L'angolo dello scrittore

Resilienza

_di Roberto Vacca

La forza nel ferro di un traliccio può essere di compressione, ed è un puntone, o di trazione ed è un tirante. Al passare del tempo, il valore della forza cambia poco, a seconda delle variazioni dei carichi. Il diagramma della forza in funzione del tempo si scosta poco da una retta orizzontale parallela all’asse del tempo. Se il ferro viene spaccato da un forte impatto (da un proiettile), il diagramma ha uno scalino improvviso e la forza si annulla.

Per misurare la resistenza agli urti di un materiale, se ne costruisce una provetta di misure standard, si supporta con una forcella e si sottopone all’impatto di un pendolo che, rilasciato da una quota standard, arrivato al suo punto più basso, ha un’energia cinetica di 300 Joule. Il pendolo trasferisce energia alla provetta e la spacca in due. Poi continua a rotare fino a una quota tanto minore quanta più energia ha assorbito la provetta per rompersi. La resilienza K è l’energia L assorbita dalla provetta divisa per l’area della sezione della provetta stessa. K ha valori sui 200 Joule/cm2 per l’acciaio inox e 30 Joule/cm2 per il rame. L’inverso della resilienza [1/K] è l’indice di fragilità. Il pendolo riprende quota [in latino “resilire” = rimbalzare, tornare su] tanto più quanto più fragile è il materiale della provetta. Anche molti tecnici dicono colloquialmente che un materiale che resiste agli urti è resiliente. E, fin qui, abbiamo parlato di eventi istantanei: il tempo non c’entrava.

Poi l’aggettivo “resiliente” è stato applicato agli uomini. L’American Psychology Association definisce la resilienza come “il processo di adattamento a stress prolungato o alle conseguenze di un trauma”. Se l’adattamento è scarso, parlano di “disturbo [disorder] dovuto a stress post-traumatico”. Gli psicologi sono, dunque, attenti al tempo, ma non sanno fornire misure standard di stress, né dei tempi per i quali certi individui siano stati sottoposti a stress significativi o aiutati nella loro riabilitazione. Parlando di menti umane, non riusciamo, dunque, a dare definizioni formali, né ad effettuare misure standardizzate. I processi considerati sono complessi e le considerazioni più ragionevoli su di essi sono discorsive.

I grandi sistemi tecnologici e socio-economici sono meno complessi della psiche, ma si possono descrivere solo definendo molte variabili pertinenti a settori diversi. Fra questi: processi naturali (geo-astronomici, meteorologici), socio-economici, industriali, ideologici, informatici, comunicazionali. Dati e misure sono disponibili in misura enorme e crescente, ma la loro interpretazione è ardua. Le grandezze sono soggette a continue interazioni mutue. Molte di queste sono vitali: gli output di certi sistemi sono essenziali per la continuità dell’esistenza e dell’efficienza di altri sistemi. Se alcuni di questi fattori degradano o scompaiono, effetti negativi profondi sono risentiti da altri sistemi a valle. Non c’è da attendersi che questi processi che coinvolgono grandi strutture interconnesse si possano descrivere mediante semplici espressioni analitiche. Da decenni sono stati fatti [J.W. Forrester, D. Meadows, M. Mesarovic, E. Pestel e altri] tentativi di individuare sistemi di equazioni alle differenze finite per ottenere proiezioni almeno empiriche dell’evoluzione di grandi sistemi interconnessi. I successi sono stati scarsi.

A.L. Barabasi (nel libro Linked , Perseus, 2002), analizzò sistemi costituiti da reti di aziende, energia, trasporti, telefoni, Internet. Li rappresentò con grafi di nodi connessi da rami. Le reti crescono e i nodi più connessi aumentano più velocemente il numero dei loro link. Scendendo nell’ordine di importanza il numero dei link decresce in modo brusco, poi più lento. La legge [“di potenza”] fu studiata da V. Pareto per i redditi in un Paese: il più ricco distanzia di molto il secondo. I seguenti meno ricchi distanziano di molto chi li segue, poi i redditi si livellano. Il 20% detiene l’80% della ricchezza disponibile. Le reti sono divise in cluster i cui nodi sono fittamente connessi fra loro. Invece sono pochi i link fra cluster. Con queste analisi si prevedono sviluppo e declino di reti e strutture economiche e si progettano reti più resistenti.

A. Zolli [nel suo Resilience, Simon & Schuster 2012] definisce i sistemi Robusti-Ma-Fragili: progettati con operatori, funzioni e canali di comunicazione ridondanti. In tal modo continuano a funzionare anche dopo aver subìto impatti negativi gravi e numerosi. Tuttavia sono considerati fragili perché la loro vastità li espone ad attacchi indiretti e intricati da fonti arduamente prevedibili.

I grandi sistemi forniscono funzioni utili a grandi numeri di esseri umani, le cui azioni influenzano a loro volta l’andamento e l’efficienza dei sistemi stessi. D. Cabrera ha suggerito che sia vantaggioso produrre spiegazioni della struttura e del funzionamento dei sistemi tanto semplici da renderle comprensibili al pubblico non esperto. L’obiettivo è valido: i modi di raggiungerlo non sono ancora disponibili e andranno elaborati. Cabrera propone di ricorrere a principi o categorie concettuali come: distinzione, sistemi, relazioni, prospettive. Sarà necessario dare esempi concreti. L’uso di termini astratti già adottati con più significati difformi – come “resilienza” – andrà limitato o evitato.