I racconti del Premio letterario Energheia

Il comizio_Dario Fani, Roma

_Racconto finalista sesta edizione Premio Energheia 2000.

 

«Avendo ucciso madre e padre e due re di casta sacerdotale ed

una tigre come quinto, il brahmana se ne va senza colpa.»

Bhudda – “Pakinnaka Vagga”

 

Era agosto, le undici: sotto il tendone faceva un caldo d’inferno, ma c’erano tutti gli uomini del partito, nessuno escluso.

“Mevida eccita Horacio, come il toro eccita il matador…” disse Avuzel guardando i cinquantuno capisezione seduti di fronte a lui “nessuno gli toglierà dalla testa questo comizio, ma io vi dico che è una follia. Horacio è il più illustre uomo che abbia mai guidato il nostro partito, il Rasa che aspettavamo da anni, ma è ubriaco di questa follia e non vede la realtà. Mevida è una città pericolosa, pullula d’avanguardisti e il Fronte Popolare è estremamente influente… Mevida è un covo pieno di pazzi, pazzi che non possiamo sfidare apertamente, non ora. Verrà Mevida, questo è certo, ma più in là. Ora è un confronto troppo rischioso. Questo è il mio pensiero e il mio consiglio è semplice: votate no a questo comizio.”

Applaudirono in molti. Avuzel a tredici anni aveva iniziato a fumare e distribuire volantini per il suo partito. Ora che ne aveva sessantatrè era felice di poter dire che riusciva a fare ancora l’uno e l’altro. E voleva bene a Horacio, un gran bene, perché Horacio aveva reso il suo partito il primo partito del paese ed era l’unico uomo che poteva cambiare il corso della cose, il Rasa mandato dal destino, per questo temeva ogni istante per la sua incolumità.

Horacio salutò con una stretta di mano il compagno e si sistemò nel centro del palchetto. Non aveva fogli con sé: si bagnò le labbra prima della replica.

“Avuzel è un uomo onesto ed esperto e capace, tutti quanti lo conosciamo, è anche un uomo saggio e moderato, e attenti e scrupolosi sono i suoi consigli…” prima di continuare Horacio guardò Avuzel dritto negli occhi: “E questo fa sì che a volte Avuzel dia giudizi moderati: Mevida non pullula d’avanguardisti: pulsa! Mevida non è un confronto rischioso, Mevida è il confronto più rischioso che esista! Mevida non è il covo, Mevida è il cuore del Fronte Avanguardista! Ed è per questo, perché Avuzel ha ragione che noi non possiamo tirarci indietro…” ci fu un lieve mormorio e Horacio senza curarsene proseguì “Mevida è una città piena di gente eccitata e sapete meglio di me com’è facile manipolare la gente eccitata…” si fermò e riprese col suo modo calmo e convincente “Un grappolo d’uva è fatto di tanti acini e quando li spremi divengono succo. Un succo che finché rimane tale è innocuo, ma se fermenta e diventa vino allora…” prese una pausa “allora può divertire, ma anche uccidere. Certo, amici, non è più innocuo.

Così le idee restano innocue, finché non fermentano fra la gente.

L’idea fermentata dentro un animo eccitato può arrivare anche ad uccidere!

Per questo vi dico che dobbiamo andare a Mevida e andarci subito: perché l’idea non fermenti…” si interruppe perché il caldo gli faceva scendere il sudore sulla fronte e volle asciugarsi il volto con un fazzoletto. Fissò i suoi cinquantuno capisezione e in ultimo i cinque del consiglio ristretto, l’ultimo di quei cinque che guardò fu proprio Avuzel.

“Amici, non possiamo dire mentre il fuoco divampa… andremo dopo a dare la nostra acqua. Dopo troveremo solo terra bruciata! Bisogna gettare l’acqua sul fuoco per calmarne i danni e occorre farlo subito. Anche se un poco ci brucerà le mani…”

Si fermò un momento, fece un ampio respiro e poi concluse:

“Il comizio non è necessario: è irrinunciabile.”

Si fece una pausa di dieci minuti, fu distribuita dell’acqua minerale e poi venne il voto.

