L'angolo dello scrittore

Mercato, prezzi e promozione culturale

Alla Fiera della Piccola e Media Editoria che si è svolta lo scorso dicembre a Roma, animato dibattito tra addetti ai lavori a proposito della legge Levi sul prezzo del libro che limita lo sconto al 15%. I problemi legislativi e commerciali devono fare i conti con il grave calo dei lettori: nel 2011 gli italiani che hanno letto almeno un libro sono stati 700.000 in meno del 2010. Si è inoltre tenuto un seminario per esaminare le possibilità di collaborazione e di interscambio editoriale tra Italia e Cina.

_di Fabio Mercanti_

La legge Levi un anno dopo

Il quartiere Belville di Parigi si trova nel XX arrondissement nella zona est della città. Se non fosse per il cimitero Père Lachaise (quello dove tra i tanti c’è anche James D. Morrison) e per aver fatto da scenografia per le dis-avventure del capro espiatorio Benjamin Malaussène (il più noto personaggio di Daniel Pennac), molto probabilmente il quartiere non sarebbe conosciuto internazionalmente per i suoi casermoni e per le anonime vie che si snodano al suo interno. Quartiere popolare ad alta percentuale di immigrazione, avvolge con odori di cucine multietniche che riempiono l’aria di una Parigi meno turistica, meno artistica, meno anni ’20.

In questa realtà vive una libreria indipendente, Le genre hurbain[1], con un assortimento concentrato su saggistica d’ampio respiro con particolare attenzione alle mutazioni urbane e sociali. Quindi non una qualsiasi libreria di varia, pallida fotocopia arrancante della libreria di catena votata al best-seller e al classico della letteratura in edizione supereconomica.

A raccontarci di questo gioiello è Ilaria Bussoni di DeriveApprodi (interessante realtà indipendente dell’editoria romana) durante l’incontro «Da una legge all’altra» organizzato in occasione di “Più libri più liberi”, la fiera della piccola e media editoria che si tiene a Roma ormai da 11 anni. La legge al centro dell’incontro è la legge Levi sul prezzo del libro che limita lo sconto al 15% e che risale al settembre 2011[2].  Dopo un anno gli addetti ai lavori si ritrovano pubblicamente a discutere dei risultati e dei propositi futuri.

Il paragone conla Franciaè quasi obbligato quando si parla di legge sul prezzo del libro, di libri e di lettura. Infatti, al di là delle Alpi una legge che regoli il prezzo del libro c’è già dal 1981, con un bel trentennio di anticipo rispetto all’Italia. Inoltrela Franciaè un paese tradizionalmente  attento all’educazione alla lettura sin dall’infanzia e che sostiene realtà culturali come le librerie indipendenti che possono vivere lì dove una catena non investirebbe mai. Questo perché si riconosce al libro un ruolo sociale, civile e culturale che travalica lo stesso valore materiale del bene. E lo stesso discorso vale per la libreria, che è qualcosa di più di un semplice esercizio commerciale.

Dopo un anno, la legge Levi sembra comunque qualcosa che non riesce (e forse non è mai riuscita, perché troppo in ritardo) a reggere il passo con le problematiche che il mercato del libro presenta.

La prima difficoltà è quella relativa alla stessa applicazione della legge. Sul blog dei Mulini a vento (gruppo di editori indipendenti particolarmente attivi nel difendere il loro ruolo oltre che la loro azienda)[3] si denunciano violazioni della legge nonché il disinteresse o il falso interesse da parte della classe politica verso queste realtà imprenditoriali a favore degli oligopoli editoriali che controllano tutta la filiera del libro, dall’ideazione alla distribuzione e alla vendita.

Oltre a quelle relative alla legge in particolare, parlare oggi di una legge per il libro in Italia apre a problematiche internazionali di vario genere e non puramente commerciale. Come le spinose questioni sul diritto d’autore (non solo sanzioni ma innovazione), l’Iva sui libri digitali (ora al 21%) e quindi la stessa denominazione del prodotto libro, la promozione della lettura attraverso biblioteche (anche quelle scolastiche e di quartiere) e, per quanto possibile, cercare di salvaguardare una varietà nazionale di editoria (nel senso più ampio del termine).

In Italia mancano degli strumenti normativi e una particolare attenzione a questo tipo di problemi. La politica attribuisce un certo immobilismo alla necessità di rispondere alle normative europee riguardo la materia. Ma intantola Franciaha intrapreso la sua strada, abbassando l’Iva sul libro elettronico al 4% (invece del 21%) considerandolo quindi alla stregua libro cartaceo. E ciò non ha solamente un valore ai fini fiscali, ma anche della stessa percezione e interpretazione di un prodotto.

