I racconti del Premio letterario Energheia

Thanatos_Ludovica Realini, Roma

 _Racconto finalista ventunesima edizione Premio Energheia 2015.

mare

È buio. È notte. E sarà notte per sempre perché per me non ci sarà un altro domani. Non ci sarà più un altro sole. Sarà solo notte, senza luna e senza stelle. Sarà il buio senza bagliori. Sarà la fine senza la speranza di un nuovo inizio.

È giunta l’ora, siamo rimasti solo io e la paura. La gente si chiede cosa sia la paura. La paura è il nulla, il vuoto, la solitudine. La paura è vivere in fretta, ad occhi chiusi, pregando e gridando. La paura è quella cosa che ci sveglia la notte, strisciante come un serpente, terrificante come la morte. È quella che ci prende al mattino, la noia, lo sconforto. La paura c’è sempre, con quella sua vocetta sibilante. Paura dei temporali, della guerra, del buio, paura della verità. Paura di vivere e farsi male. Paura di perdere. Paura delle persone.

Passiamo le nostre esistenze a scappare dalla paura, corriamo fino a rimanere senza fiato, corriamo fino ad arrivare alla fine dei nostri giorni accorgendoci che Lei è sempre stata lì, ci ritroviamo a chiudere gli occhi per l’ultima volta ascoltando la sua silenziosa condanna. La paura è quella parte di noi che ci ricorda chi siamo, è quella parte di noi che ci fa tremare davanti alla realtà. La paura è verità. C’era, c’è e ci sarà sempre. La paura è come la morte, a cui non si può sfuggire. Adesso sono entrambe davanti a me, la paura e la morte, così simili. Mi guardano e aspettano, attendono solo il momento propizio. Si avvicinano a passo lento, incombono su di me come la più scura delle ombre.

La guerra dilaga dentro di me, schieramenti avversari che combattono battaglie senza speranza per decidere la sorte. Morire e arrendersi o combattere e continuare a vivere. Da una parte mi attende il silenzio, il nulla eterno, la morte e la paura. Dall’altra il dolore, la sofferenza, la grigia monotonia di una vita vissuta per sbaglio. La malattia mi ha divorato, sono null’altro che un guscio vuoto, un corpo spento senz’anima. Alcuni vedono ancora nei miei occhi spenti la fiamma ardente della voglia di vivere, altri non vedono nulla, solo un immenso oceano nero senza fine. Loro non sanno, non capiscono. Loro non vedono scorrere davanti ai loro stessi occhi gli ultimi attimi della vita, non convivono con la consapevolezza che ogni respiro potrebbe essere l’ultimo. Non sono straziati dal dolore, dalla voglia di morire ma anche dalla voglia di farcela.

È così difficile. Vorrei addormentarmi e non svegliarmi più, vorrei poter andare via, magari in un posto migliore. Ma forse questo posto migliore non c’è. Magari le cose che mi sono state insegnate da bambino non sono veritiere. Magari non c’è davvero nulla dopo questa vita. Ho paura, non voglio morire, voglio vedere ancora una volta la luce del sole. Eppure sono così debole, il sonno mi attira. Potrei riposare, ma non mi ridesterei. Potrei arrendermi e smetterla di combattere. I dottori mi avevano avvisato che sarebbe stato difficile, che sarei dovuto essere forte. Ma io non sono forte, non lo sono mai stato. La morte si avvicina di più, vestita di nero. È bella, quasi una visione. Mi chiama. Voglio raggiungerla ma qualcosa mi blocca. È la paura che mi tiene ancorato a questa vita sbagliata, a questa vita ormai finita. È la paura a impedirmi di lasciarmi portare alla deriva.

Morire in questo momento mi sembra l’unica cosa giusta da fare, l’unica scelta possibile. Sento il suo alito caldo sul collo, il suo richiamo invitante mi accarezza le orecchie come una dolce musica. Vorrei poterla raggiungere ma sono bloccato in questo limbo. La scelta non è più nelle mie mani. Qualcosa di troppo grande aspetta solo di tirare le sorti della mia vita. Vivere o morire. Paura o vuoto. Certezza o eternità. Il terribile peso dell’incertezza mi comprime il petto, mi impedisce di ragionare, mi appanna i sensi. Mi attende qualcosa di più profondo e più grande di me, qualcosa a cui mai avevo pensato.  Sono così impotente davanti a tutta questa immensità. Mi aggrappo alla paura come se fosse l’ultima delle certezze. La conosco bene, in ogni sua sfaccettatura, fedele compagna di una vita. La paura mi trattiene contro di lei, mi stringe con le sue membra gelide, mi sussurra parole spaventose. Mi dice di non andare, che non c’è nulla di peggio della morte, che morire non è l’inizio di un viaggio bensì la fine di tutto. Dovrei crederle ma la vita ha perso ormai ogni attrattiva. C’è solo il grigio a colorare i miei giorni. Il nero manto della morte, con la sua immensità indefinita, cala su di me ogni giorno di più, portando con sé il freddo bagliore della fine. Adesso quel bagliore mi sembra più freddo che mai, così vicino che quasi riesco a sfiorarlo con la punta delle dita. È tardi ormai, non c’è via d’uscita. La paura allenta la stretta sul mio cuore, arrendendosi al grande gelo. Si ritira mestamente, sconfitta, lasciandomi irrimediabilmente solo e indifeso. Non c’è più nulla a tenermi qui, nessuna costrizione.

La morte mi si sdraia accanto con i suoi occhi felini. Mi guarda e mi stringe la mano. Sorride.