I racconti del Premio Energheia Europa

La terra, Elena Correa_Madrid

Menzione Premio Energheia Spagna 2023 (ex aequo)

Manuela scava nella terra, senza zappa, senza guanti, le unghie nere, le mani vecchie e consumate. Le patate escono a manciate, verdi, grandi, piccole, marce. Il cappello di paglia tipico delle Canarie le copre il viso, il sole picchia con la forza del mezzogiorno. Si alza, si stiracchia e mette le mani sui fianchi con la gonna logora e scolorita. La pelle già rugosa prima del tempo, per il sole, per la terra.

Anche le altre donne raccolgono patate. Le mani veloci e la pelle sudata. I fondi delle gonne sono pieni di erbe secche, le scarpe di tela rotte con le dita di fuori.

La terra brucia. Gli uomini passano guidando piccoli trattori, la guardano stiracchiarsi e lei se ne vergogna e torna a selezionare le patate. Quelle marce vanno nel secchio a destra, quelle buone nel sacco, quelle piccole nella busta. Gli uomini passano ma il sole non li colpisce allo stesso modo. Lei guarda il cielo, come ogni giorno, desiderando che il sole tramonti, che si nasconda dietro le montagne, che arrivi l’ora di caricare i secchi sulla testa e rimboccarsi la gonna.

Gli uomini bevono durante il giorno, birra, vino locale e acqua fresca. Loro aspettano il riposo e si riuniscono tutte sotto il mandorlo. Si riempiono i bicchieri con una brocca di acqua tiepida, passandosi i fioroni quando è stagione, banane mature o prugne dei loro orti. Ridono stremate, tutte insieme, lì all’ombra, tutti i giorni. Gli uomini parlano a voce alta tra di loro. Loro bisbigliano, aspettando che il sole si nasconda dietro le montagne.

Alla fine della giornata, Manuela si carica i secchi di patate marce sulla testa, mantiene l’equilibrio, lo fa da anni, ogni giorno. Li porta al camion, lascia il secchio a terra, gli uomini lo caricano, lo ribaltano. Lei va a cercarne un altro. E così cinque viaggi, con le mani sui fianchi e il secchio sulla testa. Recita tre Padre Nostro e due Credo tutti i giorni mentre carica le patate, affinché non si ribaltino, per concentrarsi su qualcosa. Glielo insegnò sua madre, che anche lei lavorava la terra. Fin da piccola le diceva: “Manuelita, pregare è sempre buono anche quando uno lavora”. Per questo lei lo fa tutti i giorni, quando lavora e a volte quando è a casa sua cucinando le patate bollite a suo marito. Gli uomini caricano le patate buone, quelle nei sacchi, quelle nelle buste. Loro le buone neanche le toccano. Solo la piccola bustina che si portano quando tramonta il sole e se ne vanno a casa, a fare da mangiare alla famiglia, continuando a lavorare.

Quando cala il sole, Manuela aspetta sempre il suo autobus, quello che la porta in cima, dove le nuvole basse coprono il paese. Dove è freddo e umido, dove fanno male le ossa per il duro lavoro e per la bassa temperatura. Vede scendere ogni giorno l’autobus, quello che va verso la costa, dove dicono che faccia bel tempo, dove il mare cura le malattie, dove la gente non raccoglie patate ma piuttosto pesca, fa il bagno nella marea, sorride e non prova dolore. Ma questo lei non lo capisce, timbra il biglietto tutti i giorni quando sale, l’unico percorso che conosce.

Seduta guarda fuori dal finestrino, vede le macchine che scendono mentre lei sale. Andranno in spiaggia? Pensa mentre le orecchie cominciano a tapparsi sulla strada in salita. Quando scende, la nebbia strisciante bagna le strade. Manuela cammina lentamente, le fa male la schiena, cammina sbilenca perché le vengono i crampi alle gambe.

Fa il bagno nella vecchia vasca. Ogni giorno l’acqua cade nera, come se fosse coperta da uno strato di terra e di tristezza, come se il suo corpo scivolasse attraverso lo scarico.

