I racconti del Premio letterario Energheia

Che tu sia l’inizio della mia fine_Sara Boldrin, San Biagio di Teolo(PD)

 _Racconto finalista ventesima edizione Premio Energheia 2014.
_Menzione Giuria ventesima edizione Premio Energheia 2014.

cena6Ormai è la routine. Ti alzi, ti trascini fino a scuola, muori dalla noia, torni a casa, cerchi di studiare ma dopo mezz’ora rinunci. Ti colleghi su Facebook, condividi qualche foto, poi ti colleghi su Tumblr, mangi, ti metti a letto e capisci che della tua vita non stai facendo un cazzo. Tutti i giorni era questa ripetizione, come un riavvolgimento di una cassetta che veniva fatto partire ogni giorno. Finché non conobbi Lui, che mi stravolse la vita, fino a farla peggiorare e sotterrare nel buio della depressione.

 

E’ arrivato il momento tanto atteso. Dopo cinque mesi che ci sentiamo, oggi usciamo.

Non sai come sto tremando. Ho la sensazione di nausea che mi tormenta e il nervoso mi blocca ogni movimento. Devo essere perfetta. Colpire e affondare il bersaglio. Non voglio rovinare tutto solo per il mio aspetto, cazzo.

Lui è diverso. E’ maturo e penso non sarebbe capace di usarmi. Lui è unico, mi aiuta quando ho problemi e mi da consigli, mi apre gli occhi. Non è uno dei soliti ragazzi che vedi e pensi “che figo”. Ha i suoi difetti ed io li ho amati tutti. Lui è semplice. Amo la sua semplicità.

Okay, sono in Sita. Continuo ad accendere e spegnere la schermata del cellulare. Devo prepararmi mentalmente, devo stare sola con me stessa e la musica. Ho le cuffiette alle orecchie, ma non ho fatto partire la musica. Sto ascoltando il silenzio e la tranquillità che mi circonda, poiché dentro me sta per avvenire una catastrofe.

Cerco di convincermi di essere bella, almeno dicono che appari migliore se ci credi. “Cavolo!Sei stupenda”. Che idiota.

Sfioro ogni sguardo e spero che nessuno si sieda accanto a me. Scendo gli scalini e sussurro un “grazie” all’autista.

Sono sotto i portici. Cazzo, cazzo.

Non ricordo più niente. Forse abbiamo incrociato lo sguardo o forse Lui mi ha detto “ciao” e mi sono girata. Ricordo un abbraccio. Un bel abbraccio lungo e stretto. Io con la testa appoggiata al suo petto.

Mi piace, com’è bello. Ha un bel sorriso che gli illumina gli occhi. La sua voce è dolce, sembra dire “Fidati di me, non ti posso ferire”.

Ci siamo guardati negli occhi, che magia. Mi passano i brividi lungo la schiena.

Le nostre mani si sfiorano e non so come, ci ritroviamo per mano, con le dita intrecciate. Sento il suo calore che scioglie il ghiaccio delle mie mani e del mio cuore. I nostri pensieri sono vicini, le nostre labbra si chiamano, ma noi … noi abbiamo paura. Paura di fare troppo in fretta e pentircene. Noi siamo distaccati. Siamo estranei davanti ai sentimenti che nascondiamo. Noi proviamo qualcosa di perfetto, sentimenti strani, ineffabili.

Abbiamo passato un pomeriggio intero insieme, ci stiamo per salutare.

Vorrei dirgli “ti amo”. Avrei potuto urlarglielo dieci, venti volte, ma non sarebbe vero. Lui mi piace, davvero tanto, ma forse non ci conosciamo ancora abbastanza per dedicarci un “ti amo”. Magari nemmeno se lo merita. Non ne sarei nemmeno capace, il significato di quella frase è troppo forte e mi spaventa. Potrei pentirmene. Sono ancora una bambina per pronunciare certe frasi. Provo forti sentimenti, ma è la novità, il non aver mai fatto un’esperienza simile.

Per amare una persona bisogna condividere una vita intera e noi questa vita dobbiamo ancora assaporarla.

Io non lo amo. Ho solo completamente perso la testa per Lui.

Mi chiede a cosa penso, ma se dovessi dirgli tutte le mie preoccupazioni si spaventerebbe.

Si avvicina sempre più alle mie labbra. Mi sembra di essere in un sogno. Sento il suo fiato sulla mia bocca. Ora sento le sue labbra che mi sfiorano.

Poi è successo. Mi sono sempre chiesta perché chiudiamo gli occhi, forse perché non ci sembra vero, perché le cose migliori accadono nei sogni di notte.

