I racconti del Premio letterario Energheia

Il giallo della zazzera scomparsa_Mario Ventrelli, Montescaglioso(MT)

_Racconto finalista sedicesima edizione Premio Energheia 2010.

 

Appena sporsi la testa, una raffica di vento si portò via il mio parrucchino. Lo vidi sfumare nel traffico, otto piani più in basso.

In piedi, sul davanzale della finestra, contemplavo il vuoto.

Dietro di me, Brigitta sbraitava impaziente:

– Allora, Rico? Hai intenzione di aspettare ancora molto lì sopra? – Tirai su il collo della giacca. Era una serata gelida.

– Amore, fai il bravo, la mia cena si fredda.

Chiusi gli occhi e respirai a pieni polmoni.

– D’accordo, vuol dire che ti darò una mano io.

Fu una spinta poderosa, zigzagai nell’aria, alla ricerca di un appiglio.

Poi, mentre precipitavo, vidi le luci delle insegne sovrapporsi in vibranti macchie di colore. Come nei quadri di Dick Ciola.

Dick Ciola fu il secondo della lista. Abitava in un appartamento alla periferia di Londra.

– Salga Cazzullo, ma attenzione all’ultimo gradino. Stavo giusto dando il fondo a questa tela. A cosa debbo la sua visita?

– Avevo il fiatone. Guadagnai una sedia e mi allentai il nodo della cravatta.

– Sto indagando sull’omicidio di M’tume, il pittore Afro – Dada. Se non sbaglio vi conoscevate.

– Certo. Lavoravamo per lo stesso gallerista. Ha… ha scoperto qualcosa?

– Non ancora. Se permette, sarei molto interessato a dare un’occhiata in giro.

– Ottima idea, ne approfitterò per mostrarle il mio ultimo lavoro.

Attraverso una scala a chiocciola, scendemmo nel suo atelier. Appoggiata al muro, c’era una gigantografia dell’artista. Crocifisso. Su di un tavolo, delle freccette per il tiro a segno.

– Avanti Cazzullo, vediamo se ha occhio.

Presi una delle freccette e la lanciai. Andò a piantarsi tre dita a destra della sagoma. La seconda, un poco più in alto.

– Come investigatore privato, sono sicuro le interesserà sviscerare il messaggio recondito della mia opera. In realtà non lo so nemmeno io… diciamo che potrebbe trattarsi di una manifesta denuncia della situazione di disagio dell’artista contemporaneo, incompreso e bersagliato dai critici, dai mercanti d’arte e da coloro che fanno delle sue opere vile merce di scambio.

– Non male.

– Queste menate – proseguì il Ciola, – vanno molto di moda. Il quadro l’ha finanziato Bartleby. Ha una galleria ben avviata e sgancerà un bel pò di quattrini.

Per una buona mezz’ora continuò a svelarmi i suoi lavori. Tutti meritevoli del suo plauso e della sua incondizionata ammirazione. Tornammo di sopra e mi chiese da accendere. Avevo fretta. Tirai fuori il mio revolver e glielo piazzai sotto le froge, a guisa di accendino.

– Sembra vera -, sussurrò con un filo di voce.

– È vera. C’entra un imbrattatele a due chilometri. Avanti, apra quella porta, che ha bisogno di un bagno.

– Perché non se lo fa lei?

– Su, su, che sto perdendo la pazienza. Forza, si tolga quella roba di dosso.

Appena la vasca fu piena, il Ciola vi si calò obbediente. Controllai l’orologio. Ero in ritardo, Brigitta mi aspettava in auto.

– Si arrotoli questo asciugamani in testa, a mò di turbante.

– Manco per idea -, disse avvitandoselo diligentemente.

– Ecco, ora va bene.

Sempre tenendolo sotto tiro, estrassi una radio sveglia. Infilai la spina nella presa.

– Cosa ha intenzione di fare?

– Non si preoccupi, sentirà una leggera scossa, ma non sarà come ad Alcatraz.

Mollai la radio nell’acqua. Fu come ad Alcatraz. Ero soddisfatto. Avevo davanti a me l’esatta riproduzione del quadro di David; La morte di Marat.

Presi la macchina fotografica e scattai alcune foto al cadavere.

Poi cancellai con cura ogni traccia del mio passaggio.

Tutto doveva sembrare un maledetto incidente. Mi chiusi la porta alle spalle e scesi le scale, quasi travolgendo una vecchia con la busta della spesa. Quindi mi allontanai a passo futurista.

Un lavoro eseguito ad arte.

 

~

 

Facile essere così in gamba. Aprendo il dossier, intestato al sottoscritto presso gli archivi della polizia di Londra, avrete sufficienti delucidazioni in proposito. Circa dieci anni or sono, cominciai ad occuparmi di omicidi come detective privato.

