I racconti "brevissimi di Energheia"

I Brevissimi 2020 – La cascina, Salvatore Tigani_Cinquefrondi(RC)

Anno 2020 – (I colori dell’iride – Azzurro)

 

La cascina è sospesa su cuscini di nebbia, a un palmo dal suolo erboso. È ferita da lame di luce solare, medicata dal verde del muschio, solleticata da grosse formiche nere. Ha il tetto spiovente, rotto di fianco a un comignolo che sbuffa fumo nero. Attraverso lo squarcio, pesanti gocce di rugiada piovono giù dagli alberi, dalle travi fino al pavimento. Lo spesso strato di polvere, ammaccato dalle impronte di scarponi e piedi nudi, si ulcera e sveglia, si impregna e tossisce: sono piccoli colpi di tosse ovattati, subacquei, ritmici, persino melodici.

Accanto al camino, nell’unica stanza, c’è una scrivania: apparecchiata di ferri del mestiere (bisturi, cesoie, pinze, forbici, divaricatori, coltelli da pota), serve un lettino rabberciato. Coperto da un lenzuolo rosso e sudicio e sorretto da un paio di trespoli tarlati, il letto di legno marcio scricchiola sotto il corpo completamente glabro, nudo e sudato di un uomo gravido e delirante. Tra le sue gambe divaricate, una donna dai capelli come foglie di salice piangente, e in piedi accanto a loro, un giovane in tuta da lavoro e capelli lunghi, fragole sulle dita, calce e materia nera sotto le unghie.

La donna prende dal tavolo il bisturi, i piedi puntati bene sul pavimento sporco: annuncia il dolore, procura il dolore, stigmatizza il dolore. Infila una mano nell’incisione e afferra e tira, poi tira più forte. Prende il divaricatore e un coltello, poi taglia di netto, sicura, improvvisa, brutale e fredda, e sul pavimento si riversa un miscuglio giallo, rosso, bianco con tuorli verdi che scivolano nelle fessure tra le assi. Per terra si forma una pozza di placenta, sangue, linfa e foglie secche, nella polvere che diventa fango.

Scricchiolii e gemiti, puzza di putredine e di umori vaginali gonfiano il grembo della cascina.

L’uomo in tuta da lavoro piange, fa per avvicinarsi alla donna ma la donna lo invita a rimanere al suo posto, mantenere la posizione, non creare confusione. L’uomo in tuta urla, si picchia il capo con la mano chiusa a pugno, impreca. E prega, stringendo la mano dell’uomo che sta partorendo.

L’uomo sul lettino perde e riprende conoscenza, invoca il nome di un dio a caso, lo invoca invano, lo maledice, sceglie il nome di un altro dio e lancia nuovi anatemi. Il giovane in tuta da lavoro lo accarezza, gli bacia la fronte, gli dice che va tutto bene, guarda la donna e non riceve conferma, quindi continua a improvvisare, a sperare, a mentire. I suoi scarponi si spostano di qualche millimetro e si sente lo sciacquio delle acque che pompano tra le fessure della suola: abbassa lo sguardo e decide di non vedere l’orrore che ha visto.

La donna riemerge, tra le ginocchia nude, con le labbra nere e il viso zigrinato sporchi di spruzzi e odorosi di pus. Tiene con le dita un fiore azzurro dal lungo stelo, a occhio lo misura in venti centimetri, a senso lo stima normale: niente di speciale, niente di irregolare. Lo posa sul ventre, ora sgonfio e butterato, dell’uomo nudo. Pulisce via dai petali del colore del cielo il liquido amniotico e il sudiciume, accarezza le foglioline ancora germinali e taglia con le forbici chirurgiche l’ultimo tratto di cordone ombelicale. Rivolge finalmente uno sguardo al giovane in tuta, vent’anni, forse venticinque, poi all’uomo morto sul lettino (inerte sul lenzuolo rosso, gli occhi spalancati e vacui), infine di nuovo all’uomo in tuta. Domanda cosa

ne vuole fare, del figlio appena nato e del compagno appena spirato. L’uomo in tuta, ancora chino sul corpo senza vita dell’amante, tra le lacrime e il sangue di un labbro morso con troppa forza, dice di volerlo tenere. Di tenere il fiore ma che la cenere torni alla cenere.

La donna lo fissa per qualche istante, non batte le palpebre. Una perla di rugiada le scivola dalle foglie della testa sulla corteccia soffice del petto. Lo fissa ancora, chiede se ne è sicuro, quindi annuisce e con rude delicatezza gli porge il fiore, il neonato. Cantilenando le cose da fare, le precauzioni da prendere, i posti da evitare, le abitudini da dimenticare (istruzioni ripetute centinaia di volte e ormai recitate a memoria) la donna continua a fissarlo.

L’uomo bacia il figlio su di un petalo blu, accarezza il piede nudo dell’amico (marito, moglie, amore di una vita) e dice di essere pronto.

La donna prepara il bagaglio, il fiore geme, la cascina lo lascia andare.