 

Mi sento debole, è tutta la mattina che sono in pigiama. Piedi e mani congelate. Fastidiosissimi brividi lungo la schiena.

Non mi do pace: la mia mente non riesce a trovare un piccolo spazio per riposarsi.

L’inquietudine mi assilla. Sono io quell’inquietudine, non posso liberarmi da me stessa.

Tante volte ho desiderato sparire, troppe persone mi chiedono aiuto, sperando di trovare una spalla su cui appoggiarsi, ma non sanno che crollerei con loro. Mi sforzo di dare i consigli migliori, ma riesco ad aiutare tutti, tranne me.

E’ tanto se mi ricordo di vivere, di respirare. Questi enormi pensieri mi sovrastano la mente, mi fanno dimenticare quello che mi circonda. Si sono impossessati di me.

La casa è vuota, regna il silenzio. Nessuno che urla, che si lamenta o litiga. Tranquillità, come sto bene.

Ho appena fatto la doccia. Ho il cellulare in mano per includere ogni informazione su di Lui.

I capelli bagnati e il profumo che indosso, fanno pensare a una ragazza graziosa.

Non riesco a fidarmi. Automaticamente la mia mente sta cercando qualcosa di negativo, ma non trova nulla.

Aspetta. Un colpo al cuore. Il cuore va in apnea per qualche secondo. Sento il vuoto dentro di me, ancora una volta mi sento inutile.

“Ti manca lei?”. Lei chi?! So che non è riferito a me. “Tanto, ma ormai..”. Ormai cosa?! Non ti voleva? Sei ancora innamorato di quella Lei?

Il nervoso porta a mordicchiarmi le labbra. Gli occhi si riempiono di lacrime, ecco la prima. L’unica.

Non so più piangere. Non è una cosa positiva perché mi aiuta a stare meglio. Voglio piangere, come facevo da bambina, con le lacrime e i singhiozzi.

Con le urla incorporate e quella voglia di spaccare il mondo. Ricordo quella sensazione di liberazione e stanchezza dopo la tempesta, distrutta pure fuori, con solo la voglia di sparire sotto le coperte e abbandonarmi al buio della notte.

Ho un fortissimo mal di testa. Mi sembra di avere una bomba, che fa il conto alla rovescia, ma non finisce mai. La testa pulsa, va a ritmo del cuore.

A casa non trovo pace. Sono ritornati tutti. Gente che urla e impreca. Genitori che sembra parlino da soli, ma la loro intenzione è quella di farsi sentire da tutti. A volte vorrei mollare tutto e abbandonare tutti. Vorrei scappare via.

Sono le 21.00, il mal di testa non mi è ancora passato. Lui dice che ho bisogno di riposare e io gli ho scritto questo:

“Non voglio lasciarti. Ho paura. Dovrei concedermi ai pensieri mentre tu me li fai dimenticare. Tu mi salvi da loro. Tu mi rendi felice. Non voglio abbandonare la mia felicità. Vorrei aspettare che anche tu dorma, per essere l’ultima persona a darti la buonanotte e la prima ad essere nei tuoi sogni.”

 

Qualche giorno dopo l’ho trovato con una ragazza. Il mondo mi è caduto addosso, la testa ha iniziato a girarmi, tutto intorno a me era come in stand-by.

Lui ha lasciato il segno nel mio cuore, come quando il vetro della macchina è appannato e scrivo il suo nome.

Ho ricamato il suo nome sul mio cuore. Non l’ho cucito. L’ho ricamato dolcemente e lentamente.

Non vorrei tornare a casa. Vorrei starmene da sola a piangere. Avrei voglia di salire sul bordo della ringhiera di un ponte, chiudere gli occhi e buttarmi giù. Di notte, quando tutto sembra più cupo e pericoloso.

Penso che la voglia di morire sia, in realtà, la voglia di essere salvata da qualcuno.

Sto tornando a casa. Sul finestrino dell’ autobus, fisso l’unica scritta:“Uscita di emergenza. In caso di necessità rompere il vetro”. Mi sale l’adrenalina. Ho una voglia pazza di prendere quel martelletto appeso di lato e spaccare tutto. Sfogarmi. E’ una necessità, un’emergenza. Sarei giustificata.

 

Le cose con Lui sono peggiorate. Ieri sono crollata. Mi ero ripromessa di non farlo, invece non ce l’ho fatta.

Ho pianto tutto il pomeriggio, non riesco a fingere nemmeno davanti a mia madre che inevitabilmente chiede cosa sia successo. Le dico tutto. Tutto, ma non le parlo del motivo principale: Lui.