Non ero il modello di investigatore boxeur, caro a Raymond Chandler. Pacato e gioviale, mi sentivo più vicino a George Simenon. Ero, inoltre, incapace di provare disprezzo verso il gaglioffo di turno, ma nutrivo una certa qual solidarietà nei suoi confronti, cosciente com’ero dell’imperscrutabile concorso di circostanze che, a volte, possono spalancarci le porte dell’abiezione e del misfatto. Per questo, pur avendo collaborato più volte con la polizia, me ne ero sempre tenuto al di fuori. Il fine delle mie indagini era meno quello di arrestare l’assassino, che di conoscerne a fondo la psicologia.

Sfogliando la prima pagina del mio dossier e osservando attentamente la foto in alto a destra, noterete proprio sulla fronte un forte diradamento dei capelli (usate pure una lente).

Come accennavo poc’anzi, varie ed imprevedibili sono le circostanze che possono spingere un uomo a varcare la soglia del misfatto. Il mio cammino fu scandito dalla scomparsa lenta e inesorabile di quanto avevo di più caro. La mia zazzera.

Nella foto che state guardando, ho circa trent’anni. Essendo già afflitto da una pronunciata calvizie, decisi di mettermi alla ricerca di una moglie, prima che fosse troppo tardi.

Dopo sei mesi di ricerca infruttuosa, ad una mostra di arte contemporanea conobbi la cinquantenne Brigitta Rommell, artista teutonica nello splendore dei suoi centotrenta chili.

Esponeva, in una tenda africana, scatole vuote di legumi.

Come ebbe a spiegarmi, faceva parte dei Cavernicoli, un gruppo di artisti che, critici verso la civiltà dei consumi, auspicava il ritorno alle care vecchie grotte.

Quando era in fase creativa, l’artista divorava diversi chili di alimenti, tra sandwich e bibite varie. Quindi, terminato di desinare, ne collezionava con cura certosina i contenitori, per poi esporli come feticci del famelico capitalismo.

Manifestai tutto il mio interesse per la sua ricerca artistica e, soprattutto, per il suo status di single. Tanto per sondare il campo, le dissi che ero un regista. Giravo ogni giorno con una telecamera sotto il cappello per filmare i capelli che perdevo.

Brigitta parve apprezzare il mio humour e, soprattutto, non sembrò per niente spaventata dal mio problema.

Come appurai, necessitava di pecunia per la sua costosa ricerca artistica. In uno slancio di generosità, le promisi pertanto, di farle da mecenate laddove avesse accondisceso ad aiutarmi nelle faccende domestiche. Nei miei piani, ciò costituiva l’anticamera del matrimonio. Dopo aver contrattato l’obolo, le ore di lavoro e le eventuali ferie non godute, convinti entrambi di aver fatto un affarone, cominciammo, finalmente, la nostra convivenza.

Ero felice. I suoi centotrenta chili costituivano un solido usbergo contro le mie paure. Chi avrebbe osato sottrarmela?

Tuttavia, l’entusiasmo non mi impedì di rilevare alcuni aspetti bizzarri del suo carattere, cui all’inizio non avevo dato il giusto peso. Per esempio, si rifiutava di stirarmi le camicie secondo quello che lei chiamava schema ortodosso del ferro da stiro, preferendo schiacciarle con le sue robuste natiche, come proponeva il trend Neo-Longobardo, di moda tra gli artisti di Londra.

Le sue intemperanze rasentarono, poi, l’oltraggio allorquando cominciò ad insistere affinché colorassi la mia rada chioma di biondo platino, similmente a quella di Andy Warhol.

Dovetti esercitare tutta la mia autorità, ma alla fine la dignità era salva. Pur faticando nel tenere al guinzaglio il suo estro, la nostra relazione veleggiava verso il traguardo dei dodici mesi.

 

~

 

Poi un giorno Bartleby aprì una galleria, proprio sotto casa nostra. Era, costui, un uomo colto e dai gusti raffinati di circa sessant’anni, al quale la folta capigliatura conferiva il giusto fascino. Quando Brigitta gli disse che era un’artista, Bartleby si mostrò incuriosito. Al cospetto di una sua scatola vuota di fagioli, addirittura entusiasta. A suo dire, era perfettamente in linea con il ritorno in auge del Post-Archeologismo-Industriale.

A me sembrava tutta una boiata, quell’uomo squadrava le natiche ministeriali di Brigitta come si fa con una Lamborghini.

Discorrendo con lei, si passava le mani tra i folti capelli, robusti come asparagi, in un gesto fascinoso che a me era precluso. Ero convinto che Brigitta, vedesse in essi un simbolo del successo e dell’affermazione sociale, laddove io ero presumibilmente retrocesso al rango di raccattapalle.

