L'angolo dello scrittore

Sassi… metamorfosi

_di Eustachio Antezza (tratto dalla rivista: Percorsi)

 

Heritage

Il termine Heritage evoca l’antico termine ereditaggio, ovvero eredità, fertilità, lascito. Una parola che implica il concetto di salvaguardia e trasmissione (del patrimonio) alle future generazioni. A tal proposito è molto interessante notare come la consapevolezza e l’uso di questo termine fosse così forte nella “capitale simbolica” del mondo contadino, così come la definì Adriano Olivetti. Quando si parlava di muli, infatti, veri propulsori energetici nel lavoro dei campi, si diceva di essi che non portavano ereditaggio.

Heritage, quindi, come continuazione della vita: il patrimonio, la città come fattore di fecondità.

Il tema di come porsi di fronte al concetto di patrimonio materiale ed immateriale di una città, soprattutto se antica, è delle società moderne e merita oggi molta attenzione, un esercizio che l’Homo technologicus deve praticare.

In questo contesto i centri storici, e più in generale le città d’arte, possono “crescere” nel nostro secolo solo con la convinzione di partire dai “beni comuni immateriali”, soluzioni che puntano, prima ancora che sul lascito materiale, sulla prospettiva del futuro.

Ci sono alcune città, come Matera, che hanno virtù e caratteristiche “più uniche” di altre. La città dei Sassi, antica e carica di storia, patrimonio mondiale UNESCO, poi di recente designata Capitale Europea della Cultura 2019 (ECoC 2019), si trova oggi di fronte ad un grande bivio: condividere i modelli di sviluppo normalmente praticati, oppure cercare un’altra strada.

Matera cresce negli anni ’50 con la pianificazione e la realizzazione dei nuovi quartieri e anche con un grande investimento in beni immateriali: più istruzione, meno analfabetismo, più igiene e più medicina. Pensiamo al contributo di Rocco Mazzarone e più in generale all’azione dell’UNRRA-CASAS, con la presenza non solo d’ingegneri e architetti, ma di medici, filosofi, sociologi, assistenti sociali.

L’immateriale, che non ha prezzo, ha comunque un valore. Ed è per questo motivo che, pur con le dovute differenze che si colgono nelle teorie del valore che gli economisti classici hanno sviluppato, è necessario sperimentare nuovi paradigmi nelle società mature.

Non c’è prezzo, quindi, nell’economia immateriale semplicemente perché non ha prezzo ciò che non è determinato contemporaneamente da una domanda e da un’offerta. Il valore no! Il valore si caratterizza per l’impatto dei benefici che apporta ad un individuo o, come nel nostro caso, ad una comunità, ad un sistema.

Questo patrimonio ha una fecondità semplice o ripetuta? Si muove all’interno di logiche economiche tradizionali o merita un approccio diverso, speciale e unico così come speciale è chi l’ha creato: cioè l’uomo? I Sassi non sono un prodotto della natura, sono il prodotto dell’azione umana e per questo motivo hanno una dimensione finita, tra spazi pieni svuotati e spazi vuoti riempiti.

La sfida degli abitanti contemporanei sta nel rapporto con la città. Il tentativo dev’essere quello di proporre una visione per provare ad usarla in una logica di con-di-visione. Si tratta di trasformare il paradigma sviluppista, plasticamente rappresentato dal Parco a Tema e dai modelli globalizzati, in nuova economia attenta alle risorse irriproducibili. Come fare, cosa fare e perché, sono gli interrogativi a cui bisognerà rispondere con estrema urgenza, prima che il processo diventi irreversibile e sia alla fine molto tardi.

Le nostre masserie, le testimonianze rurali, insieme alle chiese rupestri caratterizzano la nostra campagna che insieme ai Sassi della città rappresentano un unico patrimonio, identità e storia di un’umanità che deve necessariamente “fare i conti” con un nuovo Parco a Tema nel catalogo mondiale delle attrazioni.

View of Matera Italy

Aggiungo, nel nostro caso, che neanche una visione iperliberista, ci avrebbe consegnato in così poco tempo un mosaico di cinico individualismo a cui si assiste oggi in città, simboleggiato dagli ombrelloni “total white”, caratterizzato da una metamorfosi della globalizzazione; una discrasia di una civiltà che chiede un mix identitario e per sopravvivere propone i “tre ruote” modello Capri: perfetta “disneylizzazione” di una nuova Venezia, dove i residenti rischiano di spintonare i turisti non potendone più di quelli rumorosi e ciabattoni.

