I racconti "brevissimi di Energheia"

I Brevissimi 2025 – L’estate dentro, Liliana Gatto_Genova

Anno 2025 (Le stagioni: Estate) – finalista

Dicembre, emisfero boreale, inverno. Mi hanno estirpata, impacchettata come una cosa senza sentimenti, trasportata – un viaggio lungo dentro scatole tra odori di cartone e carburanti – infine sdoganata, una tra le tante, avvolta in un fastidioso velo di plastica trasparente su un ripiano di un ipermercato. Accanto a me, altre piante succulente in offerta speciale. Dalle mie foglie tonde guardo i passanti. Lo so, sembro poco attraente in questo luogo artificiale, pieno di rumori con un’aria pesante di polveri sottili, tosse e starnuti. Cerco una mano gentile che mi porti via, spero di essere la prescelta, quella che riuscirà a salvarsi, voglio tornare a fiorire. Fa freddo, ma dentro di me, le mie radici sudafricane hanno memoria, e per me è ancora estate: l’estate australe, quella dai ritmi lenti e dal sole generoso, quella che mi faceva fiorire a tutto tondo; adesso, mi presento confusa, con fiori ridotti a pennacchi raggrinziti, spaesati. Depressa, avvolta nel cellophane, strappata dalla mia terra natale, sbattuta in un vaso di finta terracotta in cui mi sento in prigione, con un’etichetta appiccicosa, – ne percepisco l’origine vegetale – su cui hanno scritto pianta succulenta euro 1,90 (“davvero valgo così poco?”) come se non avessi un vero nome. Io sono una lithops, dal greco antico lithos/pietra e opsis/ aspetto, per gli amici pietra viva, due parole dal gusto amaro considerato il fatto che sono mezza morta, preoccupata di non trovare più la posizione e la luce propizie alla fioritura. Mi hanno costretto a lasciare la mia terra per un mondo nuovo di cui non conosco il punto di rugiada, lo zero termico, lo spartiacque, i colori dell’alba e del tramonto. L’unica mia risorsa vitale è lei, l’estate australe, quella che mi scalpita dentro, retaggio di sensazioni ormai lontane, tenace combattente e mia alleata, a lei devo la speranza di giorni migliori. È una sfida epocale quella che stiamo affrontando, unite dalla voglia di mostrare al mondo la bellezza che per legge di natura ho ereditato. Ecco vicino a me una mano, piccola, gentile, ora mi solleva, mi osserva, finisco in un carrello, in un’auto, in un ascensore, infine di nuovo ferma, senza l’involucro di plastica, su una mensola vicino a una finestra.

Timida, i fiori serrati, testo l’aria: c’è odore dei frutti dell’albero di caffè, ahimè tostati, un misto di verdure cucinate, bollite, soffritte, avverto la presenza di una pianta di origano ora essiccata, ho paura di finire secca cosi, se potessi tremare, tremerei. Ma l’estate dentro mi sussurra di non arrendermi, di restare calma, di tenere i fiori sigillati quale segnale di disagio, un sos botanico. Poi la stessa mano piccola, sporca di inchiostro e pennarelli, mi porta in un’altra stanza. Ora sono su un mobile di noce tanganica, circondata da una guzmania, un croton, una schlumbergera con brillanti fiori arancioni. L’estate dentro di me respira l’essenza di vetiver e tabacco trinciato presenti nella stanza, avverte la pungente miscellanea dei frutti del cotone misti a qualcosa di artificiale, verifica l’esposizione a sud, il tasso d’umidità; sta calcolando le nuove coordinate, forse ne è soddisfatta e mentre registra la rigogliosa fioritura della schlumbergera come una conciliazione tra le estati dei due emisferi, io sono distratta da una sagoma pelosa: sporca di terriccio, ha due vivaci e impertinenti occhi tondi di un verde sgargiante che mi fanno sentire sbiadita, ha un nasino umido e rosa e con quello mi annusa, mi fa vibrare i pennacchi dal solletico, poi due mani la allontanano, e la sagoma dal pelo rosso, felice, corre via. Nella calma della sera, tiro le somme, ora i miei parametri vitali si stanno acclimatando. Nella notte, sento fremere le corolle. Ora ne sono sicura: la mia estate australe sarà sempre con me e domani, nella luce del mattino, per la prima volta, qui, fiorirò.