Temendo che i miei progetti andassero a rotoli, all’inizio non disdegnai l’arma del pedinamento. Quando era da Bartleby, origliavo dal garage accanto, le Trombe d’Eustachio pronte a cogliere il dettaglio compromettente. In secondo luogo, per riconquistare la mia donna, giocai sulla seduzione, cambiando pettinatura con un laborioso riporto. L’effetto dovette essere piuttosto controverso, poiché Brigitta mi chiese se avessi tutte le rotelle a posto. Fui così costretto a confessarle la mia bruciante gelosia. Ma quella, serafica, replicò che il suo rapporto con Bartleby era di natura puramente professionale.

Purtroppo lo stress, come ben sanno gli addetti ai lavori, è il peggior nemico dei capelli e ben presto la caduta si accentuò, radendo al suolo la zazzera. Colpito a tradimento nel momento più delicato, cercai di porre rimedio massaggiando il cuoio capelluto con delle cremuzze, due volte al giorno. Nulla da fare.

Sentii che in una fattoria poco lontano, alcuni calvi usavano farsi leccare la pelata dalle vacche per riattivare la circolazione.

Non disponendo di una mucca, chiesi a Brigitta di venirmi incontro, ma lei si rifiutò dicendo che non aveva per niente intenzione di sperimentare questa nuova forma di fellatio.

Nel giro di poco tempo, ero già al quarto grado della scala di Norwood, quella usata dai tricologi per valutare l’avanzamento della calvizie.

Ormai stentavo a riconoscermi. Cercai di porre rimedio con un parrucchino ma, come la famosa coperta, se lo tiravo da una parte scoprivo l’altra.

Citando Bukowsky, il mio corpo mi rodeva dal di fuori e il mio spirito mi bruciava dal di dentro. Fu così che, quando raggiunsi il settimo grado di quella maledetta scala, io, il fuori di senno, per riconquistare Brigitta, decisi di darmi all’omicidio.

L’occasione mi fu data allorquando Brigitta mi riferì che Bartleby aveva subito una forte perdita al tavolo verde. Non essendo in grado di saldare il debito, la malavita aveva minacciato di ridurre in molecole lui e la sua galleria.

Conoscevo bene il mercato dell’arte. Talora le fortune si disperdono o si accumulano in un attimo: per esempio quando un artista muore. Ricordavo di aver letto un articolo sul balzo delle quotazioni delle opere di Warhol e Haring, all’indomani della loro scomparsa. Chiesi a Brigitta notizie sulle collezioni di Bartleby. Mi parlò di M’tume, un artista molto ben visto dai critici e del quale il gallerista aveva parecchie opere.

Due giorni dopo M’tume era trapassato. Bartleby, all’oscuro di tutto, poté giovarsi della manna caduta dal cielo.

Pur convinto che avessero una tresca, decisi di mettere al corrente il gallerista e la mia convivente del mio progetto.

– … Sì, M’tume non si è affatto impiccato. È tutta opera mia.

– Perché lo ha fatto? -, chiese stupito Bartleby.

– Perché, anche accoppare un pittore è un’opera d’arte. E poi anch’io aspiro ad un attimo di notorietà…

– Deve averti dato improvvisamente di volta il cervello -, osservò perspicace Brigitta.

– Ma… e se la polizia la scopre? -, continuò Bartleby.

– Impossibile. Ho chiesto alla polizia di occuparmi personalmente del caso. E lei, caro Bartleby, sarà dalla mia parte, acquisendo opere di autori emergenti che io provvederò puntualmente a far fuori. In questo modo lei incasserà il surplus e potrà pagare i suoi debiti facendo salva la pelle. Non ha altra via d’uscita.

– Come può sperare di farla franca?

– Brigitta sarà la mia complice. Le converrà, se ci tiene alla sua carriera… avanti, chi sarà il prossimo? -, chiesi fregandomi le mani.

– … Ciola. Senz’altro Ciola -, sussurrò Bartleby, sbiancato in volto.

Su Londra pioveva a dirotto. Il fiume di automobili scorreva tra le vecchie sponde dei palazzi. La vecchia Alfasud era parcheggiata al margine della carreggiata. Seduta alla guida, Brigitta, in vena creativa, era intenta ad addentare un nerboruto sandwich. Girò energicamente la chiave d’accensione ma l’automobile la tirò lunga prima di partire. I cilindri soffrivano di reumatismi e bastava un pò di nebbia per metterli fuori uso.

– Cosa ne è di Ciola? -, chiese senza distogliere lo sguardo dal volante.

– Secco, nella vasca da bagno. Come per M’tume, crederanno in un incidente.

– Sono in auto con un pazzo -, susurrò Brigitta a denti stretti.