I modelli globalizzati hanno prodotto scarsi risultati in termini di occupazione e benessere nelle città d’arte. Nessuno, invece, è ancora nelle condizioni di prevedere con precisione quale potrebbe essere l’impatto stabile a livello occupazionale e di benessere che un nuovo modello sostenuto dall’economia culturale e dall’economia dell’immateriale è nelle condizioni di offrire, ma dobbiamo provarci. La crescita è un concetto che non necessariamente deve essere declinato in ragione del più infinito. E sappiamo anche che nella “società della crescita senza crescita c’è la disoccupazione”.

Il nuovo modello per concretizzarsi e prendere forma deve strutturarsi nella costituzione di nuove formazioni sociali, culturali ed economiche che tengano conto in maniera imprescindibile del concetto dell’ereditaggio e della cultura del limite. Quindi, sarà fondamentale animare le nuove formazioni economico-sociali, con obiettivi e spazi di sperimentazione di nuovi modelli complessivi.

Questa visione alternativa ai modelli tradizionali di riferimento deve diventare anche popolare e non essere considerata residuale. E’ una condizione fondamentale per poter invertire la rotta con successo. La nuova visione sarà tanto più efficace, quanto maggiore sarà la coincidenza d’interessi all’interno della comunità, e questo accade sempre anche quando il racconto e i canali di comunicazione sono corretti.

 

Sassi

Il rapporto tra Sassi e il resto dell’urbe non è un fatto di oggi, è un rapporto antico nella storia di Matera, spesso conflittuale. Dai Sassi al Piano, dai Sassi alla città dei nuovi quartieri. Certo è che oggi questo rapporto assume una nuova dimensione.

Il dualismo ricorda quello che Gramsci indica tra città e campagna tra una dimensione progressiva (la città) e una arretrata (la campagna), tra Settentrione e Mezzogiorno. Ma, per un accidente della storia le parti si sono invertite: i Sassi sembrano essere oggi il vero punto d’innovazione, il futuro. La città, soprattutto nella sua dimensione urbana ed urbanistica, dagli anni ottanta in poi, risulta essere non innovativa.

La declinazione dell’innovazione oggi sta nella sostenibilità, nella reversibilità dei processi e nella praticabilità.

Queste categorie sono difatti elementi che riportano a concetti di frugalità e di sintonia con il sistema. La comunità, quindi, oggi dovrebbe attivare politiche e pratiche per favorire le nuove categorie dell’innovazione. Allora, il paradosso rovesciato di campagna-città diventa l’unica cosa che rimane e su cui puntare. In una dimensione necessaria per risolvere un conflitto latente e ricucire il rapporto tra Sassi e Città occorre la consapevolezza piena che i Sassi sono una parte della città e che il diaframma materiale, storico e culturale che li ha da sempre separati debba essere definitivamente abbattuto, facendo pienamente attenzione al fatto che i Sassi non diventino una controcittà. Qui le nuove generazioni possono agire perché prive dei dolori e del ricordo delle ataviche condizioni di arretratezza di vita vissuta nei Sassi e perché esse sono spinte dallo spirito dei nuovi tempi.

Non è stata una cosa usuale che un luogo, abitato in continuità per millenni, evolutosi insieme all’uomo con soluzioni dell’abitato, in un periodo brevissimo sia stato svuotato e i suoi abitanti trasferiti. Non è stato né il primo né sarà l’ultimo caso di spopolamento di un luogo. Questo trasferimento ha coinciso in parte anche con l’epopea del boom economico dei “trenta gloriosi”, con una velocità che oggi potremmo paragonare a quella che stiamo vivendo nella rivoluzione digitale. Una delle caratterizzazioni dei Sassi di Matera è costituita dalla loro, bene o male, conservazione della struttura morfologica ed architettonica. Un centro storico esteso che, nonostante gli interventi postumi conserva ancora il suo pathos.

L’uomo cuce, scuce e poi ricuce. Oggi i tempi sono molto veloci, rischiamo nuovamente di scucire. Nel volgere di trent’anni abbiamo assistito alla fine dell’idea del recupero a favore di una trasformazione dell’assetto di destinazione d’uso degli antichi rioni. Oggi, però, scucire è molto più pericoloso rispetto al passato. Il rischio è insito nel fatto che la nuova trasformazione ha le caratteristiche tipiche dell’irreversibilità dell’azione umana. Non sono in gioco, questa volta, come nel passato le condizioni immateriali ma quelle materiali.

 

Per una nuova convezione sociale

C’è la necessità, quindi, di scrivere una nuova convenzione sociale in base alla quale tutti devono riconoscersi; perché in gioco non c’è l’interesse di una frazione, di questo o di quell’altro credo, di una parte di città o di un’altra parte. E’ in gioco un’identità.