Come ha sottolineato Enrico Iacometti (Presidente del Gruppo dei piccoli editori Aie) la legge Levi è stata l’«aspirina contro una malattia grave». Qualcosa che non basta quindi, che necessita di studi più approfonditi, di analisi ulteriori e intenti comuni per migliorare le condizioni del malato. E sicuramente ora sarebbe il momento per discutere riguarda l’Iva sui libri elettronici visto che il settore, per quanto in forte crescita, costituisce ancora una bassa percentuale nel complessivo mercato del libro (1% del mercato trade)[4].

Tutti, dai rappresentanti di categoria (presente anche Marco Polillo presidente dell’Associazione Italiana Editori) agli ospiti istituzionali (presente Paolo Peluffo sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per il governo Monti) agli editori, convengono nella necessità di un intervento deciso e orientato al futuro.

Il sottosegretario Paolo Peluffo ha precisato che il governo Monti ha seguito la linea di coerenza con le direttive Ue e per questo non ha intrapreso scelte discordanti per quanto riguarda l’Iva sugli e-book. Il membro del governo ha inoltre sottolineato una realtà ancora più drammatica del caso italiano: la mancanza di lettori. Problema atavico ormai è la scarsa domanda di libri in Italia, la mancanza di cultura alla lettura, soprattutto in un paese che deve risollevarsi economicamente e deve proporre eccellenze a livello internazionale. Piuttosto, gli italiani che nel 2011 hanno letto almeno 1 libro sono stati 700.000 meno del 2010 e si tratta spesso di persone che devono essere riconquistate di volta in volta come lettori dal punto vendita, dall’editore, dall’autore, dal titolo.

È comprensibilmente difficile trovare una soluzione a questo problema. Non basta passare per i tortuosi banchi del Parlamento e giungere all’approvazione di qualche legge. Non basta finanziare realtà culturali e imprenditoriali (potrebbe essere necessario aiutare ad esempio per investimenti in strumenti informatici e nuove competenze necessarie, ma comunque significherebbe aiutare imprese importanti in difficoltà e non dare linfa vitale al settore). E soprattutto non basta fare spot che raccontino di come leggere sia fondamento della nostra cultura, formi la persona o sia un’esperienza unica che ci fa vivere esperienze nuove e inaspettate.

Sarebbe necessario essere in grado di offrire stimoli di lettura ad ognuno, e che questi continuino nel tempo. In Italia invece persiste quell’insana idea che i libri abbiano a che fare solamente con lo studio e che terminata questa necessità venga meno il rapporto con i libri. Oppure che leggere sia un’attività di evasione, un diletto, un vezzo volto alla “cultura personale”. Forse la promozione della lettura dovrebbe partire proprio da questo: da una corretta interpretazione dell’attività di lettura. Ed è necessario che tutti si impegnino a partire dalle scuole (ma sia le maestre elementari che i docenti universitari dovrebbero essere dei lettori) e dalle famiglie (ma in famiglia c’è spazio per la lettura?), e poi negli ambienti di lavoro pubblici e privati che hanno bisogno di cervelli e idee. Inoltre gli stessi lettori dovrebbero essere i primi promotori, avendo così molto di più da condividere (non solo tra loro ai circoli di lettura o nei blog letterari). E finalmente si aiuti a capire che leggere è utile per avere quegli strumenti necessari per comprendere questo mondo e non per evadere e fuggirlo.

Editoria tra Italia e Cina

 

Accanto alla realtà italiana e europea e alle rispettive problematiche riguardo a un settore in travagliato e in entusiasmante sviluppo, la manifestazione “Più libri più liberi” ha aperto a orizzonti internazionali invitando in fiera tre rappresentanti dell’editoria cinese[5].

Liu Kayang ha proposto un quadro generale sulla situazione dell’editoria, presentandola come una realtà viva e dal potenziale notevole. Con 580 aziende editoriali e 90 gruppi editorialila Cinaè una delle realtà più importanti del mondo non solo per quanto riguarda lo sviluppo economico e i dati relativi al Pil, ma anche come realtà culturale.

Il più grande gruppo editoriale cinese è il China Publishing Group nato nel 2002 e che al suo interno comprende ben 12 realtà editoriali – tra cuila People’s press,la People’s literature press,la Chinaenciclopedia press –  commerciali – comela Xinhuabookstore – ma anche operative nell’import-export e nella compravendita dei diritti. A riguardo bisogna tener presente che la legge sul copyright in Cina esiste solo dal 1990. Il China Publishing Group è amministrato dallo stato e le sue principali pubblicazioni sono le opere di Marx, Engels, Lenin, Mao, Xiaoping e gli altri leader cinesi più recenti.