I lavori d’impalcatura a Mevida iniziarono dieci giorni prima del comizio. Horacio voleva che la gente avesse modo di abituarsi al cambiamento e avesse il tempo di domandare. Odiava invadere la città di colorati inutili volantini; servono solo a sporcare le strade, sosteneva.

“Vedrà Rasa richiameranno molto folla…” disse Fedrigo Ruiz, il giorno in cui Horacio andò nella tipografia a controllare i bozzetti:

“Noi non abbiamo bisogno della folla, Fedrigo: a noi servono le persone, tante persone curiose…” gli rispose Horacio “persone vivaci e forti, cresciute fra la strada e i campi, coi visi cotti dal sole…” Fedrigo lo guardò incerto e lui proseguì:

“… sono loro, le persone curiose e tenaci le uniche in grado di cambiare le cose, e la politica è utile solo nella misura in cui riesce a cambiare le cose Fedrigo…” si fermò e guardò il tipografo “Cambieremo il mondo Fedrigo e lo faremo convincendo i curiosi e i tenaci e trascurando la folla.”

Fedrigo Ruiz aveva passato l’infanzia nei campi, prima di trovare una strada nel partito. Si guardò le mani ancora viziate dai calli e guardò i suoi volantini e dopo quelle parole si vergognò d’averli fatti così colorati e accattivanti. “Tutto ciò che è violenza non è politica Fedrigo e non esiste peggiore delitto che violentare la folla: perché è indifesa e confusa, ricordatelo.” Queste parole insegnava Horacio ai giovani militanti che lo seguivano nei comizi. E le ripeteva ovunque. Anche durante il viaggio per Mevida aveva stremato tutti con quella cantilena; solo Natalia, la più giovane del gruppo, era rimasta ad ascoltare quel ritornello per ore. Natalia aveva compiuto da poco diciassette anni. Era partita per Mevida a proprie spese, perché la minore età non le consentiva d’avere la tessera del partito e il rimborso. Ogni volta che ascoltava Horacio sembrava quasi materializzare le parole davanti a sé, tanto ne restava affascinata. Era iscritta al partito da soli quattro mesi, ma a Horacio sembrava di conoscerla da anni ed era certo che l’avrebbe vista farsi una donna forte e coraggiosa che avrebbe percorso una lunga strada nel mondo della politica, della sua politica: quella che vuole cambiare il mondo. Aveva capelli neri, corti e lucenti, un viso sottile con occhi piccoli e vispi; labbra carnose. Indossava sempre pantaloni corti e scarpe basse. Il carattere era chiuso, discreto. Quando non era vicino a Horacio se ne stava seduta in qualche posto, lontano dagli altri, silenziosa. Fra tutti i militanti era certo la più riservata.

Fissava Horacio, lo seguiva in ogni situazione, ne studiava ogni comportamento. Natalia non aveva mai visto nessuno come lui capace di affascinare la gente, incantarla, a volte commuoverla col solo uso delle parole. Fin dalla prima volta che si incontrarono s’era accorta del fascino irresistibile che quell’uomo aveva. Lei stava ferma sul gradino d’ingresso della sezione giovanile, sventolava nervosamente nell’aria un foglietto con il programma del partito. Lui l’osservava, perché lei da alcuni giorni s’aggirava nei pressi della sezione senza entrare. Lui l’avvicinò e le disse:

“Se era nostro desiderio difendere la gente dal caldo avremmo stampato ventagli non programmi, ragazza…”

Lei rimase in silenzio. Poi con attenzione lesse il testo del foglio, alzò lo sguardo e dopo un lieve respiro sentenziò:

“Queste cose non accadranno mai…”

Horacio rimase un istante sorpreso dalla profondità dei suoi occhi, poi chiese piano:

“Ma tu vuoi che accadano?”

“Lo vorremmo tutti…” disse lei un poco più incerta.

“Allora…” disse Horacio “comincia a farle. Altrimenti sarà vero ciò che dici: non accadranno mai” si fermò un istante e la guardò con attenzione, ne avvertì il disagio e continuò:

“Ricorda ragazza, se vuoi che qualcosa accada inizia a farla tu: tu per prima.”

