L’eco di un sorriso, Gabriella Asta_Palermo
Finalista Premio Energheia 2025 – sezione giovani
Sofia si guardava allo specchio con occhi critici, cercando disperatamente di trovare qualcosa di bello in quel riflesso che le sembrava sempre sbagliato. Ogni linea del suo viso, ogni curva del suo corpo, ogni dettaglio le appariva come un difetto da nascondere.
Fuori, però, nessuno sembrava accorgersene. Sorrideva sempre, con quel sorriso perfetto che aveva imparato a indossare come una maschera. Parlava con sicurezza, rispondeva con battute pronte, dava l’impressione di essere a suo agio ovunque andasse. Ma dentro di lei, il rumore delle sue insicurezze non si fermava mai.
Ogni risata era studiata, ogni gesto misurato, ogni parola attentamente scelta per non far trasparire il vuoto che sentiva dentro. Perché se avesse abbassato la guardia, anche solo per un attimo, qualcuno avrebbe potuto vedere la verità: che non si sentiva abbastanza, che non si era mai sentita abbastanza sicura di sé.
L’unica persona che vedeva oltre quella facciata era sua madre. Lei riusciva a leggerle dentro senza che Sofia dovesse dire una parola. Non importava quanto si sforzasse di nascondersi, sua madre la vedeva davvero.
Non si stancava mai di ripeterle quanto fosse speciale, non per il suo aspetto, ma per ciò che era. La amava incondizionatamente, con quella dolcezza in grado di abbattere anche i muri più alti. Con lei, Sofia si sentiva al sicuro. Ogni volta che la sua autostima vacillava, sua madre era lì a sorreggerla, a ricordarle che valeva di più di quanto credesse.
E non erano solo parole. Sua madre trovava sempre il modo di farle vedere il mondo con occhi diversi. La spingeva a non nascondersi, a smettere di chiedere scusa per la sua presenza. La portava fuori, lontano dai pensieri bui, la faceva ridere fino a toglierle il fiato, le mostrava che la vita era troppo breve per sprecarla a odiarsi. Ogni piccolo gesto era un tassello che lentamente ricostruiva l’immagine che Sofia aveva di sé.
Pian piano, Sofia aveva iniziato a crederci. Aveva smesso di abbassare lo sguardo quando parlava con qualcuno. Aveva iniziato a scegliere vestiti che le piacevano davvero, e non solo quelli che pensava la facessero sembrare meno “sbagliata”. Aveva cominciato a ridere senza preoccuparsi di come appariva. E, soprattutto, aveva smesso di interrogarsi continuamente.
Sua madre era la sua ancora, la sua guida, la sua salvezza. E per la prima volta, Sofia iniziava a sentire di meritare quel posto nel mondo.
Ma proprio quando tutto sembrava migliorare, quando Sofia stava finalmente imparando ad accettarsi, la vita le strappò via l’unica persona che l’aveva sempre amata per ciò che era.
La malattia arrivò senza preavviso, crudele e silenziosa.
Giorno dopo giorno, sua madre si spegneva sotto i suoi occhi, e Sofia si sentiva impotente, incapace di fermare quel destino ingiusto. Rimase accanto a lei fino alla fine, stringendole la mano con la disperazione di chi non è pronto a dire addio.
Negli ultimi giorni, sua madre le aveva chiesto di non tornare indietro, di non lasciarsi trascinare di nuovo nell’ombra. Ma Sofia non poteva prometterlo. Come poteva andare avanti senza di lei?
Un giorno di ottobre di quel doloroso anno, Sofia si trovava come al solito nella stanza di sua madre in ospedale. Quella maledetta stanza era avvolta da una penombra che sembrava sospesa nel tempo, il silenzio rotto soltanto dal flebile sibilo del respiro affannato della madre. Sofia era inginocchiata accanto al letto, le mani strette attorno a quelle della madre, fragili e leggere come ali di farfalla. Il calore di quelle dita sembrava già svanire, scivolando via come sabbia tra le dita. Gli occhi della madre, un tempo così vividi, erano velati da un’ombra di stanchezza infinita. Tuttavia, quando si posarono su Sofia, un’ultima scintilla di amore e determinazione si accese in quel mare di stanchezza.
Con uno sforzo che sembrava spezzarla, la madre parlò, la sua voce un sussurro quasi inghiottito dal silenzio:
“Se non vuoi farlo per te…” fece una pausa, il respiro spezzato da un colpo di tosse debole, “fallo per me…”
Sofia scosse la testa, il volto rigato dalle lacrime. “Non posso…Non so come andare avanti senza di te”, sussurrò, il cuore spezzato in mille frammenti.
La madre strinse con un ultimo, tenue impulso le mani di Sofia, le labbra piegate in un lieve sorriso.
“Vivi per me…” sussurrò, con una dolcezza che sembrava avvolgere ogni angolo della stanza.
E poi il peso della sua mano cedette, il respiro si fermò. Il sorriso rimase, ma la luce nei suoi occhi si spense, lasciando un vuoto che gridava nel silenzio.
Sofia rimase immobile, incapace di accettare ciò che aveva appena visto. Il suo cuore urlava contro quella realtà crudele, ma le parole di sua madre riecheggiavano nella sua mente come un canto sommesso, spezzandola e, allo stesso tempo, ricomponendola.
“Vivi per me…”
Tra le lacrime, Sofia sollevò il viso verso il cielo grigio che intravedeva dalla finestra. Non sapeva come, né da dove avrebbe trovato la forza. Ma sapeva che lo avrebbe fatto. Per lei. Solo per lei.
Passarono giorni, settimane, e il dolore la soffocava. Poi, una sera, trovò una lettera, scritta con la grafia familiare di sua madre.
“Sofia, so che ti senti persa, ma io sono ancora qui. Nella tua forza, nelle parole che ti ho detto, nell’amore che ti ho lasciato. Guardati con i miei occhi, amore mio, e vedrai la ragazza meravigliosa che ho sempre visto io. Non smettere mai di amarti, perché io non smetterò mai di farlo.”
Sofia strinse il foglio tra le mani e pianse. Pianse fino a sentire il petto bruciare, fino a sentire il dolore mescolarsi a qualcosa di nuovo.
Forse era amore.
Forse era il ricordo di sua madre che, ovunque fosse, la stava ancora sorreggendo.
Si guardò allo specchio, con gli occhi lucidi e il respiro tremante. E per la prima volta, non cercò difetti.
Cercò sua madre dentro di sé. E la trovò.