Mi sento un’idiota. Una fallita. Sono io che non voglio aprire gli occhi e non accetto la realtà tra me e Lui. Ora ho dato un motivo in più a mia madre per farla stare in pensiero. Un altro problema che si aggiunge alla sua lista di problemi. Che stupida, dovevo starmene zitta.

Sono un’idiota che pensa che un altro idiota possa innamorarsi di me, ma chi vuoi che s’innamori di me? Sono così complicata.

In realtà non ci ho mai sperato, ho sempre saputo che non sarebbe andata. Ho sempre fantasticato pur sapendo che non era possibile.

“E’ un momento di depressione”. DE-PRES-SIO-NE. Tutti si preoccupano. “Non è lei, si vede”.

La mia migliore amica sta male per me, ho creato un disagio pure a lei.

“Non fare conclusioni affrettate”, “La verità non la sa nessuno”. Si invece, tu la sai, io la so. La possiamo immaginare la verità. In fondo non la voglio sapere.

Sono confusa. C’è chi dice che non ci tiene, chi dice che siamo “amici”, chi dice che due amici non si comportano così.

Forse sono momenti, sentimenti falsi. Forse sono una delle tante che gli tiene compagnia, fa la stupida e gli vuole bene. Magari è tanto per dire “piaccio a qualcuno” e quella sono io. Quella idiota alla fine sono sempre io.

 

A ricreazione mi incastro tra l’angolo del muro e il termo. Incrocio le braccia e appoggio la testa.

La mia migliore amica è qui con me. Basta poco per crollare. Una semplice domanda “Cosa ti succede in questi giorni?” e le lacrime iniziano a scendere e a rigarmi il viso.

“Rispondimi”. Ti prego non farmi pensare, non farmi parlare. “Ti prego. Vai via.”

Quando suona la campanella faccio finta di niente. Asciugo le lacrime. Mi perdo in ogni discorso, mi sforzo a stare attenta. Abbasso lo sguardo, non guardo nessuno. Per un attimo incrocio gli occhi del prof, penso se ne sia accorto e stacco freddamente il contatto. I miei occhi non sanno mantenere i segreti.

Vivo nell’illusione di potere diventare qualcosa, noi insieme. Nell’illusione di un abbraccio spontaneo. Vivo in apnea nell’ignoto, in promesse mai mantenute, di parole scritte ma mai dette, in abbracci mancati e occhi mai guardati. Mi sento sola, ma questa sensazione è causata dalla mancanza di una determinata persona. Mi sento pari a zero, come se non contassi nulla, come se in tutto questo tempo fossi stata solo un peso e questa era l’occasione per liberarsene definitivamente. Io mi sento una di quelle persone facilmente dimenticabili.

 

24Gennaio2014

“I can’t force someone to stay.”

E’ finita. Non so come mi sento. Nessuna lacrima, mi sento crollare dentro, come un muro di mattoni. Forse non piango perché me lo sentivo, mi ero già preparata, e pensare che fino a qualche settimana fa piangevo dalla felicità.

Insiste sul fatto che vorrebbe rimanere amici, vorrebbe sentirsi sempre, come ogni giorno. Ma “amici”. Spero di potercela fare. Ne ero sicura che non sarebbe andata. Niente va mai per il verso giusto. Ma si può essere amici dopo aver provato qualcosa? Noi non possiamo stare insieme, ma continuiamo a cercarci. Noi ci cerchiamo sempre, tra la folla, per messaggio.

“Distraiti con altro”. Lui era la distrazione precedente e me ne sono innamorata. Lui era la migliore distrazione al mondo. Devo capire che la sua frequenza cardiaca non aumenterà mai alla mia visione.

 

12Febbraio2014

Non posso farcela. Gli ho scritto. Ora sa che mi piace ancora e che soffro per lui, non ha senso andare avanti con questi silenzi. Era un messaggio di addio definitivo e pieno di spiegazioni su quello che aveva letto. Non so con quale forza e coraggio sono riuscita a mandarglielo. L’ho riletto venti volte.

Gli ho detto la verità, gli ho fatto capire che io ho avuto coraggio di dirgli molte cose, mentre lui si è sempre inventato balle. Gli ho detto che se non voleva rischiare, per me poteva essere un addio definitivo.

Mi ha risposto dodici ore e mezza dopo. Dice “Non devi né insistere, né convincermi, quello che voglio fare lo so, voglio conoscerti meglio”.                                                                                                                                                                  Bah. So che tutto questo è inutile, so che quel fottuto messaggio non l’ha scritto Lui, non scrive così. Sembra che dietro a quelle righe ci sia già una risposta. Negativa. Anche se dice di volermi dare una possibilità, anche se mi permette di lottare “per ciò che voglio”.

