L'angolo dello scrittore

Il tempo intuito vagamente da scienziati antichi, Gerolamo Cardano

di Roberto Vacca

Il tempo – questa variabile ineluttabile – viene descritta, spiegata, misurata
dagli scienziati attuali meglio di quanto sia mai stato fatto. Però, se proviamo a
seguire le loro spiegazioni, ci troviamo spesso in difficoltà. Questo dipende dalla
complessità delle spiegazioni quantistiche e dal fatto che non abbiamo
esperienza di tempi minimi, come un picosecondo – un millesimo di
miliardesimo di secondo. Impariamo a fare calcoli con questa unità di misura, ma
l’immginazione non ci aiuta.
Non fu di grande aiuto a ragionare sul tempo nemmeno l’intuito di alcuni
grandi scienziati antichi. Non mancava certo di intuito il pavese Gerolamo
Cardano: polimata, medico e astronomo. Nel XVI secolo scoprì i numeri
negativi, i numeri complessi (radici quadrate di numeri negativi) e come
risolvere le equazioni algebriche di terzo e quarto grado; inventò un codice
segreto indecifrabile, la bussola giroscopica e il giunto (“cardanico”) fra due
alberi rotanti non allineati, ma angolati. Gettò le basi del calcolo delle probabilità
e scrisse sue teorie sulla musica e sulla fisiognomica.
Nel 1550 pubblicò “De Subtilitate”, una enciclopedia suddivisa in 21 parti
in cui descrive in modi a volte oggettivi, a volte fantasiosi: vuoto, moto, luce,
metalli e loro leghe, pietre, piante animali (anche generati dalla putrefazione),
anima, intelligenza, spiriti, angeli, Dio.
Cardano ragiona a lungo sulla nostra percezione del tempo, quando siamo
svegli, quando sogniamo e quando siamo in estasi. Nel sonno il tempo si contrae
se non sogniamo o sogniamo poco – se stiamo fermi, non possiamo usare il moto
come misura del tempo e la nostra percezione è distorta.
Non sappiamo che cosa sia il tempo che sempre ci accompagna. Tutto
esiste nel tempo che genera ed uccide tutto, è origine della vita e della morte. Le
attese nel tempo sono lunghissime, la memoria ne è breve. La quantità e la durata
del tempo sono immani, ma non ci è concesso di ripararlo e aggiustarlo..
Non riusciamo a comprendere il tempo, ma solo ciò che in esso esiste, si
compie, rimane. Il tempo è sconosciuto ai nostri sensi: è composto delle nostre
immaginazioni. Nei sogni, negli incubi, quando abbiamo la febbre alta
(tipicamente la quartana malarica) sperimentiamo spostamenti di tempo e di
luogo. Cardano azzarda vaghe spiegazioni ispirate a superficiali considerazioni di
anatomia di fisiologia: le nostre percezioni visive distorte dipenderebbero dal
fatto che i nervi connessi agli occhi sono cavi e in essi fluirebbero spiriti non
meglio definiti.
Altre percezioni visive e temporali anomale sarebbero causate da effetti
ambientali come i miraggi o dai sortilegi delle streghe e dei demoni. Altre visioni
e fenomeni strani si riscontrerebbero in prossimità di vulcani come l’Etna o
l’Hecla che in Islanda erutta grosse quantità di bitume.
Nel 1570 fu arrestato a Como e accusato di eresia e di uso indebito
dell’astrologia. Aveva attribuito azioni famose di santi e martiri all’influenza
delle stelle e aveva perfino formulato un oroscopo di Gesù Cristo. Più prudente
di Giordano Bruno ritrattò tutte le sue opinioni incriminate. Lasciò
l’insegnamento: furono messi all’indice e proibiti tutti i suoi libri, tranne quelli di medicina. Continuò a registrare buoni successi come medico: nel 1553 aveva
curato dell’afasia l’arcivescovo di St. Andrews in Scozia e fu remunerato con
1400 monete d’oro.
I suoi due figli gli sottrassero tutto il suo patrimonio. Era sempre
squattrinato e, dimenticando i suoi studi sul caso e la probabilità, cercò
inutilmente di rifarsi con il gioco d’azzardo, perdendo somme sempre più ingenti.
Nel 1937 mio padre Giovanni Vacca pubblicò “L’opera matematica di
Gerolamo Cardano” in Rendiconti del Seminario Matematico e Fisico di Milano,
in cui illustra l’importanza dei risultati nuovi da lui raggiunti e sorvola sulle sue
credenze astrologiche. Concluse traducendo una bella citazione dal Subtilitate:
“Chi tra duemila anni leggerà queste righe vedrà il mio intelletto. . . .
Rimane dunque dopo la morte ciò che vi ha di ottimo in noi . . . C’è qualcosa
dell’uomo mortale che sopravvive: l’intelletto e l’oggetto dell’intelligenza sono
un’unica cosa, la eterna sostanza.”