermi se non lo era nemmeno lei?

“Allora Daniele ha prenotato il campo per stasera: partita e pizza, come al solito. Vieni almeno questa volta”.

“Forse non ti è chiara una cosa: chi è cieco non può giocare a calcio, capisci? Rischia di non individuare la porta dove fare goal. Buona serata Simo’, ti chiamo io domani”.

Ancora una volta falliva il mio tentativo di invitarlo a riprendere le redini della sua vita.

Ancora una volta venivo mandato, letteralmente a quel paese.

Ancora una volta mi diceva che mi avrebbe chiamato il giorno dopo, ma sapevo che era una promessa vana.

Ancora una volta restavo in camera a piangere perché il mio migliore amico era diventato un non-vedente e non riusciva ad accettare questo handicap.

Un mazzo di rose blu (le mie preferite), 5 lettere e oltre 100 sms: era la somma dei tentativi di riappacificazione di Alessandro. 0 ringraziamenti, 0 risposte, 0 telefonate: questo era il mio resoconto delle mie domande. Non avevo nemmeno il coraggio di parlargli, di incontrarlo, di abbracciarlo. Non avevo nemmeno il coraggio di chiedermi se stessimo ancora insieme. Mi mancava il coraggio, sì, mi mancava perché avevo una paura incredibile e nessuno, ripeto, nessuno, mi poteva aiutare. I miei amici erano andati a disdire il viaggio già una settimana prima. E non ne avevamo parlato più. Ognuno sarebbe andato in vacanza con la propria famiglia, era la soluzione migliore. “Ti farà bene prendere un po’ di sole. E poi adori nuotare, quindi non esiste posto migliore dove trascorrere l’estate. Stare a Gaeta per tutto luglio è bastato. Ora si cambia meta”. Così aveva detto la mamma. Così mi ero auto convinta a partire.

5 settembre. Faceva ancora un caldo bestiale. Grande invenzione l’aria condizionata. Io stavo ascoltando la musica sdraiato sul mio letto. Bussarono alla porta. Schiacciai il pulsante “pausa” sull’i-pod. Silenzio. Sembrava stessi aspettando un responso. Sentii salire le scale che portano alla mia stanza. Sapevo che era lei, anche se non potevo guardarla. Il suo profumo era inconfondibile. La sua presenza era unica.

La mia gioia era immensa. La sua visita poteva essere un addio o un “ricominciamo”. Ma io non avevo paura perché ero troppo innamorato di lei. E quando si ama veramente qualcuno, tutto il resto non conta.

“Sono contenta che siate venuti tutti. Voglio dire, abbiamo trascorso un’estate particolare, ci siamo allontanati nel vero senso della parola. Però alcune persone non si possono tenere a distanza per sempre, anche perché quel maledetto incidente non può condizionare le nostre vite. Vi voglio bene raga!!!”

Così aveva esordito Flora dopo averci offerto il solito caffè. Ci abbracciammo tutti e quattro, piangendo come degli anziani amici che non si vedevano da anni. Elena e Simone subito avevano cominciato a litigare sul da farsi, io e Flora invece parlavamo di Alessandro. Lei aveva deciso di incontrarlo, ma non sapeva ancora cosa dirgli. Meglio così, certe parole nascono spontanee.

“Scusa se sono piombata qui senza avvisare, ma ero imbarazzata all’idea di telefonarti. Comunque come stai? Sono mesi che non ci vediamo. Lo so, è colpa mia! Non ho risposto a nessuno dei tuoi messaggi…avevo bisogno di tempo per riflettere. Non è stato facile sai accettare questa novità…”

Parlai tutto d’un fiato. Non volevo essere interrotta. Mi tremava la voce e mi girava la testa, stavo svenendo.

“Non è stato facile per nessuno. A dire il vero non lo è tutt’ora. Sai che significa perdere la vista da un giorno all’altro? La tua vita cambia, in peggio. Non riesci a fare nemmeno le cose più semplici, come vestirti o lavarti. All’improvviso smetti di pensare ai soldi, alle macchine, ai locali, a fare il figlio di papà insomma, e cominci a desiderare solo una cosa: ritornare come prima. Però è impossibile ritornare al giorno dell’incidente e quindi cominci a chiuderti in te stesso, non esci, non mangi, non parli più, ti consumi dentro, sei come una persona viva intrappolata in un corpo morto. È una cosa orribile, straziante, vorresti semplicemente… vabbè hai capito cosa intendo”.

Queste furono le sue parole. Pesanti come macigni che premevano sulla mia coscienza; eppure le elencava con tutta calma, quasi stesse recitando a memoria un monologo. Ma non era un monologo, era solo la dura realtà.

Passammo circa 3 ore a piangere e a parlare. Lui continuava a dire che la sua era stata una bugia a fin di bene: voleva trascorrere un weekend con suo cugino, ma non sapeva come spiegarmelo e quindi aveva preferito mentire. Io del resto per tutta l’estate non avevo avuto la forza di chiarire, né di perdonarlo. Ora era giunto il momento di chiudere con il passato e di guardare al futuro.

20 settembre. Tutto pronto per la partenza. Ero emozionatissima, una nuova vita mi stava aspettando. Avevo deciso da un giorno all’altro di fare il test per una delle università più prestigiose del Paese. Sapete quelle idee che vi saltano alla mente, senza un perché e alle quali però non sapete dire di no.

E il caso aveva voluto che io fossi accettata in quell’ateneo così rinomato. La sera prima Ile e Ele mi avevano spinta con inganno nella villa di Simone e lì avevo trovato tutti i miei amici riuniti per salutarmi prima della grande partenza. Avevamo riso, scherzato, ricordato i vecchi tempi. E non nascondo che a conclusione della festa noi 4 avevamo pianto da morire. Ale non c’era. Un altro viaggio importante lo attendeva: quello della rinascita.

Sono trascorsi due anni dall’incidente, dal diploma, dall’estate. Simone ed Elena frequentano la stessa università e litigano quotidianamente (come ai vecchi tempi); Ilenia invece ha scelto una facoltà scientifica, continuando ad essere precisa e un po’ puntigliosa nelle proprie decisioni. Io mi sono perfettamente adattata alla nuova vita e tutto va per il verso giusto, per fortuna. Alessandro, grazie all’operazione, ha lentamente riacquistato la vista e si è iscritto ad ingegneria.

Ultimamente ha fondato un’associazione per i diversamente abili, cercando di migliorare le strutture della nostra città che, purtroppo, non sono sempre a norma; Dopo l’incidente ha capito, anzi, abbiamo capito cosa conta veramente nella vita e tutti i giorni sorride perché sa che la vita, con lui, è stata generosa. Sono solita tornare dai miei un paio di volta al mese. Ovviamente noi 5 ci riuniamo e continuiamo a divertirci come matti, senza sentire il bisogno di andare nei locali più in, indossando le griffes più chic, commentando ogni singolo gossip. Ci accontentiamo di stare insieme, progettando il nostro futuro. Ah dimenticavo, io e Ale siamo tornati insieme il 25 dicembre di quello stesso anno. In realtà non sapevamo neanche se ci fossimo mai lasciati. L’amore, in tutte le sue forme, è stupendo, lo sapevate?