Mi aveva detto che saremmo usciti, ma non me l’ha ancora chiesto. Io sto aspettando. Aspetto un suo messaggio, perché di farmi avanti sempre io per prima, mi sono stancata. Io aspetto perché non so cos’altro fare, aspetto con ansia, ogni minuto che passa e mi chiedo cosa sto aspettando io ad arrendermi e cosa stia aspettando Lui a scrivermi.

 

3Marzo2014

E’ arrivato Carnevale. I suoi amici vogliono farci incontrare. Ho paura che a forza di insistere, si stancherà. Io sto perdendo le speranze.

Vogliono andare a Venezia. Vogliono che vada con loro, ma senza che lo sappia. Non ne sono convinta. Ho paura che sia inutile, magari nemmeno mi parlerà.

Ci troviamo alle 11.00 in stazione. Ho paura della sua reazione. Tremo, tremo come una stupida. Li vedo in lontananza e mi viene già da ridere.

Eccomi. Sbam. Colpo di scena, tutti mi guardano. “Eccola la sorpresa” dice il suo migliore amico. Cosa? Ahahah.

Cerco di nascondermi sotto la sciarpa avvolta intorno al mio collo. Lui è fermo, immobile. Per un attimo mi guarda, sbalordito, poi abbassa lo sguardo sul suo IPhone e ride. Una risata nervosa.

Non ci siamo mai parlati. Io sono con un’amica, Lui è sempre con il cellulare in mano. Non sembra irritato, ogni tanto incrocio il suo sguardo, non è arrabbiato, ha uno sguardo profondo che fa emergere la sua semplicità, sembra che i suoi occhi mi trasmettano emozioni, come se volessero scusarsi. Sembra come dire “ci siamo, ma facciamo finta di niente”. Non parla, noi scherziamo, io mi sto divertendo davvero molto. Sembra che io conosca i suoi amici da sempre e Lui non l’abbia mai conosciuto.

Due estranei. Due fottuti estranei. Solo che io lo amo, si lo amo. Tutti questi sentimenti pensavo non potessero esistere, così profondi e struggenti, così irritabili ed esistenziali.

Il suo migliore amico ci prende in disparte. Incrociamo lo sguardo per una frazione minima di secondo, poi ci chiede “Perché non parlate?”. Ci lascia soli, alla fine, dopo un immenso silenzio inizio a parlare io.

“Non puoi pretendere che accetti la situazione se non riesci a dirmi le cose in faccia. Mi avevi detto una cosa e alla fine ho scoperto che non vuoi realizzarla. Per una volta abbi le palle di dirmi la verità. Hai diciotto anni, che cazzo farai nella vita se non riesci ad affrontare nemmeno una sedicenne? Dimmi che non vuoi. Dimmelo in modo esplicito”.

Ho esagerato. Il livello di acidità nelle mie vene è schizzato al massimo. Forse si è sentito offeso e se n’è andato. Mi ha lasciato lì, da sola, con le mie fottute parole che la memoria ecoica faceva rimbombare nella mia testa.

E’ normale che abbia iniziato a piangere. Mi sono seduta su uno scalino che dava sul canale di Venezia. Io ho fatto di tutto ma l’unica cosa che sono riuscita a fare è stata quella di farmi odiare. Tutti i messaggi e i momenti passati con Lui, mi passavano davanti come diapositive e mi chiedevo come potesse essere cambiato tutto. Da positivo a completamente negativo.

Un suo amico l’ha obbligato a tornare da me. Si siede, si guarda intorno, ma non parla. Zero. Mi verrebbe voglia di tirargli un pugno, ma voglio solo chiedergli scusa, non voglio convincerlo e nemmeno obbligarlo a provarci. Ormai è finito tutto.

“Senti, scusa. Ho fatto tantissimo per te, ma non ci sono mai stati risultati. Non vorrei mai e poi mai, comportarmi così con te, mi fa stare malissimo parlarti in questo modo, ma è la rabbia che parla. Scusami e basta.”

Si guarda intorno, lascia ciondolare nervosamente le gambe, poi gira la testa e mi guarda. Finalmente abbiamo un “contatto”. Abbassa ancora la testa e mi chiede “perché con tutti i ragazzi che puoi avere, tu hai scelto me?”.

Avrei voluto dirgli perché amo la sua semplicità, amo il suo sorriso, i suoi occhi, la sua voce, il modo di abbracciarmi, amo il suo modo di fare, amo i suoi difetti, amo tutto di lui…Non gli dissi niente di tutto questo. Volevo dare una fine a tutto.

