L'angolo dello scrittore

I nostri padri

di Simonetta Sciandivasci

Arriva sempre il momento della primavera in cui l’aria ti chiede di essere
riempita con le variazioni Goldberg.
Non si può disubbidire all’aria.
Cerco il cd tra quelli di mio padre e mi accorgo di avergliene rubati
veramente tanti.
Non me ne sono mai resa conto perché lui non me lo ha mai rimproverato.
O forse l’ha fatto mia madre, ma mia madre potrebbe dare del Modugno a
Giuliano dei Negramaro: per lei la musica è zapping; i dischi ed i
cd sono arredamento.
Il musicofilo della famiglia è sempre stato papà.
La sezione B della sua collezione di dischi è piena di buchi: i
Beatles, a parte Rubber Soul ed il
White Album, saccheggiati; Backer,Buscaglione e Bindi spariti.
Mi distraggo pensando alla voce di Bruno Pizzul che dice “traversone
lungo” ( un’altra B che ho ereditato da lui) e poso lo sguardo sulla sezione M.
Mozart, stando alla collezione di mio padre, è la colonna sonora di un
film di Milos Forman.
Torno alla B e trovo una decina di concerti di Bach per mandolini,
chitarre e cordati vari.
Costine gialle da gialli Mondadori sulle mensole di una casa al mare,
perché la sola musica classica che è entrata in questa casa è della
Deutsche Grammophone, che impagina i libretti solo in giallo Agatha Christie.
Ovviamente, in cima, ci sono le Variazioni Goldberg.
In edizione Deutsche Grammophon.
Quando iniziai ad ascoltare Bach pensai che mio padre fosse un
provinciale perché non aveva la versione suonata da Glenn Gould.
Le mie variazioni Goldberg, a pochi centimetri dal cuscino del letto
della mia casa a Roma, le suona Murray Perahia.
E nonostante il tempo di Perahia sia passato di sicuro attraverso
Steve Reich, che a mio padre piacerebbe perché è un tipo essenziale,
ho capito che sia a Glenn Gould che a Perahia si può facilmente
rinunciare per non scombinare l’ordine cromatico di una collezione di
dischi.
Eppure questa collezione che ho davanti, preservata ottusamente da
concerti migliori o storici o imperdibili-per-un-vero-appassionato, un
po’ scombinata lo è.
E la responsabilità è mia.
Negli anni ho spostato, rubato, graffiato, litigato con i dischi di
papà senza che nemmeno una volta lui se la prendesse o mi chiedesse di
essere più attenta.
Ha concesso a me molto più di quanto avrebbe concesso ad un Karajan o
ad un Ferenc Fricsay, nonostante io non diriga orchestre, non sia un
genio, non sia gialla e non sia in grado di tranquillizzarlo- anzi.

La mia variazione Goldberg preferita è la tredicesima.
Mi fa sentire necessaria.
Bach riempie l’aria nel modo in cui si deve riempire l’aria: senza
vento, con i profumi.
In un’aria così non resta nient’altro da fare che immaginare.
Un viale di cipressi e castagni. Gherigli di noci ai bordi e
dio che passa in sidecar, sorpassandoti mentre cammini senza
compagnia.
Ed anche dio è senza compagnia come te e ti chiede se è così che vuoi
vivere pure tu.
Creando un mondo che puoi avere il lusso di attraversare ma non di
condividere oppure subendo quello creato dagli altri, per condividerlo
con chi sceglierai di amare.
Come vuoi vivere, ti chiede la tredicesima variazione Goldberg.
Di essere dio, puoi essere dio.
Di avere il sidecar, puoi avere il sidecar.
Ma devi scegliere tra il sidecar e dei figli che un giorno ti
ruberanno i dischi, ti odieranno, parleranno malissimo di te,
penseranno che sei un provinciale che si è fottuto il cervello
guardando il tg5, ma che un giorno di fine inverno, capiranno quanto li
hai amati e quanto li amerai ancora semplicemente osservando la tua
collezione di dischi con i buchi che hanno lasciato loro dentro.
Capiranno che quei buchi li hai usati per vedere come crescevano e che
fare il padre significa spesso farsi derubare, farsi sorpassare, far
fraintendere la timidezza con l’assenteismo ed il silenzio con la
disattenzione, farsi oscurare dalle chiassosità materne e dare baci
senza abbracci.

I padri- non tutti, diciamo una buona parte- non sconfinano.
Si vergognano di avere paura ed hanno paura di doversi vergognare.
Hanno risposto alla tredicesima variazione Goldberg quando il tempo
non si era bloccato sul presente.
Hanno scelto di avere il sidecar per consentire ai figli di diventare dio.
Hanno lavorato sodo per quel sidecar senza accorgersi di quanto
fossero belli e sudati ed appassionanti ed eroici mentre lo facevano.
Questi padri ( e non quelli accomodanti, dialoganti, psicologisti e
progressisti di cui scrivono adesso le giornaliste indignate in quanto
donne e donne in quanto indaffarate) non accettano figli imperfetti,
che non vogliano diventare dio.
Questi padri sembrano insopportabili, inflessibili, anacronistici ed arroganti.
Però si fanno derubare ed incasinare.
Ed essere loro figli significa avere la certezza matematica di
diventare belli, sudati, appassionanti ed eroici.
Senza troppo sforzi.