Giunto a casa, controllai l’orologio. Buttai giù un Martini e mi ritirai nella camera oscura. In mezz’ora stampai la foto di Ciola. La figura nella vasca da bagno era scomposta in una minuscola grana bianco e nero. Controllai la mia riproduzione con l’originale del quadro di David. A parte la jacuzzi, tutto il resto quadrava.

Feci asciugare la carta e la conservai in un contenitore, insieme alla riproduzione di El Triunfo de la Muerte di Bruegel, con M’tume nella parte dell’impiccato. Ero orgoglioso dei miei “Tableaux mourants”. Dopo aver fallito con l’arma del riporto, cercavo di ridestare l’attenzione di Brigitta come artista.

Sin da quando cominciai ad esercitare la professione di detective, una delle mie fissazioni era quella del delitto insolubile.

Se, come sostiene De Quincey in L’omicidio come una delle Belle Arti, un buon assassinio può assurgere a dignità artistica, quello che mi chiedevo al cospetto di certi paesaggi di Turner o di certi ritratti di Rembrandt era: può esistere un delitto magistralmente progettato, perfettamente eseguito, equivalente ad un quadro armonioso in ogni sua parte? E se sì, quale dovrebbe essere la sua precipua virtù? A mio giudizio, l’attributo più importante consisteva nel fatto che l’assassino risultasse teoricamente imprendibile. La mia esperienza di detective mi negava questa eventualità.

Decisi quindi di spostare la mia attenzione sulla letteratura.

Ma George Simenon ed Agatha Christie, Edgar Allan Poe ed Ellery Queen, confermavano appieno i miei dubbi. L’omicida di turno, infatti, viene prima o poi incastrato. Triste destino quello dell’assassino, unico tra gli esseri umani cui è negata la perfezione. Nessun paese avrebbe mai donato i suoi natali ad un Leonardo dell’archibugio o ad un Raffaello della roncola.

Essendo, anche per me, impossibile sfuggire a questa legge, mi limitai, attraverso la fotografia, ad una mera imitazione di quei capolavori dell’arte dal cui olimpo, ahimè, ero escluso. Ed ecco così Bruegel, David e, forse un giorno Goya, Caravaggio e Magritte reinterpretati da Cazzullo. Sarebbe bastato questo per riconquistare Brigitta?

Ormai preda della mia alienazione, quella mattina, mentre mi infilavo in macchina per andare in ufficio, dismisi i panni dell’assassino per indossare quelli dell’investigatore. Mi accesi una sigaretta e fu come ne accendessi due. La caccia a Cazzullo era cominciata.

Dalla Scientifica mi avevano mandato un certo Torpedo per aiutarmi nelle indagini. Portava capelli lunghi e biondi, annodati dietro la nuca. Talvolta, li scioglieva con gesto elegante, lasciando che si gonfiassero al vento.

– Cosa ne pensa di questa faccenda? -, feci per rompere il ghiaccio.

– Che se si tratta di omicidi, quel pidocchioso dev’essere davvero in gamba. Non ha lasciato alcuna traccia. E manca anche un movente.

– Al momento non abbiamo prove sufficienti per emettere un giudizio. Tutto ciò che possiamo affermare è che, se dovesse trattarsi di un omicidio, l’assassino conosceva le vittime. La morte è avvenuta nelle loro abitazioni -.

– Cosa avevano in comune? -, mi chiese Torpedo.

– Entrambi lavoravano per Bartleby. È da lui che comincerò.

La villa in campagna di Bartleby era cinta da un muretto di mattoni secchi. Fermai la macchina vicino al cancello di ferro massiccio. Il suo studio era immerso nella penombra.

Sulla sinistra in fondo, ardeva il camino. Dall’altra parte sedeva Bartleby.

– Venga, la stavo aspettando. Ho preparato un caffè. Se lo è davvero meritato. I giornali parlano di un incidente fortuito.

– Beh, ho fatto del mio meglio.

– Direi che è un lavoro eseguito alla perfezione.

– Questo no, Bartleby. In questo campo la perfezione non esiste.

– Ma non fu lei una volta a citarmi De Quincey secondo il quale il delitto apparterrebbe ad una delle Belle Arti?

– Certamente, ma questo mestiere non avrà mai una Monna Lisa. O se anche esistesse, in dieci anni di lavoro non l’ho mai incontrata.

– Deduco dalle sue ultime parole che lei è qui in veste di detective.

– In veste di marito di Brigitta. Futuro, intendo.

– Brigitta mi ha confessato che lei è geloso di me. Ma sbaglia. Le assicuro che quella donna ha davvero del talento. I suoi barattoli di pelati sono così schietti. Le sue bottiglie di salsa così fresche, ottimistiche, immacolate. Come la sua coscienza. Perché non le dà fiducia?

– Lei dunque crede che sia tutto un abbaglio.