Al crepuscolo, Manuela prepara le patate per il marito che arriva tardi, stordito per il vino, con il viso arrossato e a volte contento, silenzioso la maggior parte del tempo. Mangiano le patate del giorno in silenzio, inzuppandole con l’olio della lattina del tonno. Manuela a volte di notte beve anche un po’ di vino. Per accompagnare, si dice. Non parlano più tra di loro, si mettono a letto, si sfiorano i piedi freddi, fino a riscaldarli. Il marito si addormenta prima, lei recita due Padre Nostro con il rosario di legno in mano. Quando lui russa, lei finisce, chiude gli occhi. Fino al giorno dopo. Manuela sceglie le patate, le mette nei secchi, nelle buste. Le altre donne cantano le stesse canzoni che le insegnò sua madre quando era piccola. A volte le loro voci sono coperte dalle motozappe e dai trattori degli uomini, ma Manuela le canta nella sua testa anche se non le ascolta.

Quando sono tutte sedute all’ombra, ascoltano arrivare le donne che vengono dal vecchio sentiero, quelle di ogni giovedì, quelle che vengono dalla costa a vendere il pesce. Cantano canzoni diverse dalle loro, che parlano d’amore, acqua e sale. Le gonne bianche luccicano con il sole, i cappelli di paglia sono più leggeri, portano grandi cesti di vinili e muovono i fianchi come se fossero delle onde.

Tutte abbandonano l’ombra del mandorlo e girano intorno alle altre, con le loro gonne nere piene di terra, scolorite e con erbacce secche. I pesci sempre rigidi, conservati sotto sale affinché non si deteriorino.

  • Dammene due! – dice una.

  • Dammene mezzo! – dice un’altra.

  • E fresco non ce l’hai?

  • Per i pesciolini freschi devi scendere sulla costa. Che non arrivano fino a qui, perché marciscono.

Le donne in bianco se ne vanno e la vecchia strada resta profumata di sale. Manuela si mette il cappello che le copre le rughe, gli uomini fischiano per farle tornare a lavorare. Sceglie le patate mentre il sole tramonta dietro le montagne. Alla sera nessuno canta più, tutti raccolgono, immagazzinano, caricano, il più in fretta possibile per andarsene prima, per poter continuare il loro lavoro.

Manuela aspetta l’autobus alla fermata con il rosario di legno in tasca. Il 416 scende e sembra sempre di vedere le persone all’interno sorridere. Quando torna a casa si guarda allo specchio prima di fare la doccia. Le sue rughe sono piene di terra, sembrano i sentieri lasciati dagli uomini quando aprono i solchi nell’orto.

Il marito non è venuto, lei si siede da sola a cenare con un bicchiere di vino bianco. Si infila nel letto e strofina i piedi freddi contro le lenzuola di flanella consumate. Prega due Padre Nostro e tre Ave Maria finché non lo sente entrare. Poi spegne la luce sul comodino e fa finta di dormire. Quando lo sente russare si addormenta anche lei.

Manuela toglie i vermi da quelle marcie. Le dita piene di sporcizia, le unghie nere come le patate andate a male. Gli uomini passano fischiettando con la pala, fanno buchi più grandi, escono altre patate dal fondo. Le fanno male le ossa, oggi fa freddo, oggi il lavoro è più duro.

Quando si riposano, una giovane donna racconta che ieri dopo il lavoro è scesa al mare, che dopo aver camminato un po’ in riva al mare era come nuova.

– Come sarà?” – dice una.

– E come ci sei andata? – dice l’altra.

-Nell’autobus che scende verso la costa, dice risoluta, con un sorriso stampato in faccia.

Quando il sole è già tramontato, aspetta seduta alla sua fermata e pensa alla giovane audace, si dice. Cosa dirà il marito?, pensa. Come le è venuto in mente di scendere da sola sulla costa? E dalla tasca dove tiene il rosario di legno viene tirato fuori il biglietto multicorse dell’autobus. E questo mi servirà per quella che va al mare?, pensa. E mentre pensa, attraversa la strada, veloce nonostante i dolori. La fermata di fronte è vuota. Manuela guarda dappertutto, spaventata che qualcuno la veda. L’autobus appare dietro la curva. Alza la mano tremante. L’autista si ferma, apre le porte, Manuela ha la sensazione di sentire il profumo del mare.

-Salga, signora – le dice.

