I racconti "brevissimi di Energheia"

I brevissimi 2022 – Cade la neve, Massimo Terzini_Veroli(FR)

_Anno 2022 – (Nero)

Mia nonna me lo ripete spesso:

«Da quando hanno buttato la bomba, molte cose sono cambiate…».

Lo dice con una nota di nostalgia nella voce che vorrebbe nascondere, ma io lo capisco lo stesso che in quel momento sta rimpiangendo gli anni di prima. Di quando era bambina lei.

Le storie che mi racconta sono incredibili, e lo fa ogni volta che restiamo soli in casa perché sa che la mamma non ha piacere che io ascolti certe cose.

La mamma dice che il passato è passato. Ha paura che io possa rimpiangere ciò che non ho potuto avere e che probabilmente non potrò avere mai.

Forse invece è proprio per questo che io starei ore a sentirla…

Mi parla delle gite fantastiche con il nonno, al mare. Dove si potevano passare giornate intere con i piedi nell’acqua o a raccogliere conchiglie sulla spiaggia. Oppure di tutte le volte che sono rimasti a cena all’aperto, fino a tarda notte, quando i campi, in estate, si riempivano di quelle che lei chiama lucciole e mi descrive come piccoli puntini luminosi intermittenti che sembravano galleggiare nel buio.

Mi parla dei campi di grano, con le spighe colore dell’oro, del rosso intenso dei papaveri e dei fiordalisi celesti che vi crescevano in mezzo. Li descrive così bene da farmeli vedere.

Mi parla di tutti gli uccelli che volavano nel cielo. Delle punture delle zanzare e dell’abbaiare insistente dei cani.  Di tutte quelle cose che sembravano fastidiose, ma che erano una parte essenziale della vita di allora.

Degli anni in cui ci si poteva incontrare fuori, con gli altri, per parlare passeggiando tranquillamente nei viali e nelle piazze delle città. Mi dice di quando il colore dominante sulla Terra era il verde e l’acqua del mare, a vederla dalla riva, sembrava azzurra e di quanto ci si divertisse, a spruzzarsela addosso.

Mi racconta del tempo in cui le uniche raccomandazioni rivolte ai bambini erano quelle di non allontanarsi troppo da casa, o di non sudare, correndo.

Tante delle cose che mi racconta io non le capisco. Non so immaginare, ad esempio, il piacere nell’aspettare di veder sorgere la luna, ora che la luna è sparita, o di quando dalla pioggia ci si poteva difendere aprendo semplicemente un ombrello.

Non c’è mai un vero dolore nella sua voce, ma una specie di rassegnata stanchezza, come se l’unico impegno della sua vita, da quel giorno in poi, fosse stato tutto nel lasciar passare il tempo in maniera sopportabile.

«Sai – mi dice – quando la bomba toccò terra, non distrusse tutto.

Molte cose semplicemente le modificò. Certi fiori, da allora, non ricrebbero mai più, ma l’erba dei prati, gli alberi, l’acqua che scorreva nei fiumi, cambiarono solamente di colore.

Di molti animali, come degli esseri umani che ebbero la sfortuna di trovarsi in quel momento all’aperto, in tutto il mondo, restò solamente a terra un mucchietto di polvere, come la cenere grigia che rimane dopo aver bruciato qualcosa; mentre le case, le barche, le macchine, insomma le cose in generale, restarono al loro posto, intatte, come se l’aria fosse stata attraversata da un soffio di vento un poco più forte delle altre volte».

Dopo una piccola pausa, riprende aggiungendo un altro velo al tono della voce:

«Il nonno, in quell’attimo tremendo, si trovava in giardino, a tagliare i tronchi di legna che poi avrebbe sistemato per bene dentro il capanno. Io lo stavo guardando da qui, da questa stessa finestra… e non ebbi nemmeno il tempo di capire che forse gli avrei almeno potuto fare un ultimo cenno di saluto con la mano.

Da allora è passato molto tempo. Alcune cose sono tornate come erano prima, molte altre sono cambiate. Per sempre».

Ho il naso schiacciato contro il vetro, sono al caldo della stanza. Fuori la temperatura dev’essere scesa di parecchio perché l’alito del mio respiro sta appannando la lastra trasparente che mi separa dall’esterno.

Mi accorgo che cominciano a cadere i primi fiocchi di neve. Guardo questi batuffoli che volteggiano leggeri nell’aria e si depositano silenziosi sui rami, sul pezzetto di prato del giardino, sul tetto del capanno del nonno. A breve diventeranno più fitti, saranno milioni di petali danzanti che cominceranno a rapprendersi sulle cose e a fargli perdere forma.

Sento che la nonna, alle mie spalle, mi accarezza dolcemente la testa e sussurra: «Tesoro, non immagini nemmeno quanto fosse divertente una volta, per i bambini, veder cadere la neve». Poi si allontana.

È vero, da quando hanno buttato la bomba, veder cadere la neve non mette più molta allegria. Io resto a guardare fuori ancora un po’, ma ora che i fiocchi si fanno più fitti mi ritraggo anch’io. Non ho voglia di assistere allo spettacolo.

So già che tra poco, la piccola porzione di mondo che riesco ad osservare dalla mia stanza sarà coperta da una soffice, uniforme, funerea coltre nera.