Tutte le scelte di governo e di processo allora diventerebbero conseguenza di compatibilità o d’incompatibilità con la nostra convenzione, caratterizzata, come abbiamo detto, dalla sostenibilità, dalla reversibilità dei processi e dalla praticabilità. Dobbiamo andare oltre la visione dell’affaccio e come in “Alice nel paese delle meraviglie” entrare nell’altra parte della realtà, questa volta vera non sognata, fatta di presente e di futuro. Una realtà dell’umanità che ha il compito di custodire la città e di riconsegnarla alle future generazioni, ancora meglio di come l’ha ricevuta.

Nell’affaccio, nell’immagine del bello, è identificata in maniera plastica la visionedei Sassi. Quest’immagine rischia definitivamente di prendere il sopravvento e diventare destrutturante, facendo passare unicamente l’idea rassicurante di un luogo che genera stupore, “bellezza da cartolina”.

Matera ha quasi bisogno di negare l’affaccio e ha il dovere di proporre la sua realtà, piena di contraddizioni, ritrovando anche “il brutto” che c’è. Come cogliere il senso di questi luoghi senza visitarli? Scoprire i segni delle generazioni che ci hanno vissuto e di quelle che tentano (sempre in minor numero) faticosamente di continuare a farlo.

Superare l’affaccio significa uscire dalla superficialità ed entrare nella realtà (anche quella economico-patrimoniale). Questa sarà una nuova frontiera. La (ri)scoperta del touch, di quello che vedi e tocchi, della mobilità umana contro quella virtuale. Ecco perché questa linea oggettivamente di controtendenza rappresenta una novità, perché è quello che già chiedono i visitatori più attenti della nostra città, e in generale delle città d’arte; non chiedono certo cappellini imitazione lontana dei Borsalino offerti per strada da venditori abusivi.

La convezione è questa, quella che garantisce un pezzo di futuro e la nostra identità.

Non ha senso comunicare solo visivamente, ha senso vivere la città e contaminarsi con essa. Solo una città viva, vera, vissuta da umani, non da figuranti o scenario per i The Truman Show, è nelle condizioni di trasmettere la sua unicità.

Il limite di quest’idea è rappresentato dal fatto che il capitalismo speculativo è veloce, sfuggente e mobile, predilige i luoghi fermi e agisce nel breve termine. La nostra visione, invece, è a medio-lungo termine. Ma, come disse Keynes ironizzando “nel lungo periodo siamo tutti morti”. Quindi, sguardo lungo ed agire qui e ora! Alla domanda di sviluppo occorre rispondere con la tutela del patrimonio e l’identità. Raccontare che le due cose coincidono se è condiviso l’obiettivo. La risposta sarà sempre l’interesse generale verso quello particolare. Anche l’impresa deve sempre tutelare il proprio capitale sociale e, per molte di esse, questo è costituito dalla tutela dell’Heritage e dalla necessità che i processi messi in campo siano sempre reversibili. Noi tutti, compreso le imprese, non possiamo tagliare il ramo sul quale siamo seduti.

L’obiettivo, quindi, è lavorare perché l’idea di una minoranza diventi l’idea di una maggioranza e il metodo è stringere alleanze.

La forza dei Sassi non sta nella ricettività ma nella residenzialità e nella sua storia. Come potremo mai consentire che un luogo che per sua natura ha necessità di essere interamente tutelato debba trasformarsi in un gigantesco B&B? La domanda, semplicissima, che noi tutti dovremmo porci, è la seguente: il mondo cosa vuole incontrare a Matera? Un contenitore di ricettività turistica (alberghi, ristoranti e street food) oppure tutto quello che abbiamo raccontato di essere e di voler essere?

E proprio a tal proposito permettetemi di citare un passo dell’intervento di Raffaele Giura Longo dal titolo “Sassi: da museo a città” che fu da lui letto il 9 febbraio 2001 al convegno sul tema “Sassi, dal recupero al riuso”:

”…non si tratta, infatti, come sappiamo bene da tempo, di un ritorno indietro, di un voler porre al centro dell’attenzione un documento o un monumento che ci viene dal passato anche lontano e che noi vogliamo riproporre così come esso ci è stato consegnato dalle generazioni precedenti; e ciò semplicemente perché i Sassi di oggi sono diversi da quelli del passato, essendosi essi modificati, ed anche profondamente, nei secoli.”

La cosa che dobbiamo fare, quindi, è rendere anche questa città normale, vissuta da una residenzialità normale non a pagamento o ad ore. Di qui la necessità di alzare gli argini e lavorare per la tutela, perché il tempo che viviamo non può che essere il tempo della coltivazione del lievito madre, della coincidenza del luogo materiale con quello immateriale.