Natalia restò immobile e poi sgusciò via. Per due settimane nessuno più la vide. Poi tornò, si segnò alla sezione giovanile e da allora in poi non mancò più neppure una riunione, una sola del partito. S’incollò a Horacio ovunque, quasi ne fosse la figlia.

“Dammi dei testi Horacio. Ho bisogno di crescere, di capire, di sapere, ho bisogno di informazioni, dammi da leggere…”

Sembrava un pulcino chiuso nel nido col becco sempre aperto a chiedere cibo. Horacio la prima volta la chiamò e le diede un testo commentato dei Vangeli. Natalia lo guardò sorpresa.

“Ho bisogno di conoscere le idee, i programmi, i punti di forza del partito, ho bisogno di apprendere cose pratiche Horacio, non ho tempo per la storia…”

Horacio citò a memoria:

“Non fate secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Matteo 23,3” Natalia restò un momento incerta. “Non esiste nulla di più pratico e vero dei vangeli, Natalia. E non c’è altro e più nobile programma da realizzare nel mondo, che questo.” Lei gli sorrise e spontaneamente l’accarezzò sul viso, prese il libro e si allontanò. Anche Horacio era comunque affascinato da quella ragazza, dal suo carattere forte e deciso che sapeva trovare a tratti una dolcezza straordinaria. Tre giorni prima del comizio Horacio Altuna arrivò al Crystal Hotel.

Dal suo arrivo la polizia ricevette centinaia di telefonate con minacce di morte e sfilarono lunghi cortei di protesta. Avuzel continuamente entrava nella sua stanza e pieno di preoccupazione ripeteva che era stato un errore arrivare con tre giorni d’anticipo. Troppo rischioso. E toccava a Horacio ogni volta tranquillizzarlo, Horacio non temeva nessuna di quelle minacce, temeva la strumentalizzazione che ne poteva esser fatta, perché su questo sapeva di non avere nessun controllo.

Natalia non era dello stesso avviso. Una mattina, mentre lui se ne stava in camera a leggere, lei entrò senza bussare: tra le mani stringeva un volantino stampato dal Fronte Avanguardista. Sul foglio c’era scritto: <Horacio Altuna è stato giustiziato questa notte nella sua camera d’albergo.>

“La città è piena di questi volantini…” disse rabbiosa all’indirizzo di Horacio.

“Lo so.” replicò lui con tranquillità “Il giornale radio ha appena smentito la notizia.”

“Non ti preoccupa?” chiese lei ancora nervosa.

“No, finché posso leggerli…” disse lui accomodante. Natalia scosse la testa e Horacio prese il volantino dalla mano della ragazza e le disse calmo:

“Essere preoccupati non è mai conveniente…”

“Lo so” ribatté lei “ma a volte è necessario…”

Horacio scosse la testa e allargò le braccia, scrutò il volantino e disse piano: “Sarvam Annam, tutto è cibo…”

Lei lo guardò perplessa e lui proseguì:

“Si deve prendere il meglio da ogni pietanza, ricorda Natalia: solo il meglio…”

“Anche dall’annuncio della propria morte?” sbuffò lei.

“Soprattutto da quello” sorrise lui. Poi riprese a leggere. Natalia s’allontanò silenziosa.

Gli operai stavano completando la costruzione dell’impalcatura, sotto la stretta sorveglianza della vigilanza.

Natalia, all’ombra dei portici, fissava i loro movimenti. I tratti del viso di Natalia al richiamo orientale aggiungevano un sapore tipicamente americano; e i suoi occhi erano piccole e mobili perle nere, attraverso le quali, più che osservare, lei afferrava il mondo circostante.

