I brevissimi di Energheia – La caccia di Giuseppe Lo Cricchio_Partinico(PA)
_Anno 2014 (I sette peccati capitali – La superbia)
Nel mezzo della foresta, mi trovai in una cerchia tenebrosa. Lì, ebbi dinanzi la bestia a cui da tempo davo la caccia.
“Non lo vorrai fare sul serio!” Non molto tempo addietro, Michel – mio fratello più debole – tentò di sbarrarmi la strada. Lo trovai piantonato dinanzi alle porte d’oro che costeggiano la sala del trono di re Iod, nostro padre.
“Non vorrai ostacolarmi!” esclamai, e scoppiai in una risata sprezzante. “Tu! Cosa credi di fare, fratellino?”
Michel non era ancora un cavaliere – era troppo giovane per esserlo – tuttavia quel giorno non batté ciglio, quando tentò di sbarrarmi la via che mi avrebbe condotto ad ottenere ciò che più bramavo al mondo. A me, paladino veterano di mille battaglie!
Tutti sanno quanto la mia forza sia ineguagliabile. Non vi è uomo che non tema la mia spada, le mie stoccate letali come fulmini!
“Non voglio che tu commetta una simile sciocchezza, Lucius.”
“Guardami: la mia armatura è talmente sfavillante che brilla di luce propria. Nessuno dei nostri fratelli è più degno di me per prendere il posto di nostro padre. E tu … di certo sei come loro.”
“Nostro padre governerà ancora per molti anni. Quando verrà il momento, sarà lui a decidere a chi dovrà cedere la corona. Temi che non sceglierà mai te. È per questo che intendi sfidarlo?”
La Legge del nostro regno stabilisce che un figlio possa sfidare a duello il padre. Se vince, può chiedere al padre qualunque cosa sia in grado di offrirgli, anche ciò che sino quel momento gli ha sempre negato.
Volevo il trono aureo che mi spettava. Sapevo di esserne degno!
“Sai cosa ti accadrà se perdi.”
Ad un tratto trasalii: in caso di sconfitta, neppure il sovrano avrebbe potuto salvarmi dalla Legge del regno. Ebbi un attimo di tremenda debolezza, poiché esitai, poi ogni incertezza della ragione venne meno, poiché io, Lucius, sapevo di essere imbattibile.
Ero pronto per occupare il posto di mio padre.
“Lasciami passare!” urlai, e con forza a dir poco belluina rovesciai mio fratello al suolo. Riverso sull’impiantito, Michel mi supplicò di non andare oltre.
Ma la bramosia fu così potente, che aprii le porte d’oro e varcai la soglia della sala del trono. L’antro si aprì e si richiuse alle mie spalle con un tonfo sonoro.
Lì, sul suo scranno aureo lo trovai. Mio padre mi scrutò con i suoi occhi ceruli e limpidi, impassibile come la montagna, nonostante la mia violenta irruzione.
“Lucius, figlio mio.” Iod non mi parlò con l’austerità di un re, ma con la voce supplichevole di un padre. “Fermati finché sei in tempo, Lucius.”
La sala era ampia e luminosa, raggiante di un lucore a dir poco celestiale.
“Un giorno potresti essere tu ad occupare il mio posto, ad assumere l’immensa responsabilità che oggi grava sulle mie spalle.”continuò mio padre, e dai suoi occhi trasparì la saggezza che lo contraddistingueva “Solo se te ne dimostrerai degno.”
“Io ne sono degno!”
Ma Iod scosse il capo. “Al momento temo di no, Lucius.”
A quel punto, mi sentii avvampare dentro la collera dell’inferno. Come Lucifero, che sfidò il Padre per ottenere il suo trono celeste, io sguainai la spada, e con selvaggia avidità mi avventai contro mio padre.
Avrei ottenuto il posto che di diritto mi spettava con ogni mezzo. Ad ogni costo.
Inutile dire che fui sconfitto.
Con il rammarico che un padre può provare nei confronti di un figlio nel compiere un simile gesto, Iod rispettò la Legge dl regno. Poiché la Legge non può essere infranta, soprattutto dal re.
Così fui mandato in esilio, bandito dal regno e gettato nella foresta per il resto dei miei giorni.
Brancolai nel buio della fitta boscaglia.
Le ombre mi avvolsero.
Fui preso da una pazzia cospiratrice che presto mi pugnalò nella mente. Nel mezzo della foresta, diedi la caccia alla bestia, all’occulta entità che mi aveva condotto subdolamente al mio tragico esilio.
Quando mi trovai in una cerchia tenebrosa. Lì, mi specchiai sulla superficie di uno stagno.
Nello specchio, riconobbi la bestia a cui da tempo davo la caccia.