I racconti "brevissimi di Energheia"

I brevissimi 2012 – Schermi di Alessandro De Paoli_Roma

Anno 2012 (I sette peccati capitali – L’accidia)

La televisione era accesa chissà da quanto, le immagini scorrevano senza sosta sullo schermo: davano uno di quei film del dopo pranzo, in cui un vecchio voyeur del Nord Dakota spia la vita degli altri perchè non riesce a vivere la sua. L’avevo già visto. Il vecchio è uno a cui non piacciono gli altri e preferisce stare a casa da solo. “Gli altri alle volte fanno male”, ripete spesso. “Anzi, sempre” aggiunge. Gli altri parlano ad alta voce e mettono le cose in disordine. A lui piace far scivolare il tempo, nella sua casa – santuario dove tutto vola via anche se non sembra. Ma per farlo deve essere solo. Un giorno vede qualcosa e decide di intervenire, per dare un senso ai suoi ultimi giorni. Chiama la polizia, scandisce il suo nome e l’indirizzo: gli entreranno in casa con gli scarponi sporchi, ascolteranno la sua versione dei fatti.

Mi sono alzato dal letto. Ho gaurdato oltre il vetro della finestra, quella che dà sul giardino: un sole pallido si posava appena sui rimasugli ferrosi di quando avevo provato a costruirci un altalena. Le case intorno avevano le serrande abbassate, marroni, tranne quella davanti. Sono rimasto a guardare.

C’era qualcuno, nel prato davanti, un piccoletto che correva in circolo. La ragazzina indossava shorts attillati di jeans sotto una canottiera azzurra che si gonfiava all’altezza del petto. Il piccoletto aveva in mano il tubo dell’acqua, con l’altra cercava di afferrarla. Poi quella si è fermata dietro al tagliaerba, lo ha piegato in avanti come per difendersi; il petto le faceva su e giù mentre riprendeva fiato. Il piccoletto è rimasto a guardarla. Ha gettato il tubo in terra ed è entrato in casa. Quando è tornato, impugnava una cosa scura e continuava a guardarsi intorno. Ha afferrato il braccio della ragazzina e lo ha rigirato di modo che le teneva la bocca chiusa mentre le puntava il pisello sulla schiena. L’ha trascinata vicino a un cespuglio all’ ombra e l’ha scaraventata a terra, le ha sbottonato i pantaloncini, li ha fatti scivolare fino alle caviglie.

Ho abbassato la la serranda e spento la televisione. Mi sono addormentato.

Più tardi il suono acuto di una sirena si è diffuso nella stanza, sempre più acuto man mano che si avvicinava. Mi sono alzato di nuovo, ho infilato il primo paio di jeans. Sono rimasto in piedi dietro la porta di casa, l’occhio nello spioncino.

Tre poliziotti uscivano dalla casa di fronte. Hanno allargato le braccia, come a dire “non c’è nessuno”. Sono tornati alla volante, sono saliti in macchina. Tranne uno, ha fatto un cenno agli altri. Ha aspettato che mettessero in moto e se ne andassero. Solo nel viale, si è guardato intorno. Ha valutato le altre case, le ha passate in rassegna una ad una. Si è soffermato sulla mia: il mio prato, la mia porta.

Ha attraversato la strada con passo deciso. Sono rimasto a guardarlo mentre apriva il cancelletto. Ha percorso il viale, poi ha visto qualcosa e ha deviato sul prato. Si è fermato davanti al seggiolino, quello che avevo legato al tubo metallico con fili di corda. Gli ha dato un calcetto, lo ha rigirato. Ha fatto una smorfia, è tornato sul vialetto. Era a pochi metri: “nei film questa è la parte in cui sale la tensione”, mi sono detto. Ha salito i gradini che danno accesso alla veranda, finchè solo la porta ci divideva. Ha dato ancora una rapida occhiata, al giardino eppoi in strada: qualcuno si era fermato a guardare. Si è voltato, ha allungato il viso verso il taglio circolare dello spioncino, lo ha messo un pò di sbieco per farvi aderire l’occhio.

Centimetri. Riuscivo a vedere i capillari che gli rigavano l’occhio come filamenti. Riuscivo a vederne la pupilla e, dentro, il riflesso ovale dello spioncino. Sarei potuto andare avanti, cercare il riflesso dentro il riflesso. In profondità, all’infinito. Quello non faceva nulla e non poteva vedermi. E’ rimasto così ancora per un pò, ed io con lui.  Millimetri. “Una distanza incolmabile”, mi sono detto. Una distanza incolmabile, ho pensato, e intanto avevo di nuovo sonno.