I Brevissimi 2025 – Il tempo del perdono, Rodolfo Andrei_Roma
Anno 2025 (Le stagioni: Estate) – finalista
Ero troppo piccolo per capire il motivo per il quale fummo cacciati dalla nostra masseria di
famiglia. La brutalità di quell’allontanamento, subito anni fa da mia madre e me, era difficile da
perdonare, e l’ostilità verso mio nonno, autore di quel sopruso, faceva fatica a trasformarsi
nuovamente in affetto.
Che torto aveva fatto mia madre per meritarsi ciò? Aveva già dovuto accettare e sostenere il peso
dell’improvvisa morte prematura di mio padre, e Nonno Salvo non accettava che sua figlia, unica
erede, non volesse gestire l’azienda di famiglia:
«Non capisci il valore di questa impresa, gettare al vento una proprietà avviata e in piena salute.
Mi hai deluso, e per me puoi anche sparire dalla mia vista per sempre».
Ribatteva a mia madre ogni giorno.
Mia madre amava la città con le sue luci, con la sua gente e la loro voglia di vivere, i negozi con le
loro vetrine multicolori, sognava un futuro più sicuro e pulito per me, unico figlio e unica sua
ragione di vita.
La decisione di separarsi da quel luogo sperduto nel nulla, fu sofferta e dolorosa, ma quello era il
passo che doveva fare mia madre. L’arrivo in città e l’inserimento in quella nuova realtà non fu
semplice, mentre i giorni scorrevano più o meno veloci e più o meno sereni. Nella mia mente si
rincorrevano mille domande nella speranza di trovare qualche minima risposta. Era giusto questo
comportamento così crudele, da parte di un padre, nei confronti della propria figlia? Perché tanta
durezza e aridità di cuore nei confronti di una persona che è anche parte di te? Forse però, senza
rendermene conto, cercavo qualche minima giustificazione che mi aiutasse a ridimensionare
quell’atteggiamento così insensibile da parte di mio nonno; in fondo anche io ero parte di lui.
Erano già alcuni mesi che la mamma, per una febbre improvvisa mi aveva lasciato, lasciando un
vuoto sempre più grande in me.
Il caldo di quell’estate fu asfissiante e opprimente, e si stava facendo sempre più insistente e
duraturo. Fu in una di quelle calde mattine che il postino mi consegnò una lettera proveniente dalla
vecchia fattoria di famiglia.
L’indirizzo, scritto con una calligrafia forte e decisa, mi fece capire subito chi fosse il mittente.
«E’ da tempo che non ho vostre notizie, volevo solo informarvi che nonna Amalia è venuta a
mancare pochi giorni fa. Firmato nonno Salvo».
Tutto qui. Poche parole, senza dilungarsi troppo, come era sua abitudine, ma fu già un grosso passo
in avanti da parte sua. Da parte mia invece, quando la mamma morì, non ebbi il coraggio di farmi
sentire; forse per paura di non avere una risposta.
Mi chiedevo se era il caso di rispondergli, o addirittura di andare a trovarlo, cercando di insabbiare
vecchie ostilità e risentimenti.
Decisi di fare ritorno alla fattoria, cosciente che stavo facendo un passo significativo e importante.
Imboccai la strada per la masseria sotto un sole pungente; pungente come i pensieri che affollavano
la mia mente.
L’odore forte di quei campi abbrustoliti da un sole spietato e senza tregua, mi violentava le narici,
mentre aprivo il grosso cancello in ferro, dove ancora erano incise le iniziali del nostro casato.
Il portico davanti l’ingresso della casa accoglieva ancor oggi quella malconcia sedia a dondolo, dove
un anziano contadino vi si lasciava cullare sopra. Nonno Salvo mi guardò quasi sorpreso, ma da
sempre fiducioso che prima o poi sarei tornato. Mi accennò un timido sorriso. Io ricambiai di buon
grado e, con dolcezza, accarezzai la sagoma di quell’uomo che adesso vedevo così indifeso e
inerme. La lunga attesa era finita, e il suo vecchio e arido cuore, dopo anni di siccità, stava tornando
a vivere. Il sole continuava a picchiare implacabile sui campi mentre io riflettevo sulla legge
naturale della vita, dove ogni stagione ha sempre le sue distanze e il proprio tempo: il tempo della
siccità e il tempo delle piogge, così come il tempo dell’odio e il tempo del perdono.
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