-Guardi, io volevo sapere se questo mi serve per prendere quest’autobus – e gli tende il biglietto stropicciato.

– Certo, per prenderne qualsiasi. Salga – dice in fretta.

– No grazie! Io vado su!

E l’uomo chiude la porta. E Manuela attraversa la strada e si siede alla sua fermata. Il rosario consumato gli scivola tra le mani sudate. Ha perso il suo autobus. Il sole è completamente nascosto. Comincia a pregare due Padre Nostro di fila.

Quando arriva a casa è notte fonda, la nebbia è già calata sulla strada. Il marito la guarda seduto al tavolo della cucina, con la bottiglia vuota di vino bianco. Manuela cucina le patate senza fare la doccia o altro. Mangiano in silenzio, si coricano silenziosi e con i piedi freddi. Il marito non avvicina i suoi a Manuela e lei li strofina contro il lenzuolo consumato.

La terra è calda, brucia le mani mentre raccoglie le patate buone. Le fanno male i fianchi, le gambe, le braccia. Le donne oggi non cantano, si fermano solo a bere acqua tiepida. Gli uomini sudano sotto i loro spessi cappelli di paglia.

Le patate marce cadono dal suo secchio, gli scivolano sulle braccia doloranti, lasciando odore di fango, vermi e sudore. Manuela barcolla, gocce di sudore scorrono sul viso rugoso. Gli uomini la guardano ma non l’aiutano, le donne si avvicinano, la portano all’ombra del mandorlo, le danno l’acqua, le puliscono le braccia. La giovane ragazza gli sussurra “scendi sulla costa”.

Manuela aspetta alla fermata di fronte mentre il sole tramonta, il rosario di legno le gira tra le mani. Prega che nessuno la veda, che il marito arrivi ubriaco, che il biglietto non sia esaurito. L’autobus odora di mare. Le persone sorridono e si siedono da sole, incurvate. Si scuote la terra dalla gonna, si strofina le macchie marroni delle braccia. Prega a bassa voce e con gli occhi chiusi molti Padre Nostro di fila finché l’autobus non si ferma. Le porte si aprono e lei calpesta la terra, incerta, come se fosse nell’orto bagnato, come se i teloni si fossero riempiti di fango.

Manuela segue la gente, tutto profuma di sale, come il pesce che le donne in bianco portano il giovedì. Ascolta un mormorio, un rumore che trascina, che dondola. E si ferma e vede l’azzurro e non il colore della terra. E la schiuma che formano le onde assomiglia alla nebbia strisciante che adorna la vetta. E guarda i suoi vestiti e crede di vederli bianchi. Si scalza e la terra delle sue scarpe di tela cade sulla sabbia della spiaggia. Si arrotola la gonna piena di stoppie. Cammina verso la riva e il mare gli copre i piedi stanchi. I suoi occhi si appannano e le rughe si riempiono di goccioline salate. Si guarda le dita dei piedi, che sembrano più giovani e meno rugose attraverso l’acqua salata. Chiude gli occhi e respira. Non c’é terra pesante, né patate marce, solo una leggera brezza che riempie i suoi polmoni di sale. Ascolta i canti, quelli delle donne in bianco, quelli della madre, e la musica nella sua testa si mescola al mormorio delle onde.

Sale sulla 416 e si siede con la schiena dritta. Il sale tra le dita dei piedi. Il sorriso gli fa formare delle piccole rughe agli angoli delle labbra. Scende agile e cammina nella nebbia, leggera, calma. Il calderone è vuoto come la bottiglia di vino sul tavolo. Le patate non sbucciate, non cotte. Non fa il bagno, non vuole staccare il sale dal suo corpo. Quando va a letto, suo marito le avvicina i piedi freddi, lei si allontana. Vuole conservare il salato, il mare, le onde tra le rughe dei suoi piedi. Prende il rosario di legno e prega a bassa voce. Ascolta come lui li strofina contro il lenzuolo strappato.

Manuela, raccoglie le patate in modo agile, la terra è fredda, umida. Sogna che la sua gonna scura e sfilacciata sia bianca. Pensa che le pietre siano pesci, le patate onde, e immagina che i canti della terra siano un po’ più simili a quelli del mare.