– Esattamente. Quanto quello dell’impossibilità del delitto perfetto. Perché il delitto perfetto esiste. È certamente possibile ipotizzare un omicidio nel quale l’autore sia al cento per cento imprendibile.

– È in grado di dimostrarmelo?

– Sì. Ma solo ad un patto. Che lei si impegni ad eseguirlo.

– È una scommessa?

– Esattamente. Sa bene quanto io ami il gioco.

– Ci penserò sopra. Nel frattempo mi passi qualche altro nome.

– Domani mi scade una cambiale. Faccia visita a Hrabal e lo spedisca al creatore.

Presi l’indirizzo e mi infilai in macchina, ma i cilindri tossirono rachitici, quindi tirarono le cuoia. Ero a piedi.

– Mio caro Cazzullo, prenda la mia Rolls gialla, sentirà che vento tra i capelli…

 

~

 

Rindossati i panni dell’investigatore, tornai ad indagare sui miei omicidi. Due artisti morti nel giro di pochi giorni. Semplice coincidenza o c’era sotto qualcos’altro? Come detective credevo poco alle coincidenze. Come ho già detto, entrambi lavoravano per Bartleby. Esaminando l’agenda che trovai nella sua macchina, presi nota di alcuni indirizzi. C’erano ventisette nomi. Nella settimana successiva, feci pedinare questi signori da un’agenzia privata, cui mi rivolsi per guadagnare tempo.

Scoprii, così, che sopra la galleria di Bartleby abitava un uomo grasso e calvo, simile a quello che era stato segnalato da una vecchia di ritorno dalla spesa, la sera della morte di Ciola.

Inoltre, gli omicidi erano cominciati proprio quando Bartleby aveva aperto la galleria. La coincidenza era inquietante. Decisi di cominciare le mie indagini con una visita a casa di Cazzullo.

Feci squillare più volte il telefono di casa sua. Erano le dieci di sera. Non rispose nessuno. Aiutandomi con un chiavistello, penetrai nella sua tana. Un imbarazzo fisiologico mi consigliò di cominciare le indagini dal bagno. La presenza di un paio di pantaloni da donna leopardati, su di una sedia, indicava che l’uomo aveva una conoscente.

Quello che mi colpì, a prima vista, fu l’arredamento esotico. Il water, del quale fruii con qualche difficoltà, era in realtà un tamburo zairese decorato a mano. Lo sciacquone, invece, era in ceramica con leva in ottone. Le due cose stridevano alquanto. Facendomi luce con la torcia elettrica, scesi nel soggiorno.

Quella che in bagno si era manifestata come una semplice differenza di vedute, si trasformava qui in vero e proprio scontro tra due forti personalità. L’arredamento si estrinsecava in due scuole di pensiero, nettamente divergenti. Le sedie in noce massiccio con inserti in avorio bene si sposavano col grande tavolo, anch’esso in legno scuro e piedi a zampa di leone.

Ma questi arduamente reggevano l’aggressione delle pareti pistacchio, decorate con stucco veneziano e delle tende ricamate in seta.

Le due entità che abitavano quell’appartamento non solo vivevano vite parallele ma, supposi, in aperto contrasto. Questa impressione mi fu confermata in camera da letto, dove da una parte scorsi un letto ad una piazza e mezza, e dall’altra un’amaca sospesa a mezz’aria.

Mentre ne stavo constatando la comodità, sentii qualcuno armeggiare dietro la porta d’ingresso. Fui preso dal panico.

Chi poteva essere? E se fosse stato proprio Cazzullo? Realizzai con mio grande disappunto di aver dimenticato il revolver.

Con un balzo felino mi infilai sotto il letto, armato di una scarpa. L’entità si chiuse la porta alle sue spalle. Entro poco l’avrei visto.

Prima armeggiò in cucina.

Poi venne verso di me.

Spalancò la porta.

Era Bartleby con un revolver in mano.

Cosa ci faceva lì?

Sembrava cercasse qualcosa. Poi si allontanò. Appena sentii chiudere la porta alle sue spalle, schizzai di sotto il letto e mi precipitai per le scale con l’intento di pedinarlo. Arrivato in strada, lo persi di vista.

Il mattino seguente, la Rolls gialla filava elegante nel traffico di Londra.

– Dov’è che abita Hrabal? -, chiese Brigitta accendendosi una sigaretta. Guidava con aria distratta.

– Gira a quel segnale. È una casetta isolata. C’è solo un supermercato a mezzo miglio di distanza.

– Entrerai come detective ed uscirai come assassino. Meglio di Houdinì. Credi riusciresti ad ottenere un posto al circo?