Il suo sguardo andava così in profondità che era istintivo proteggere i segreti del proprio animo, evitandolo. Questa profondità creava un contrasto inquietante in un volto così giovane. Horacio passava sull’altro lato della strada, la vide e senza essere visto, rimase diversi minuti a osservarla, in segreto, così come aveva fatto il giorno del loro primo incontro. Poi l’avvicinò, le posò una mano sulla spalla e sentenziò: “Si ha diritto al lavoro, ma mai al frutto del lavoro.” Natalia alzò gli occhi incuriosita. “Marx?” domandò incerta. “Mohandas Karamchand Ghandi.” disse Horacio, sorrise, poi continuò “Ma è solo un modo diverso per rivalutare Marx e credimi, quando avremo diffuso questo pensiero nei cuori degli uomini su tutta la superficie della terra, compresi gli operai laggiù e i loro padroni, allora la nostra battaglia sarà vinta. L’uomo sarà libero anche nel lavoro, cioè continuamente libero e avremo sconfitto Dio. O meglio il castigo inflitto da Dio. Non sarà un giorno da poco… non credi?”

Lo disse con fierezza. Natalia annuì.

“Vedi bambina cara” spesso la chiamava così, senza che lei ne avesse fastidio “non è mai la rivoluzione che libera l’uomo: ma il pensiero. Devi ricordarti che un nuovo pensiero è più forte di qualunque rivoluzione.”

Horacio parlava a Natalia con estrema dolcezza, convinto che lei più d’ogni altro potesse comprendere completamente il suo pensiero.

Natalia raramente replicava a quei discorsi, come se il suo compito fosse semplicemente quello di apprenderli. Fissarono ancora e insieme, in silenzio, il lavoro degli operai poi Horacio aggiunse in tono più ironico:

“Purtroppo temo che sia ancora un giorno lontano…”

Natalia lasciò la mano e si alzò. Fissò dritto Horacio negli occhi e rispose senza incertezze:

“Il tempo non ha importanza. L’importante è che le cose che devono accadere, accadano.”

Horacio gli sorrise.

“Sai che due militanti sono tornati a Saires, avevano paura di quello che potrebbe accadere il giorno del comizio…”

Natalia l’interruppe bruscamente:

“Romeo e Elio…?”

“Proprio loro.”

Lei si lasciò sfuggire un lieve sorriso di soddisfazione, quasi ne fosse contenta.

“Tu non hai paura Natalia?”

“A volte…” rispose onestamente.

“Fai bene” le replicò lui allegro “la paura è una delle misure dell’intelligenza.

Ma non bisogna mai permettere che la paura ci impedisca di fare ciò che è necessario. Mai.”

Lei lo guardò con una strana luce negli occhi, che andava oltre l’ammirazione, non disse nulla e si allontanò col chiaro intento di non essere seguita. Horacio l’osservò. Era divertito dal passo rapido e privo di incertezze. Anche due lavoranti la fissarono fino a vederla sparire dietro i portici, probabilmente animati da pensieri diversi da quelli di Horacio.

Mancavano ormai poco più di trenta ore e l’atmosfera in città si faceva sempre più tesa. Frequenti si udivano urlare le sirene della vigilanza e aumentava il presidio dei militari al parco. La mattina Horacio chiamò Avuzel nella sua camera e si disse soddisfatto: fino a quel momento c’erano stati grandi cortei di protesta, molte manifestazioni, ma non si era andati oltre ai tafferugli e qualche ferito.

“Vuoi che riveda il tuo discorso?” chiese Avuzel. Horacio sorrise.

“Devo ancora scriverlo…”

“E quando lo farai?”

Horacio scrollò le spalle.

“Le parole verranno.” Concluse Avuzel e lo disse senza avere il minimo dubbio. Horacio sorrise.

“Mancano otto ore…” mormorò.

“Otto ore.” Ripeté Avuzel e si abbracciarono senza dirsi altro.

Poco dopo entrò Natalia e di nuovo tutti e tre insieme si abbracciarono.

Lungo la strada d’ingresso del parco erano state disposte delle unità cinofile, col compito di formare un cordone sicuro, che permettesse un passaggio agevole fra la gente. Le transenne di metallo creavano una corsia di oltre cinque metri, così che non fosse possibile nessun contatto fra Horacio e la folla. Due elicotteri sorvegliavano, dall’alto, la massa di persone e i due alberghi che si affacciavano sul parco erano stati evacuati e presidiati dalla polizia per evitare il posizionarsi di tiratori avanguardisti.

