L'angolo dello scrittore

La scuola secondo Farid

Amani – 23  settembre 2011 – di Claudia Robustelli_

 

“Quel che c’è dietro di noi e quello che c’è prima di noi, sono piccolezze se comparate a ciò che si trova tra di noi”. Ralph Waldo Emerson, scrittore e filosofo americano, 1803-1882

 Le parole di Emerson si adattano bene alla storia di Farid James Omar, un ragazzo proveniente dai Monti Nuba che ha perso i suoi genitori ed è riuscito a sottrarsi alla schiavitù e ora sta tentando di realizzare i propri sogni in un paese straniero. Farid racconta la propria storia in modo deciso e risoluto, nonostante l’atteggiamento riflessivo e la naturale tranquillità. Non fa trapelare alcun riferimento alle sofferenze subite in passato, prima che giungesse a Nairobi, dove è diventato uno dei migliori studenti della St. Elizabeth Boys High School del ricco quartiere di Karen.

Nato nel 1986, Farid è il penultimo di sei figli di una modesta famiglia di fede cristiana che viveva ad Abri, piccolo villaggio sui Monti Nuba, al centro del Sudan. Il padre coltivava un piccolo terreno, mentre la madre lavorava in casa. I genitori di Farid cercarono di garantire ai propri figli cibo, vestiti e un tetto. “Solo due dei miei fratelli maggiori frequentavano una scuola araba vicina”, racconta Farid, “noi stavamo a casa, poiché i nostri genitori non potevano sostenere la spesa per le tasse scolastiche”. Quando Farid aveva sei anni, suo padre si ammalò e morì, lasciando l’intera responsabilità della gestione familiare alla moglie. Poi, tre anni dopo, la tragedia colpì ancora la famiglia di Farid, quando le forze governative impegnate nell’offensiva contro il Sudanese People’s Liberation Army (Spla), raggiunsero Abri. I soldati sconvolsero la vita del piccolo villaggio, spararono indiscriminatamente, bruciarono le abitazioni e rapirono donne e bambini per ridurli in schiavitù. Irrompendo nella casa di Farid, trovarono il ragazzo intento a lavorare con la madre. Le spararono a sangue freddo e prima che Farid potesse rendersi conto della situazione, lo afferrarono e lo portarono lontano dalla madre che giaceva in una pozza di sangue. Dozzine di altri bambini e donne, furono rapite anche dai villaggi circostanti. I soldati li legarono e li obbligarono a marciare senza conoscere la meta. Il loro viaggio fu difficile, i lacci ai piedi provocarono vesciche e ferite, ma, nonostante ciò, i soldati li costrinsero a continuare. “Sono rimasti i segni delle contusioni dovute alle bastonate che abbiamo ricevuto durante la marcia”, ricorda impassibile Farid.

Dopo due giorni di cammino, i prigionieri furono condotti in un campo militare, nella località di Dadami. Al campo furono costretti a svolgere i lavori più umili per i soldati. Tutti i giorni i prigionieri venivano svegliati prima dell’alba per lavorare senza sosta, dalla mattina gelida fino a sera: spazzavano, cucinavano, pulivano, raccoglievano l’acqua e la legna per il fuoco. Qualsiasi segno di affaticamento giustificava una punizione. Ogni sintomo di malessere veniva letto come una scusa per sottrarsi al lavoro. Un prigioniero malato fu picchiato e comunque costretto a lavorare. Per i primi cinque giorni, Farid non riuscì a mangiare nulla. Le dure condizioni del campo resero la sofferenza, insopportabile e Farid cominciò a riflettere su come la sua vita fosse cambiata così improvvisamente. Iniziarono ad affollarsi i ricordi dei giorni felici trascorsi prima che i suoi genitori morissero e si domandò come se la stessero cavando i fratelli e le sorelle. Dopo un mese di permanenza nel campo militare, i pensieri divennero troppo cupi e insopportabilmente dolorosi e Farid decise di provare a scappare: “Sapevo che era molto pericoloso e che se fossi stato catturato sarei stato ucciso, ma la mia mente era determinata”.