Dal 2002, con l’entrata nel WTO della Cina, il China PUblishing Group ha avuto un forte sviluppo oltre che per l’amministrazione statale anche grazie alla possibilità di investimenti stranieri.

Oltre ai titoli in madrelingua quelli importati sono soprattutto in lingua inglese e giapponese, mentre l’Italia è all’8° posizione. Le barriere culturali frenano la diffusione di testi che provengono dalla cultura italiana ed europea. Infatti, anche per quanto riguarda i libri per bambini, e in generale tutti i testi, hanno più successo prodotti con una impronta culturale americana, piuttosto che europea.

Come ha precisato Xu Guoquiang della SDX Joint Publishing Co.[6] (casa editrice specializzata su pubblicazioni di arte e storia della Cina) i cinesi sono sempre più interessati alla storia e all’arte europea, e quindi anche italiana. Ciò può costituire una opportunità per gli editori italiani anche piccoli ma specializzati, che volessero dare vita a una joint venture con aziende editoriali cinesi per realizzare prodotti destinati a quel mercato. Impresa non semplice vista la distanza culturale (anche riguardo alla cultura economica, imprenditoriale e editoriale) tra i due paesi.

Primo fra tutti è importante comprendere il ruolo delle istituzioni che intervengono nella concessione di permessi e licenze per poter pubblicare. E quindi la conoscenza delle leggi cinesi nel campo delle pubblicazioni editoriali, del commercio e che regolano i rapporti tra aziende cinesi e estere. Inoltre, altrettanto importante e saper scegliere il partner. Proprio per le diversità di tradizioni imprenditoriali può essere difficile trovare un partner adeguato al progetto che si vuole avviare. In ogni caso, come sempre accade in questi casi, è importante approfondire ogni aspetto della realtà cinese culturale e non, anche nelle sue disparità sociali e regionali. Una curiosità (per molti aspetti da non sottovalutare): il libri possono essere tolti dal commercio nel caso non raggiungano degli standard di qualità. Questi possono essere misurati anche in base ai refusi: il massimo consentito è di 1 errore per 10.000 caratteri.

Interessante èla New StarPress, realtà editoriale dinamica e guidata da giovani con pubblicazioni di vario genere: libri per bambini, guide turistiche di mete internazionali, le vicende di Sherlock Holmes, libri d’arte e testi sulla saggezza cinese applicata alla vita di tutti i giorni.

Il settore editoriale in Italia è composto da molte imprese piccole e medie che si rivolgono a dei lettori che sembrano scarseggiare sempre di più e che sono travolti dalle pubblicazioni di editori con maggiore forza promozionale, distributiva e commerciale. Per questi editori, che a volte si rivolgono a delle nicchie, ma in generale anche per i grandi gruppi, il mercato cinese, con più di 1 miliardo di abitanti, potrebbe essere una occasione. Non si tratta ovviamente di una corsa all’oro, ma di una opportunità che deve avere fondamenti nello scambio culturale tra i due paesi e che quindi può essere un tassello del rilancio dell’Italia, promuovendosi all’estero con i suoi prodotti editoriali che proprio come quelli del design, della moda, dell’artigianato e dell’enogastronomia sono importanti realtà del made in Italy.

 

 

 

 


[1] http://www.legenreurbain.com/index.php

[2] Ne avevamo parlato qui http://www.retididedalus.it/Archivi/2011/novembre/LUOGO_COMUNE/1_politiche.htm

[3] Donzelli, Instar libri, Iperborea, La Nuova Frontiera, minimum fax, nottetempo, Voland. Il blog èhttp://leggesulprezzodellibro.wordpress.com/

[4]http://www.piulibripiuliberi.it/VIS/VIS_Items.aspx?IDUNI=23whzdpfo0ai0qwixpeskrz59661&MDId=5215&Skeda=MODIF2313-138-2012.12.8

[5] Il seminario nasce da un’iniziativa dell’ICE (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane) e dell’AIE (Associazione italiana editori) le quali già collaborano nell’organizzazione del padiglione italiano alla fiera del libro di Francoforte e di Londra. Dal 2006 l’ICE si occupa anche dello stand italiano alla fiera del libro di Beijing che si svolge tra agosto e settembre. Sito web ICE http://www.ice.gov.it/ e AIE http://www.aie.it/

[6] http://www.sdxjpc.com/bq/newsdetail.cfm?iCntno=2733