La letteratura implica invenzione e menzogna, Lorena Spampinato
Componente Giuria Premio letterario Energheia 2023_XXIX edizione
“La letteratura non è nata il giorno in cui un ragazzo, gridando al lupo al lupo, uscì di corsa dalla valle di Neanderthal con un gran lupo grigio alle calcagna: è nata il giorno in cui un ragazzo arrivò gridando al lupo al lupo, e non c'erano lupi dietro di lui.”
Così scriveva Vladimir Nabokov, l’autore di Lolita, gettando luce almeno su una verità: la letteratura implica genio, invenzione e una buona dose di menzogna. Vero, verissimo. Vero anche che lo spazio che occupa obbedisce certamente alla vita e a poche altre cose veramente umane: i mondi interiori della ricerca e del desiderio, gli abissi e le felicità impalpabili, i frammenti confusi delle identità, l’intuizione del
mistero, la meraviglia.
I racconti contenuti in questa antologia, che la XXIX edizione del Premio Energheia ha voluto premiare, raccontano con grande accuratezza la seconda verità appena enunciata: nella realtà feroce e insinuante che abitiamo, certa finzione ci ricorda soprattutto la vita – ciò che ci appartiene sempre e cancella persino la frattura, la lacerazione, l’irruzione insolita della violenza e della guerra, il tradimento delle geografie. Ci
ricorda i fili che tengono viva la speranza, senza i quali ogni cosa cadrebbe nel vuoto. Ci ricorda il bagliore oltre lo squarcio.
Riunite insieme, le penne giovanissime della prima sezione e le esperienze più adulte della seconda, sembrano accostare le nostre esistenze monadiche l’una all’altra, le svelano – piccole e pulsanti – in mezzo al cosmo, e sorprendentemente tese al nuovo, all’inaudito, al futuro.
E se la realtà è il luogo del decadimento e della solitudine, la salvezza passa soprattutto per la possibilità di immaginare un mondo altro, dove le cose degli uomini si mescolano e accolgono tra loro l’universo, il bisogno di relazione, la libertà.
La ricorrenza dei temi (l’incompiutezza, la paura del futuro, la nostalgia di un passato che inghiotte il presente, la fatica di resistere, di mantenere tutto com’è) non è casuale, anzi: rivela subito il contrappunto al dolore e alla morte, che è sempre qualcosa che ha a che fare con la vita.
I protagonisti di queste storie si ritrovano a fare i conti con delle esistenze che per un motivo o per un altro non riescono a cambiare, si sentono smarriti, e nello smarrimento si privano quasi volontariamente della felicità. A volte preferiscono accontentarsi e vagare nel vuoto, altre si impegnano a trovare soluzioni, ma tutti ci chiamano alla terra come un movimento arcaico e larvale, scavano nei meandri delle esistenze, ci spingono ad allargare lo sguardo, il movimento.
Tornando a Nabokov, vi dirò subito che in queste storie non troverete lupi. Eppure, sono certa, sentendo il ragazzo gridare sarete i primi a scappare. Ma intanto, prima di fuggire tutti, senza illusioni di rovesciamento e di rivoluzione, prendiamoci un momento e interroghiamo i luoghi del racconto dove è possibile evocare stupori indicibili e lampi segreti alla vista, dove raduniamo il gioco e la memoria, le sofferenze altissime e le gioie che credevamo addormentate, sepolte, finite.
Interroghiamo i suoni che cantano anche l’assente e il superfluo. Interroghiamo i paradossi e le antinomie, i mondi impossibili e tutto ciò che fonda la nostra esperienza liquida e incerta. Interroghiamo soprattutto il buio e all’occorrenza lo sforzo di seguire la luce.
Interroghiamo la vita, dunque, che è tutto ciò che tra queste pagine più palpita e trema.
Buona lettura,




