I racconti "brevissimi di Energheia"

I brevissimi 2023 – Rapsodia di un morto nel Bardo, Matteo Vitale_Roma

Anno 2023, tema: La primavera

Nella baraonda dei tempi che fuggono, seppellito in un oceano di ricordi, sono rimasto tutto il
giorno sul divano, come questo cowboy in televisione ormai in trappola circondato dai nemici, con
gli ultimi colpi in canna. Eppure ci va lo stesso, esce dal suo vicolo cieco, perché non ha scelta,
ormai è braccato, tanto vale vendere cara la pelle. Esce dall’angolo in cui era nascosto sparando
all’impazzata, scaricando sulle guardie gli ultimi proiettili, mentre i nemici lo crivellano facendolo
stramazzare sanguinante nella polvere. Sputando l’ultimo grumo di sangue rappreso, guarda i corvi
volare nel cielo azzurro tenebra. La telecamera si dimentica del cowboy lasciato a morire sotto al
sole nel deserto, mangiato vivo dai corvi, per seguire una mandria di cavalli, che si dirige
all’orizzonte dove scorrono i titoli di coda. Resto a guardare i titoli scorrere sullo schermo, con una
busta di cereali vuota sulla felpa coperta di briciole. Con il muso sporco e la bocca impastata, butto
la testa sul cuscino. Poco prima di scivolare nel limbo del dormiveglia fissando il salotto che sfuma
e si squaglia man mano che le palpebre calano continuo a pensare alla stessa frase “l’io è un altro
dice Rimbaud, ma gli altri sono l’inferno risponde Sartre”. Me lo ripeto fin quando le parole non si
allontanano in un oblio di suoni deformati che si trasformano in immagini mute.
Sprofondato immobile nella pelle del divano vengo attraversato da una corrente di parole
inarrestabile. Come se nell’inconscio ci fosse un dj logorroico che trasmette tutto il giorno un
monologo interiore:
Così inizia il resto della vita, la fine di tutto arriva così, all’improvviso quando meno te lo aspetti e
non ti accorgi subito che è arrivata. Si presenta come se fosse uno dei tanti inconvenienti, qualcosa
che hai già visto passare tante volte, ma questa volta per qualche motivo è diverso, quell’imprevisto
ha deciso di restare. Nel resto della tua vita dovresti campare di rendita con quello che hai costruito
quando tutto era possibile. Ma sei stato uno sperperatore seriale di soldi, uno scialacquatore di
sogni, un procrastinatore patologico. Hai passato la prima parte della tua vita nel culto del sacro
sperpero, senza pensare alle conseguenze, ma poi pensandoci bene, un sacrificio in un rituale è uno
spreco assoluto. Il gesto più sacro di tutti è lo spreco, il tempo non fa che sprecare tutto. Il corso del
fato cosmico si incarna nell’entropia. Questo è ciò che racconto alle ragazze per convincerle a
spogliarsi. Lo so sono solo problemi da borghesi decaduti, ancora più ripugnanti dei nobili decaduti.
Rispetto ad un sottoproletario i tuoi problemi sono insignificanti, rispetto ad un borghese
aristocratico i tuoi problemi sono poco interessanti. Vi importa solo di salvare le foche, strappare
dalla povertà mezzo mondo, far cessare tutte le guerre, fare un mondo migliore. Chi vi può
biasimare in questo? Io, in nome di Dio. Come fate a non capire che dovete occuparvi di me.
Dobbiamo trovare insieme una soluzione ai miei problemi. O meglio, dovete trovare una soluzione
a problemi creati da me. Non chiedo tanto. Comitati, associazioni, campagne mediatiche,
fondazioni, crowdfunding, partiti, sette, chiese, governi, organi nazionali e internazionali, la fao,
l’onu, la nato e chiamate voi chi ho dimenticato, tutti mobilitati a salvare l’unica ragione per cui
vale la pena di vivere su questa terra: me medesimo. Altro che foche, altro che panda, altro che
salvare la terra. Salvate me. Cosa stavo dicendo? Ah sì, il resto della vita. È il risultato di una serie
di addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni e divisioni. Se ti resta zero, ci sono due possibilità, che tu
non sappia contare, nel mio caso è possibile dobbiamo dircelo, oppure che non ti sei saputo
amministrare, sei in bancarotta fraudolenta, gli strozzini ti stanno per venire a pestare. Ed è a quel
punto, quando hai perduto tutto che bisogna rilanciare, vivere felicemente al di sopra delle proprie
possibilità, “siate risoluti a non servire più ed eccovi liberi”, ma chi la vuole poi questa libertà?
aneliamo ad una schiavitù confortevole, ma non c’è più uno in giro che sappia fare il padrone, i
bastian contrari sono disperati non sanno più a chi rivoltarsi, i comici sono tutti in depressione
perché non sanno chi deridere. Queste parole sono rivolte all’unico pubblico possibile oggi: il regno
dei morti. L’unico che potrebbe ancora ascoltare, mi riferisco ovviamente ai trapassati che ci hanno
preceduto, nessuno ha ancora provato se possano o no leggere. Scrivo per i fantasmi. Non è più