Non risposi. Infilai in un borsone la macchina fotografica e mi incamminai di buona lena verso la casa di Hrabal. Faceva parte degli Anti-Gravitazionali, un gruppo di artisti che, paracadutandosi con tela e treppiede, abbozzava paesaggi a duemila metri di quota. Composi il suo numero sul cellulare:

– Ehi, sono Rico Cazzullo, si ricorda di me? Sto indagando sulle morti di M’tume e Ciola. Se non disturbo, vorrei porle qualche domanda. È solo?

– Mi sono appena alzato. Venga, non c’è nessuno.

L’artista mi venne ad aprire in mutande. La casa doveva avere molti anni. I fili elettrici scorrevano scoperti lungo le pareti. La sua voce aveva un tono cordiale.

– È ancora convinto che si tratti di omicidi?

– Se non sbaglio entrambi lavoravano per Bartleby. Come lei del resto.

– Ma le sembra sufficiente per affermare che siano stati uccisi? M’tume si è suicidato e Ciola è morto per un incidente. Tutto qui.

– Crede dunque che non vi sia connessione tra le due morti?

Hrabal si passò una mano tra i capelli. Erano neri arruffati e pieni di forfora. Densi. Stopposi. Rozzi ma funzionali.

– E quale sarebbe il movente? Ha qualche sospetto?

– Volevo qualche spunto da lei.

– Lasci perdere, questa è solo una sua ossessione. Scusi, me lo preparerebbe un caffè? Il barattolo è in cucina.

Una delle prime cose che ti insegnano quando studi da detective è che se vuoi veramente conoscere com’è fatta una persona, devi conoscere la sua spazzatura. Non visto, diedi un’occhiata tra i rifiuti. Scovai parecchie scatole di sonniferi.

– Immagino che questa storia non le lasci chiudere occhio… -, feci sornione.

– Proprio così: il dottore mi ha prescritto dei sonniferi…

Mentre parlava, diedi un’occhiata alla cucina. Finalmente ebbi chiaro il mio piano.

Servii a Hrabal un caffè con due pasticche di sonnifero.

Andò giù di colpo. Il telefono era di quelli antiquati con campanellino elettrico. Aiutandomi con la punta di un coltello, scorticai, quanto basta, il filo della suoneria. Quindi, andai in cucina e aprii al massimo la valvola del gas.

Avevo circa quindici minuti, prima che la situazione divenisse esplosiva. Silenzioso, come la morte, sistemai Hrabal sul letto e scattai una foto inquadrandolo dai piedi. La riproduzione del Cristo Morto del Mantegna era perfetta.

Dovevo sbrigarmi, la casa era ormai impregnata di gas.

Scivolai fuori ed estrassi il cellulare. Nei miei piani avrei dovuto comporre il numero di Hrabal e far saltare la casa in aria, ma qualcuno mi anticipò. Dopo due squilli fui scaraventato in aria, insieme agli infissi.

A passo rapido e con un forte mal di schiena, raggiunsi la Rolls, ma dentro non c’era nessuno. Dov’era finita Brigitta?

Che ci fosse dietro il suo zampino? Mi prese un colpo. Giravo intorno alla macchina, nervoso come un giaguaro. I piedipiatti sarebbero arrivati a minuti. Improvvisamente, la vidi avvicinarsi con una grossa valigia a rotelle.

– Dobbiamo scappare prima che arrivi la polizia –, ruggii infilandomi in macchina con un brutto presentimento.

– Cosa ci metterai in quell’armadio ambulante?

– Tutte le mie cose. Perché ti lascio, Rico.

– Come?…

Squillò il mio cellulare. Era Torpedo.

– Cazzullo, ho una notizia da darle. Hrabal è morto. La sua casa è saltata in aria come un dirigibile.

– È… è successo da molto?

– Circa dieci minuti fa. Ma la cosa più importante è che qualcuno ha segnalato la Rolls-Royce di Bartleby proprio vicino l’abitazione dell’artista. Quando l’ho saputo, ho cercato di chiamare Hrabal, ma non ha risposto nessuno.

– D’accordo, sarò lì tra poco.

Mi accesi una sigaretta. Pensai che era stato un grosso errore spostarsi con questo transatlantico giallo. L’avrebbero riconosciuto ovunque. Dovevo liberarmene al più presto.

– … Perché vuoi lasciarmi? -, chiesi a denti stretti.

– Perché se vivere con uno psicopatico è difficile, farlo con due è impossibile.

– Dunque hai deciso di fuggire con Bartleby.

– Questa è una tua maledetta fissazione…

– Ah sì? Ed allora cosa ci faceva ieri sera in giro per casa nostra, armato come un viet-cong?

– Ero appena uscita dalla sua galleria, quando aprendo la porta ho sentito tirare lo sciacquone. Ma la luce era spenta. Così sono scesa giù per chiedergli di dare un’occhiata. Ora ti diverti anche a giocare a nascondino.