Horacio arrivò una ventina di minuti prima delle quattro su una macchina bianca scortata da due automobili della vigilanza e rapidamente s’infilò nel tendone posto al centro del parco, lontano dal palco. Ad aspettarlo c’erano i cinque consiglieri del partito, e, distante da loro, in un angolo scuro Natalia.

C’era un’atmosfera tesa e un lieve senso d’incertezza si leggeva sui volti dei consiglieri. Horacio li guardò attentamente e poi chiese deciso:

“Qualcosa non va?”

Ci fu un momento di silenzio generale, poi Avuzel rispose:

“Mezz’ora fa è arrivato un avviso da una fonte molto attendibile…”

“E cosa dice quest’avviso?”

“Che la falange Avanguardista ha deciso di giustiziarti…”

Horacio prima sorrise e poi disse con voce serena:

“Allora non dice nulla di nuovo, da quando sono qui non sento dire altro…”

“No, c’è una novità, Horacio.”

“Quale?”

“A detta dell’avviso lo faranno oggi.”

“E perché proprio oggi?” chiese sarcastico Horacio.

“Per dimostrare che in questa città detengono loro il potere.”

Avuzel, pronunciò queste parole lentamente, perché voleva che Horacio smettesse quell’atteggiamento ironico, e valutasse la reale entità della minaccia. Horacio così fece. Dopo alcuni momenti di riflessione domandò ancora:

“Cosa credete sia giusto fare?”

“Annullare il comizio.”

Horacio fissò tutte e cinque gli uomini e si intenerì all’idea di come avessero a cuore la sua vita, forse più di quanto l’avesse a cuore lui.

Tutto sommato pensava di aver già vissuto a lungo e pienamente.

“Non si può annullare il comizio.” Disse con la sua voce convincente.

“Perché no?”

“Perché annullandolo dimostreremmo che gli avanguardisti hanno ragione, che sono loro ad avere il potere in questa città.”

Attese un momento e poi esortò i compagni:

“Preparatevi.”

“Che cosa pensi di fare?”

“Di salire sul palco e cominciare il mio discorso…”

Sorrise e pensò fra sé “il discorso che ancora non ho preparato”.

Drizzò le spalle e fissò Natalia. Per la prima volta i suoi occhi l’evitarono.

Come se la ragazza solo in quel momento realizzasse il pericolo a cui andavano incontro. Si avviò verso l’uscita ma Avuzel lo fermò:

“Horacio, ascolta. È diverso da altre volte. La fonte è molto attendibile.

C’è in piedi qualcosa di vero, non è chiaro cosa, ma qualcosa c’è…”

Horacio sospirò e disse sereno:

“Avuzel, ci stiamo occupando di un problema che non ci riguarda…”

“No… ?”

“No.”

“E chi riguarda allora?”

“La vigilanza.” disse e senza aggiungere nulla fece cenno agli altri di alzarsi. Solo allora Natalia si mosse dall’angolo per avvicinarlo.

“Andiamo.” ripeté Horacio prendendo la ragazza sotto braccio.

Maurizio Chevina responsabile della vigilanza entrò e fissò Avuzel:

“Allora?”

“Farà il comizio.” Disse secco Avuzel. Maurizio rimase un momento incerto poi avvicinò Horacio:

“Abbiamo schermato il palco con vetro antiproiettile e tu sarai portato su un’auto blindata. L’unico tratto in cui sei vulnerabile sono i venti metri in cui scendi dalla vettura e devi salire sul palco. Falli con passo rapido, rimani comunque vicino ai tuoi uomini e mi raccomando, non fermarti mai. Fermo sei un bersaglio facile, lo capisci?”

Horacio annuì. Maurizio si rivolse agli altri:

“Avuzel, tu gli camminerai davanti perché sei il più alto e voialtri dietro. Ricordati Horacio si tratta solo di questi benedetti venti metri, sopra al palco sarai invulnerabile.”