“Non c’è un perché, sei stato solo una delle tante insignificanti cotte.”

 

Eravamo in treno, stavamo tornando. Eravamo tutti molto stanchi. Ero seduta leggermente lontana dagli altri, quando sentii determinate parole che annebbiarono tutto. Lui parlava di una ragazza con cui sarebbe uscito il giorno seguente.

Tutto diventò cupo, nero. Evitavo ogni sguardo, ogni domanda lanciata con un’occhiata. Ero davvero molto stanca, avevo mal di testa e quelle sue parole mi fecero venire la nausea, le lacrime agli occhi.

C’era una sola soluzione: le cuffie. Sul cellulare aprii la cartella delle “canzoni tristi”, alzai il volume al massimo per coprire quelle voci. Utilizzai entrambe le cuffiette, solitamente non lo facevo mai.

Non volevo sentire più la sua voce, le voci che mi difendevano e parlavano di me: “lei vuole solo te”.

Qualcuno mi si avvicinò, mi mise un braccio intorno alle spalle dicendo che sarebbe rimasto un po’ con me. Era il suo migliore amico. Non risposi, non avevo parole, solo lacrime trattenute dentro occhi sofferenti. Appoggiai la testa al finestrino del treno, chiusi gli occhi.

Non sapevo cosa dire, chi guardare, qualsiasi sguardo che incrociavo mi parlava, mi chiedeva come stavo. Avevo i brividi, i denti stretti e tremavo. Alla fine con il cuore in mano, ci salutammo. Per sempre. Il per sempre esiste.

Presi l’autobus, la mia migliore amica mi chiamò e iniziai a piangere. Magari tutto l’autobus mi stava fissando, non me ne fregava niente, ero distrutta e ogni parola che mi usciva dalla bocca era accompagnata da singhiozzi.

 

Non riesco a capire cosa non vada in me, quale errore ho fatto, perché ero insignificante per Lui dopo 6 mesi. Cos’ho fatto per farmi odiare.

Ogni giorno ero sull’orlo di piangere, mi bruciavano gli occhi. Lui e i suoi ricordi mi mancavano, cercavo di andare avanti ma il mio pensiero tornava sempre indietro da Lui. Nessuno riusciva ad essere equivalente a Lui, non riuscivo ad amare nessuno, a farmi piacere nessuno. Nessun aveva i suoi difetti, nessuno era così stupendamente stupendo come Lui.

Ero diventata apatica, acida più che mai. Stronza, sì tutti mi dicevano che lo ero. Non mi fidavo di nessuno, non riuscivo ad affezionarmi a nessuno. Provavo un odio profondo verso tutti. TUTTI. Nessuno escluso. Ogni comportamento mi irritava, ogni domanda e ogni frase rivolta a me. Preferivo stare da sola, non me ne accorgevo,ma non parlavo mai durante tutta la giornata, se non sussurravo monosillabi essenziali per “comunicare”. Stavo bene così, a me andava bene, non avrei cambiato nulla perché in fondo amavo soffrire, amavo vivere nella malinconia delle mie giornate e amavo ancora di più i giorni in cui c’era temporale, era come se il tempo si adattasse al mio stato d’animo.

Forse a volte non è una casualità, pensare a una persona e trovarla il giorno dopo, che dopo la tempesta ci sia il sole, così come dopo aver passato una delusione arriva qualcuno di migliore. Non è una casualità che determinati sbagli portino a una soluzione, che la risposta giusta sia sulla strada sbagliata e a volte la via più facile non è quella giusta. Niente é una casualità; dalle notti passate in bianco ad aspettare un messaggio a un sogno premonitore, non è una casualità trovare il suo nome fin’ora inesistente, trovarlo dappertutto in ogni frase, scritta, insegna, in ogni bocca. Non é una casualità alzare lo sguardo verso una folla e incontrare, a primo impatto, i suoi occhi che mi fissano.

Negli ultimi giorni ero diventata debole. Ero dimagrita di sette chili in due mesi. Non avevo voglia di niente, se non di dormire. La mia attenzione veniva meno. Ero pallida, senza forze, l’unica cosa che dava segni di vita era il colore del sangue che si distingueva sulla pelle bianca. E le mie mani erano fredde, perché quando fa freddo il cuore trattiene il calore per sé. Ma in quel momento pure il mio cuore non era più rosso. Si era svuotato come tutto il resto del corpo. Forse stavo per morire oppure ero già morta.

Io sono la ragazza con l’inverno sulla pelle.