– Ne riparleremo.

Giunti a casa, Brigitta tirò fuori dall’automobile il suo armadio e scomparve nel portone. Io rimisi in moto e mi diressi verso l’ufficio. Lasciai la macchina a tre isolati di distanza, per non dare nell’occhio. Quando entrai in ufficio, trovai Torpedo molto eccitato. Saltò giù dalla scrivania e mi venne incontro.

– Così anche Hrabal è partito.

– Tre pittori in un mese sono un pò troppi…

– E tutti che lavoravano per Bartleby.

– Esattamente. La cosa è molto sospetta. Bartleby avrà molto da raccontare -, sottolineai.

– È qui nella camera a fianco, lo faccio entrare?

– Certo, sarà il caso che parliamo a quattr’occhi. Va fuori e bada che non entri nessuno.

Bartleby entrò con una borsa nera e la piazzò sulla scrivania guardandomi negli occhi.

– Allora? Per quale motivo mi ha fatto chiamare? Spero non mi accusi della morte degli artisti. Non mi sono mai mosso di casa -, fece con tono sarcastico.

– Vorrei riprendere con lei il discorso della scommessa. Insomma, vorrei sapere qualcosa in più sull’omicidio perfetto.

– Accetta però quanto ebbi a proporle? Lei si deve impegnare a dare esecuzione all’omicidio, qualora converrà col sottoscritto che l’idea non fa una grinza.

– Qua la mano, accetto. Ma sia breve.

– Comincerò, se mi consente, con una breve dissertazione sul suo parrucchino. Sa, mi sono accorto, sin dal primo momento, che lei è calvo e cerca di nascondere il problema con questo espediente. A dire il vero oggi se ne accorgerebbe chiunque, visto che lo porta di traverso, lasciando in questo modo scoperta gran parte della pera. Cos’è una nuova moda?

– Ehm… sa, è che oggi ho avuto una giornata molto movimentata -, dissi aggiustandolo alla meglio.

– Ma caro Cazzullo, perché si è rassegnato al parrucchino? Oggi la tecnologia può venirci incontro con soluzioni molto più pratiche.

– Per esempio? -, chiesi molto interessato.

– Vede, quando una mattina di trent’anni fa mi accorsi di cominciare a perdere la chioma, fui terrorizzato. Mi interrogavo: ma perché scompaiono proprio qui e non per esempio dietro la nuca? Dove nessuno se ne accorgerebbe? E perché proprio a me? Pur di sconfiggere quella fottutissima calvizie acquistai mezza tonnellata di creme e intrugli vari, sperando così di alleggerire il mio cuore affranto. Ma l’unica cosa che alleggerii fu il portafogli. Là dove un giorno si ergeva lussureggiante la mia chioma, vi era ora una lucida palla da biliardo. Che fare?

– Già, che fare?

– L’uomo di spirito accetterà il destino assegnatogli, facendo mostra di aver superato brillantemente tale prova. Altri, invece, cercheranno salvezza nel riporto. Ma bisogna sperare che il collante tenga ed inoltre, attenzione alle giornate ventose. Io, caro Cazzullo, ho rinunciato a questo, mi consenta, ridicolo rimedio e puntando ad una soluzione più semplice e radicale. L’autotrapianto. Vede, i capelli vengono tolti via da questa parte della nuca e ripiantati, come tanti rigogliosi alberelli, proprio nei punti a noi più cari. Venga, venga, dia un’occhiata.

Bartleby si genuflesse mostrandomi il suo cranio.

– Tocchi tocchi pure con la mano. Sono capelli veri sa? Mica robaccia sintetica.

Passai la mano e provai un brivido lungo la schiena. L’effetto era sorprendente.

– … ed inoltre, caro Cazzullo, questi capelli non cadono, essendo quelli della nuca geneticamente più forti degli altri. Ma vedo che lei ha optato per il parrucchino, come surrogato ai capelli perduti. Ora, dunque, converrà che, come è possibile associare, con una certa forzatura un parrucchino sintetico ai capelli normali, così è possibile, con molto minor sforzo, associare il suicidio alla famiglia degli omicidi. Come caso particolare di omicidio commesso contro se stessi. E quale omicidio più perfetto? Quale omicidio garantisce all’autore maggiore impunità? Ad atto compiuto, nessun poliziotto sarà mai in grado di sbatterlo al fresco, nessun giudice di cucirgli addosso le sue congetture. Lei forse obietterà che lo si può commettere solo una volta. Cosa fa, obietta?

– Ehm, sì.

– Ma su, caro Cazzullo, quale cibo più prezioso, quale piacere più inestimabile di quello gustabile solo una volta nella vita? Unico come la Gioconda, Guernica, o La Ronda di Notte, quintessenze della perfezione. Ebbene, quello che le propongo, caro amico, è l’omicidio perfetto, l’unico, il più prezioso. Il suicidio. Il suo suicidio.