Horacio lo guardò con simpatia e sorrise:

“Grazie Maurizio.” disse afferrandogli entrambe le spalle in una specie di abbraccio. L’uomo proseguì:

“Voialtri raggiungete l’uscita, sarete perquisiti uno alla volta: tutti, nessuno escluso. Dopo la perquisizione salite subito in macchina,

Horacio sarà l’ultimo. E’ chiaro?”

Ci fu un mormorio di consensi.

Horacio guardò Natalia e gli disse dolcemente:

“Se hai paura puoi anche non venire Natalia…”

“È necessario questo comizio Horacio?”

“Lo è.”

“Allora verrò.” così dicendo fu la prima a imboccare l’uscita. Consegnò la giacca alle due sentinelle. Indossava un paio di calzoncini attillati e una maglia bianca. I soldati dopo aver controllato il giubbotto la fissarono. Era chiaro il loro imbarazzo. Senza esitare lei alzò la maglia sopra le spalle, lasciando vedere che non nascondeva nulla e rapida entrò in macchina. Horacio osservò la scena con soddisfazione.

Fu perquisito Avuzel e poi gli altri. Horacio fu l’ultimo a salire in auto.

La macchina avanzò a passo d’uomo fino all’imbocco della strada polverosa e bianca. C’era un’enorme folla adunata attorno al palco e altrettanta lungo la strada. Horacio scese e Avuzel gli si parò davanti.

Natalia l’affiancò e lui d’istinto le prese la mano. Camminarono per una decina di metri. Horacio salutò le bandiere sventolanti del suo partito e la gente. L’abbaiare rumoroso dei cani e le grida assordanti della folla accompagnarono quella camminata. Ogni passo vibrava nel cuore di Avuzel pieno d’emozione e a ogni passo si rincuorava che tutto stesse andando bene.

Quando arrivarono a pochi metri dalla scaletta del palco Horacio si sentì chiamare. Era una voce d’accento guareno che lo chiamò col nome di battesimo:

“Horacio Antonio Ferdinando Altuna!”

Lui si arrestò e si voltò in direzione del grido. Trovò gli occhi fissi di un marinaio, infuocati di rabbia. Avuzel ebbe un istante di terrore.

“Cammina Horacio, cammina!” Gridò ricordando le parole di Maurizio Chevina.

Un altro marinaio, dalla parte opposta delle transenne, approfittando del momento d’incertezza, con un gesto rapido, superò il cordone di guardie e si lanciò verso Horacio. Nessuno dei vigilanti ebbe il coraggio di sparare per il timore di colpire qualcuno tra la folla.

Natalia fu la più rapida tra tutti, uscì dal gruppo e si lanciò contro l’uomo. Gli altri gettarono Horacio a terra e gli fecero da scudo coprendolo con i propri corpi.

“Natalia!” gridò Horacio, da terra, col viso schiacciato nella polvere, ma era tardi. La ragazza era già avanti, il marinaio l’afferrò e colpì con forza. Horacio immobile fissò la scena. Terrorizzato pensò che quell’uomo avrebbe sferrato un secondo colpo e ucciso Natalia.

Una gelida stretta gli prese il cuore. Ma Maurizio Chevina era già lì, fermò il marinaio e l’allontanò, poi arrivarono altri soldati. Lo circondarono e lo perquisirono: era disarmato.

“È solo un esaltato… è tutto sotto controllo…” disse una guardia aiutando Natalia a rialzarsi.

In pochi istanti tornò la tranquillità.

Quando Natalia fu di nuovo vicina a Horacio, lui respirò a fondo e la strinse a sé, come un padre farebbe con la propria figlia. La fissò e cercando di nascondere lo spavento che ancora gli segnava il viso disse piano:

“Non dovevi farlo bambina cara: è stata una follia…”

“Era necessario anche questo Horacio.” rispose lei con un sorriso soddisfatto. Horacio rise e salendo i gradini disse allegro a Avuzel:

“Vedrai che caldo che farà dentro questa gabbia di vetro.”

Avuzel lo spinse avanti, con forza, scaricando tutta la tensione.