Una notte di pioggia intensa, mentre tutti stavano dormendo, Farid scivolò fuori dal letto e sgusciò dalla porta. Fortunatamente, il forte acquazzone impedì alle sentinelle di vederlo. Farid camminò furtivo nella notte e iniziò a correre appena fu sufficientemente lontano dal campo di prigionia. Fu difficile ritrovare la strada per Abri: Farid si trascinò sul sentiero per giorni e trascorse in solitudine due notti al freddo, affamato e affaticato. Alla fine, riuscì a tornare a casa. Era deserta e completamente bruciata. Un abitante del villaggio, sopravvissuto alla strage, gli disse che i fratelli e le sorelle avevano trovato rifugio sulle montagne, presso una chiesa locale. Lo accompagnò dai fratelli e poterono , così ritrovarsi: fu un momento molto emozionante.

La chiesa che aveva accolto i suoi fratelli, si prese cura di tutti loro e li aiutò a costruire una nuova casa. Il fratello maggiore di Farid si fece carico della famiglia ma, come i suoi genitori, non riuscì a sostenere le spese per mandare a scuola i fratelli minori. Fortunatamente, un cugino che aveva trascorso più di dieci anni tra le file dell’Spla, ritornò dal Sud nel 1997. poiché aveva trovato lavoro presso un’organizzazione per i diritti umani, egli si offrì di ospitare Farid e i suoi fratelli in casa sua e li iscrisse in una scuola a Tabari.

Purtroppo la scuola era priva delle strutture necessarie: mancavano libri, penne e matite per gli alunni che sedevano sulle pietre ed erano costretti a seguire le lezioni all’aperto, sotto gli alberi.

Farid ricorda molto bene le difficoltà e la sfida di quella situazione: “Scrivevamo su qualunque cosa passasse tra le nostre mani, vecchi giornali, buste, qualsiasi cosa. Alcune volte scrivemmo direttamente per terra con dei bastoncini”.

Gli insegnanti erano volontari locali, con poca formazione scolastica. Tuttavia riuscirono a far comprendere ai loro giovani allievi come l’istruzione garantisse un sicuro passaggio a una vita migliore. Questo messaggio si fissò, in modo indelebile, nella mente del giovane Farid, che iniziò a studiare fervidamente, sperando una vita diversa, lontana dagli orrori e dalle sofferenze vissute in passato. Grazie all’impegno Farid, in poco tempo, divenne uno dei migliori studenti di Tabari. Nel 2000 Koinonia progettava di sostenere tre giovani promettenti Nuba, per garantire loro l’accesso a un buon livello di istruzione in Kenya. Farid superò facilmente le selezioni. I tre ragazzi volarono a Nairobi, dove vennero accolti da padre Kizito e ospitati presso la Casa di Anita. Successivamente, si spostarono nella Casa di Koinonia a Riruta Satellite, sempre a Nairobi.

“All’inizio, ambientarsi è stato molto difficile”, ricorda Farid. Non parlava nessuna lingua keniana e doveva ancora abituarsi alla sua strana, nuova vita a Nairobi, lontana molte miglia da casa.

Farid fu, però, molto fortunato, perché incontrò Paolino, un amico di vecchia data, che era stato accolto nella Casa di Anita molto tempo prima. Una volta venuto a conoscenza che anche Paolino proveniva dai Monti Nuba, Farid trovò il coraggio e la forza di affrontare le emozioni che la nuova vita portava con sé. In breve tempo imparò il kiswahili e trovò molti amici.

I ragazzi Nuba vennero seguiti da tutor per la loro preparazione scolastica. Nel gennaio 2001, parteciparono ai colloqui di ammissione per la scuola superiore e Farid fu ammesso con buoni risultati alla prestigiosa St.Elizabeth Boys Primari School di Karen. “E’ stato emozionante indossare la mia nuova uniforme e stare seduto a un banco vero, in una classe vera”, scriverà poco tempo dopo Farid in un tema.

Quando gli si chiedono i motivi per i quali ottiene così buoni risultati negli studi, Farid si fa pensieroso: “I miei genitori, ormai lontani da me, non si sarebbero potuti permettere di mandarmi a scuola. Ho desiderato molto avere questo tipo di opportunità e dal giorno in cui sono arrivato al St. Elizabeth, le mie ambizioni sono cresciute ancora di più”. Farid conclude: “Mi piacerebbe diventare uno dei migliori chirurghi esperti in cardiologia. Se si avvererà questo mio sogno, tornerò sui Monti Nuba e contribuirò a salvare molte vite. Non ci sono molti medici e numerose persone, compreso mio padre, sono morte proprio per l’assenza di cure mediche adeguate”.