possibile parlare al pubblico contemporaneo. Non mi fido neanche dei posteri, perché ho già visto i
posteri delle ere precedenti. Tra l’altro il mio agente immaginario dice che è un mercato
incontaminato, c’è molto margine di crescita. I morti sono tanti, ce ne vuole per riempire
un’eternità, dovranno pur leggere qualcosa con tutto quel tempo da perdere. Naturalmente per
accertarsi delle vendite in quel mercato, ci sarà bisogno di un medium per mettersi in contatto con il
mio editore nell’al di là, che si fa chiamare Dio. Vorrei solo dire a quel ragazzo che sta per nascere:
non farlo, torna indietro. Non farti ammaliare dalle sirene delle parole, legàti all’albero maestro per
non farti dannare. Non seguire il bianconiglio nella sua tana. Se diventi superfluo, non usare
Voltaire per dire che il superfluo è necessario, come vado ripetendo, aggiungendo anche “quando
all’apparenza diventi superfluo, nei tuoi liquidi quantistici hai raggiunto uno stato di totale assenza
di entropia, è la tua transizione verso il superfluido, quando raggiungi una certa temperatura critica”
scopiazzando e travisando qua e là l’idrodinamica quantistica. Sai come va? ad un certo punto si
presenta alla porta la realtà, bussa insistentemente, appena le apri dice “vieni con me”, allora
rispondi “neanche per sogno” mentre ti trascina fuori dalla tana. Arriva la resa dei conti in un
regolamento senza sconti. Come al solito ho dichiarato falso in bilancio. Bancarotta fraudolenta. Le
mie azioni colano a picco. Ho ipotecato la vita al monte dei pegni. Se non dimostro di esistere ma la
sequestrano, mi requisiscono l’identità, mi sfrattano dalla mia vita. Verranno due gendarmi con i
pennacchi a dirmi “lei chi è? Cosa fa? Perché non fa un cazzo? Non crea, non procrea, screanzato.
Ora la sua vita la viviamo noi, visto che lei non è capace”.
Per un attimo riprendo vita, con fatica tiro su la palpebra impastata di sonno ma è un falso allarme,
ricado con la testa sul bracciolo del divano.
Chiuso il sipario si apre un deserto di notte con un falò acceso. Un cavallo nero dorme steso vicino
ad una tenda. La fiamma del falò diventa blu, a furia di fissarla vedo un cristallo al centro che
vortica su se stesso levigandosi tra le fiamme. Lo guardo così tanto da entrarci dentro. Una sala di
vetro che diventa una sala di specchi man mano che la percorri, fin quando il pavimento non inizia a
creparsi e cadi giù come in un laghetto ghiacciato. Resti congelato al centro del cristallo,
guardandoti da fuori come se fossi un nocciolo incastonato in un diamante di ghiaccio. Lentamente
svanisci in un bianco latte ovattato, evaporando in piccole bolle di ghiaccio che scoppiando
diventano fiocchi di neve. Precipiti giù ondeggiando cullato da quel dolce cadere. Fin quando non ti
schianti al suolo, esplodendo in mille gocce ghiacciate che schizzano da tutte le parti. Vai in
frantumi come un bicchiere caduto di mano. Restano frammenti di specchi rotti a terra. I pezzi di
vetro sparsi si sciolgono, restano gocce sulla terra umida. Divento seme, poi radice, infine fiorisco.
Il vento mi spazza via, vedo petali volare nel polline primaverile, divento un uccello che dall’alto
sorvola una pianura immensa, vengo colpito dal proiettile di un cacciatore, precipito in un fiume,
divento un pesce che come una macchina nella formula uno sfreccia tra i vortici, gli ingorghi e le
curve fino a sfociare nel mare diventando un corallo sul fondale. Guardo tutto il giorno il sole
trafiggere la superficie del mare con raggi che lo illuminano come un riflettore. Mi sgretolo in una
polvere d’oro che risale il raggio di sole in una beata ascesa. Immerso nella spuma celeste del cielo,
varco la soglia della stratosfera. Nel freddo universo pieno di detriti che navigano divento roccia
che rotola verso il sole, appena entrato nell’orbita solare mi scongelo iniziando a diventare
incandescente, fino a diventare un meteorite che si schianta nel sole in un’esplosione nucleare.
Quando tutto si spegne resta solo un profondo abisso buio, al cui termine c’è un triangolo dentro un
quadrato dentro un cerchio che girando formano una spirale. Vista dall’alto la struttura geometrica
forma un occhio. Cado nell’occhio precipitando a testa in giù.
In questo precipizio che è la vita bisogna imparare ad aggrapparsi a qualunque sporgenza
dell’abisso, per strappare un pezzo di gioia mentre cadi a testa in giù, abbracciato all’unica cosa che
sei riuscito a trattenere in questo viaggio dal tutto al niente”.
Una porta che sbatte mi sveglia di soprassalto, mia madre sta urlando “sono le quattro! Stai ancora
dormendo?!” mentre sbatte gli sportelli della cucina sistemando la spesa appena comprata al
supermercato.