Tornò sereno solo quando finalmente vide Horacio al riparo, dentro l’impenetrabile protezione delle lastre di vetro.

Horacio avanzò e guardò la folla radunata sotto di lui. Sapeva che quello era il discorso più importante di tutta la sua vita. Conquistata Mevida era conquistata la pace e per la prima volta ebbe il timore di non riuscire a trovare le parole adatte. Salutò alzando le mani all’altezza del viso e indicando con le dita il segno di vittoria.

Avuzel lo guardò a lungo; era quello il giorno del suo trionfo, e insieme a lui del trionfo del suo partito. Quella data sarebbe stata segnata sui libri di storia: la pacifica conquista di Mevida. Voleva incidere nella memoria le parole che Horacio avrebbe usato per iniziare il suo discorso. Tutti erano curiosi di ascoltare le prime parole che Horacio Altuna avrebbe pronunciato a Mevida. E tutti, realmente tutti rimasero sorpresi di quelle sue due prime parole:

“Avuzel Sanchez…”

Lasciò andare un momento di silenzio e riprese:

“Avuzel Sanchez è l’uomo che voglio avere qui accanto a me in questo giorno di festa…”.

Avuzel nonostante l’età e l’esperienza arrossì, arrossì come arrossisce un bambino timido chiamato dal maestro. E dopo aver chiamato lui Horacio presentò uno per volta gli altri consiglieri. Al termine di quella presentazione si fermò e fissò Natalia; Natalia era rimasta in un angolo, in disparte: lui non l’aveva dimenticata e la voleva accanto a sé in quel momento. La chiamò. Natalia si avvicinò con passo rapido, sorridente. Horacio l’osservò ed era come se un vulcano gli fosse esploso nella testa: una dietro l’altra sentiva fluire le parole. Era lei il futuro, era lei l’avvenire, era per lei che andava costruito un mondo nuovo, diverso. Un mondo migliore. Sorrise, soddisfatto pensando che finalmente aveva trovato d’incanto il principio del suo discorso. Quando lei fu a meno di un metro Horacio la indicò con un gesto ampio del braccio:

“Natalia Agua Chepete” disse con fierezza e gli rivolse di nuovo lo sguardo. Ma dopo quell’annuncio vide l’espressione della ragazza cambiare. Il volto divenne d’una severità impressionante. Negli occhi scuri lesse una freddezza che non aveva mai veduto prima.

“Cosa c’è che non va, bambina?” chiese incerto Horacio.

Lei non rispose. Dalla tasca del giubbotto estrasse la piccola pistola che il marinaio le aveva consegnato in quel finto tafferuglio e gliela puntò sulla testa. Horacio Altuna la fissò pietrificato, riuscì solo a deglutire.

“Vox clamantis in deserto. Giovanni 21,23” recitò Natalia e fece partire tre colpi. Due raggiunsero in testa Horacio e uno gli si piantò nel petto. Horacio s’accasciò sui microfoni in un rantolo. Un fastidioso ronzio vibrò dagli altoparlanti. Il corpo scivolò lentamente sulla pedana, in un mare di sangue. Avuzel e gli altri consiglieri fissarono la scena, incapaci di qualunque reazione. Increduli. L’attimo dopo era tutto finito. Natalia non accennò neppure la fuga. Gli agenti del servizio di sicurezza le piombarono sopra. La disarmarono e immobilizzarono senza nessuna difficoltà.

Natalia Agua Chepete, ammanettata fu condotta lungo la strada bianca verso la vettura blindata. Avanzò a testa alta, con passo lento, trascinata dalle guardie, sporca degli schizzi di sangue di Horacio Altuna e nonostante i colpi, le spinte e gli insulti, non smise mai di cantare. Cantò, fiera, l’inno del Fronte Avanguardista. Dentro l’auto blindata una delle guardie la colpì con violenza. Finì col viso contro il vetro e sanguinò.

La guardia la insultò ancora, ma lei non replicò nulla, con i suoi occhi scuri e impassibili si limitò a guardare fuori: fissava il vuoto dritto di fronte a sé.