Futuro Remoto, I racconti Futuro remoto

Ri(e)voluzione_Deborah Genovese

_Galleggiavo in una dimensione sconosciuta, in un regno che era una novità per i miei sensi spenti e assuefatti dalla quotidianeità. Estraniarsi da un mondo dove ogni angolo, anfratto, cantuccio era collegato a un altro luogo, posto, spazio era, se non impossibile, per lo meno difficile. Non bastava spegnere il telefono, staccare il modem, scollegare il televisore; non bastava chiudersi in casa tra elettrodomestici intelligenti e congegni che agevolavano la mia vita. Neppure sulla più alta montagna che circondava la mia città potevo trovare la solitudine che cercavo: fili del telefono, dell’elettricità, impianti di ogni tipo. C’era ancora un posto dove l’uomo non era giunto?

Chiudevo gli occhi e vagavo con la mente percorrendo strade, esplorando palazzi, alla ricerca di un luogo incontaminato; e poi lo trovai nel posto più improbabile per la mia realtà: una biblioteca semi diroccata e quasi del tutto abbandonata. Ogni tanto gruppi di manifestanti composti per lo più da ragazzi che cercavano di contrapporsi alle tendenze della società, vi si accalcavano protestando, cercando fondi e sovvenzioni, non capendo che non stavano facendo altro che omologarsi in un altro modo, seguendo un altro tipo di corrente conformista; ma tutte le volte che c’ero passata non avevo mai visto nessun ragazzo uscirne con un libro sotto braccio. Solo qualche vecchietto nostalgico che forse ripensava alla sua infanzia, a quando, su quell’ammasso di carta, lui ci studiava.

Ormai era storia che veniva insegnata a scuola su modernissimi registratori che riportavano le parole di qualche studioso, storia letta su schermi, storia trasmessa ad altissima definizione. Mio nonno mi raccontava che lui studiava il futuro, invece. Studiava quello che l’uomo avrebbe fatto perseguendo quella strada di evoluzione illimitata, e quelle proiezioni e statistiche alla fine si erano avverate, diventando il presente. Prima i combustibili, poi il petrolio, e persino la carta si era esaurita: i pochi alberi rimasti sul pianeta avevano il fondamentale ruolo di polmoni, sempre più anneriti da un enorme fumatore che non aveva cura della propria salute. Mio nonno lo diceva, nessuno pensava seriamente che i libri cartacei potessero scomparire, anche se ai suoi tempi già si stava avviando una massiccia digitalizzazione; ma quella piccola scatoletta di sapere era sempre lì,

presente, imponente, con secoli di storia reggeva il confronto con quelle tavolette elettroniche che andavano spacciando per il “futuro”.

“Come se delle parole su uno schermo possano chiamarsi libri!”, diceva con un tono tra il seccato e l’ironico.

Purtroppo lui e tanti altri sono stati costretti a ricredersi.

Mio nonno aveva dei libri. Aveva libri molto vecchi appartenuti al padre, libri di scuola, libri di favole. Non aveva mai voluto adattarsi, lui. Scriveva i suoi appunti a mano, su carta, e quando questa aveva iniziato a scarseggiare, aveva iniziato a “riciclare” i suoi libri, annotando al margine, occupando ogni spazio bianco possibile con i suoi pensieri. Mi aveva raccontato che un ritorno al passato era inevitabile, nella ciclicità della storia; che quando andava a scuola studiava di persone del passato che facevano quello che faceva lui, perché anche secoli fa la carta era una risorsa rara e preziosa. Guardavo un po’ stupita mio nonno. Poteva semplicemente scandire i suoi pensieri e un apparecchio li scriveva per lui. Perché fare una fatica inutile? E perché conservare tutta quella vecchia carta, gialla e puzzolente?

E poi volli provare.

Per la prima volta presi un libro con curiosità e lo sfogliai, inalando il profumo – sì, era un profumo, non un odore sgradevole come pensavo – sfiorando le pagine con attenzione, attenta a non stropicciarle, quasi accarezzandole. Iniziai a leggerlo. E più leggevo più mi rendevo conto che dovevo scappare; più leggevo più capivo che dovevo lasciarmi tutta questa tecnologia alle spalle, fare un tuffo nel passato e leggere, leggere, leggere…

Mi svegliò il trillo insistente del cellulare. Scattai a sedere e accesi la lampada sul comodino. Allungai la mano verso il display luminoso e mi sentii pervadere da un moto d’ira. Senza neppure guardare chi fosse, afferrai l’apparecchio e lo scagliai ferocemente dall’altro lato della stanza, sentendolo sbattere contro l’armadio. Ancora un po’ scossa per il gesto inconsueto, i miei occhi furono attratti dal libro sul pavimento, abbandonato. Mi chinai per raccoglierlo e mi sedetti sul ciglio del letto, posandomelo in grembo. Accarezzai la copertina e ne sfogliai delicatamente le pagine, fino ad arrivare al punto in cui avevo interrotto la lettura. Scorsi le righe e mi rituffai nel mondo che avevo lasciato, un mondo che preferivo di gran lunga al mio e che ero ansiosa di riscoprire. Mi sistemai un po’ meglio e fui dentro, lontana dalla mia camera, lontana dalla mia realtà, fluttuante in una dimensione di emozioni e colori che mi pervasero e riempirono.

Mentre scivolavo tra le carte, prima di perdermi totalmente, solo due parole echeggiavano tra i miei pensieri:

“Grazie nonno”.