Zuma, un altro Sudafrica
Amani 30 Aprile 2009 di Anna Pozzi
Jacob Zuma
Da Nelson Mandela a Jacob Zuma. Sembra un altro Paese, un altro popolo, un’altra storia. Sembra quasi impossibile che, quindici anni dopo la fine dell’apartheid – e le lunghe lotte che hanno portato alla caduta del vergognoso regime razziale sudafricano – il Paese arcobaleno sacrifichi il suo anelito alla libertà, alla giustizia, al pluralismo e alla convivenza pacifica, eleggendo una figura discutibile e controversa come Jacob Zuma. Che tradisce, con i processi per corruzione in cui è coinvolto, le accuse di stupro, il forte richiamo tribale, tutto quel percorso verso la creazione di un Paese multietnico, multi religioso, multilinguistico e multiculturale che era stato compiuto in questi anni.
Un Paese fondato su una Costituzione molto liberale e – almeno sino a oggi – sul richiamo a una figura grandemente simbolica, non solo dal punto di vista politico, ma soprattutto umano ed etico, come Nelson Mandela.
Zuma si presenta con un curriculum macchiato da due processi di corruzione e stupro, che nel 2005 lo costrinsero a lasciare la carica di vice-presidente. La stampa sudafricana, parlò allora di “un uomo politicamente morto”. E invece Zuma, da indomabile lottatore qual è – e forte della scarsa popolarità dell’ex presidente Thabo Mbeki, sia all’interno del partito che nel Paese – si è imposto facilmente ai vertici di un African National Congress (Anc), sempre più lacerato al suo interno, e si imporrà ai vertici dello Stato nelle prossime elezioni di aprile. Elezioni che gli permetteranno anche di evitare l’ennesimo processo, trascinato ad arte dai suoi legali, affinchè egli potesse mettersi al riparo dell’immunità presidenziale.
Lo scorso gennaio, infatti, la Corte suprema d’appello di Bloemfontein, ha annullato il precedente verdetto del Tribunale di Pietermaritzburg, che aveva sentenziato a settembre un non luogo a procedere per vizi formali. Sono 16 i capi di imputazione di cui è accusato Zuma, che vanno dalla truffa al riciclaggio di denaro sporco, legati a un appalto da 5 miliardi di dollari per l’acquisto di armamenti nel 1999. Quanto basta, non tanto per mandarlo in carcere, ma, per avvelenare una campagna elettorale particolarmente infuocata.
Se la vittoria di Zuma è infatti scontata, visto il grande consenso di cui gode ancora oggi l’Anc, sono in molti a pronosticare un risultato più modesto che in passato, quando sia Mandela che Mbeki, vinsero con percentuali plebiscitarie.
L’Anc non è più quello di una volta. Lo ha dimostrato l’ultimo congresso del partito, segnato da fortissime divisioni interne. E, successivamente, la scissione di un’ala che ha dato vita a un nuovo partito, il Congresso f the People (Congresso del Popolo, Cope), guidato dall’ex ministro della difesa Mosiuoa Lekota.
Segno dei tempi che cambiano è anche la sorprendente ascesa della Democratic Alliance (Alleanza democratica, Ad), guidata dal sindaco di Cape Town Helen Zille. Quello che tradizionalmente era considerato il “partito dei bianchi”, oggi sta raccogliendo consensi crescenti in tutta la popolazione sudafricana, neri compresi, soprattutto giovani. “Una naazione, un futuro”: è lo slogan con cui si è presentata al Paese, rivolgendosi a “tutti gli abitanti della nazione arcobaleno”. Sinora, pare abbia funzionato: in breve tempo l’Ad è passata, secondo i sondaggi, dal 9,9 al 17 per cento dei consensi, ottenendone specialmente tra le giovani generazioni.
Certamente né Lekota, né la Zille potranno, in qualche modo, impensierire Zuma. Ma, intanto, entrambi guardano avanti…