– Vedo che mi ha fregato.

– Capita a volte nella vita. In quella borsa nera troverà il revolver col quale, quando uscirò da questa stanza, lei darà esecuzione a quanto stabilito.

– Non mi lascia dunque altra possibilità?

– Non ne vedo.

– Allora, Bartleby, mi ascolti, prima di andare via. Lei è ancora in cattive acque, economicamente parlando. Penso dunque che io le possa essere più utile da vivo che da morto.

– Dove vuole arrivare?

– Se lei mi fa dono della vita, in cambio le darò quanto ho di più caro. La vita di Brigitta Rommell! Se la tolgo di mezzo, lei potrebbe ancora incassare un pò di grana. È l’unica artista di grido che le resta.

Bartleby rimase silenzioso. Avevo colto nel segno. Finalmente avrei capito se c’era qualcosa tra di loro.

– Come vuole allora, faccia fuori Brigitta. Oggi stesso. L’arma e lì dentro. Dopodiché, spero di non avere più la ventura di incontrarla. Addio Cazzullo. A mai più rivederla.

Rimasi interdetto. Gli avvenimenti si erano succeduti troppo rapidamente.

 

~

 

Evitai di prendere l’auto di Bartleby. Con la borsa nera in mano, percorsi in metropolitana la distanza tra l’ufficio e casa.

Nel giro di poco l’assassino sarebbe tornato a colpire. Salii a quattro alla volta le scale, aprii la porta di casa e poggiai la borsa sul tavolo.

Brigitta stava cucinando qualcosa. Senza perdermi in sotterfugi, andai subito all’attacco.

– Cos’è, stai preparando l’ultima cena?

– Chiamala così se vuoi. Tra un’ora chiamerò il taxi e metterò qualche chilometro tra di noi.

La finestra era socchiusa per fare uscire il fumo.

– Con quella valigia avrai parecchi problemi a scendere le scale. Ti consiglierei una via più breve.

– Quale?

– La finestra. Entrerai nel taxi attraverso il parabrezza. Non ti lascerò andare via con le tue gambe.

– Come speri di convincermi?

– Con questa -, dissi aprendo la borsa alla ricerca della berta calibro 38. Mi ritrovai tra le mani una pistola di plastica trasparente, modello Goldrake. Mi prese un colpo: Bartleby mi aveva giocato un tiro mancino.

– Forse avresti bisogno di questa… -, sottolineò Brigitta tirando fuori da una delle sue pignatte un revolver grosso come una spingarda.

– … Si possono fare tante cose con questa. Per esempio dare ordini.

Ero attonito. Guardavo quella specie di trombetta che avevo tra le mani senza capirne il senso.

– Possibile che tu non abbia ancora compreso? Quando oggi Bartleby è venuto da te a proporti il suicidio, l’ha fatto solo per deriderti. Per farti riflettere su questa tua ossessione. Ma tu gli hai proposto di fare fuori me al tuo posto. Quando mi ha telefonato per dirmi che stavi venendo ad uccidermi, non credevo alle mie orecchie. Rico, volevo darti un’altra possibilità, ma ho sbagliato. Ed ora sarai tu a sparire di qui. Ma da quella finestra.

Mi inginocchiai untuoso a baciarle gli alluci, sperando che si impietosisse. Ma lei fece solo un gesto con l’archibugio ad indicarmi che dovevo fare in fretta.

Per guadagnare tempo, chiesi a Brigitta di darmi almeno la possibilità di accomodare il parrucchino dalla parte giusta.

Mentre me lo sistemavo, nel giro di pochi secondi, vidi nello specchio il detective e l’assassino, il cacciatore e la preda, Maradona e Yul Brinner. Provando un senso di vertigine.

Guardai di nuovo Brigitta. Al suo ennesimo diniego, mi strinsi il nodo della cravatta e salii con dignità sul davanzale.

Appena sporsi la testa, una raffica di vento si portò via il mio parrucchino. Lo vidi scomparire nel traffico otto piani più in basso. In piedi sul davanzale, contemplavo il vuoto. Dietro di me Brigitta sbraitava impaziente.

– Allora, Rico? Hai intenzione di aspettare ancora molto lì sopra?

Tirai su il collo della giacca. Era una serata gelida.

– Amore, fai il bravo, la mia cena si fredda.

Chiusi gli occhi e respirai a pieni polmoni.

– D’accordo, vuol dire che ti darò una mano io.

Fu una spinta poderosa, zigzagai nell’aria, alla ricerca di un appiglio.

Poi, mentre precipitavo, vidi le luci delle insegne sovrapporsi in vibranti macchie di colore. Come nei quadri di Dick Ciola.