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Doctor Alganesh, di Paolo Lambruschi

Sui media italiani, generalmente, la storia dei migranti è raccontata a partire dal viaggio in barcone, senza approfondire cosa accada prima. Quali terribili difficoltà attraversano queste persone nel loro lungo viaggio dall’Africa subsahariana fino all’Europa? Che cosa li spinge a intraprendere un’impresa del genere, rischiando la propria vita e quella della loro famiglia? Alganesh Fessaha, cittadina italiana nata in Eritrea nel 1954, specialista in medicina ayurvedica, racconta senza filtri ciò che ha visto in prima persona in quasi vent’anni dedicati a cercare di proteggere e salvare il maggior numero di migranti possibile, aprendo corridoi umanitari con la sua ONG Gandhi o cercando di localizzare i prigionieri dei beduini per riuscire a farli scappare dai trafficanti di esseri umani. Un impegno che nel 2015 le è valso il titolo di Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica, conferitole dal presidente Mattarella.

Doctor Alganesh offre al lettore italiano un punto di vista diverso da quello dei media nazionali, divisi tra chi punta sul tema della cosiddetta “invasione” dei migranti e chi riporta le condizioni disumane cui sono sottoposti durante il viaggio nel Mediterraneo. Nessuno va a fondo e le motivazioni della loro partenza rimangono spesso sconosciute. Prova a farlo Paolo Lambruschi, raccogliendo la testimonianza di una donna dedita a proteggere i migranti fin dall’inizio del loro viaggio, e ci aiuta a comprendere meglio la questione. Ma dopo lunghissime odissee, innumerevoli pericoli e una rischiosissima traversata in barcone per arrivare sulle coste italiane, i migranti trovano davanti a loro una realtà poco più accogliente di quella bellicosa o intollerante del loro Paese d’origine. La storia di Alganesh Fessaha ci inviata ad aprire i nostri occhi sulla cruda verità sui migranti, nella speranza che questo possa aiutarci a cambiare il nostro approccio.

«Mi chiamo Alganesh Fessaha, sono nata in Eritrea nel 1954 e sono cittadina italiana. Il mio nome significa “il mio trono, il luogo ove riposarmi”». Comincia così il racconto di questo libro, che ha come protagonista “Doctor Alganesh”, specialista in medicina Ayurveda, fondatrice e presidente della Ong “Gandhi”, che dal 2003 sostiene persone vulnerabili attraverso progetti in diversi Paesi africani. Questa biografia in prima persona, scritta da un giornalista di Avvenire esperto di questioni internazionali e umanitarie, racconta la storia di una donna di speranza e di pace che nel 2015 è stata insignita dal presidente Sergio Mattarella del titolo di Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica «per il suo impegno nella lotta al traffico degli esseri umani e nell’assistenza ai profughi».

Medico eritreo,  Alganesh Fesseha è arrivata in Italia una trentina di anni fa, ma vive tra l’Europa e l’Africa, impegnata in un’azione costante di salvataggio per strappare ai mercanti di morte centinaia di ragazzi catturati in Sudan ma anche nel Sinai. Ha cominciato la sua battaglia nel 2003, quando, insieme a un gruppo di medici, professori universitari e avvocati  ha fondato ad Abdijan, in Costa d’Avorio, l’associazione Gandhi, un’ong che lavora sull’ abbandono dei bambini e sul disagio delle donne. Qui Fesseha è venuta a conoscenza della tragedia dei profughi del Corno d’Africa e dell’Africa sub-sahariana: eritrei come lei, ma anche sudanesi, etiopi, somali, maliani, che compiono un esodo disperato, fuggendo attraverso il Sudan, l’Egitto, la Libia, il Sinai. Ragazzi giovano che finiscono spesso in mano a trafficanti e  beduini, che li vendono come merce o  tentano di  ricavarne un riscatto di migliaia di dollari. E così le famiglie si indebitano fino al collo per riuscire a liberarli ma quando non ce la fanno i migranti vengono ceduti al mercato della prostituzione o sacrificati al mercato della vendita di organi per i trapianti clandestini. “Vengo da un paese in cui ogni mese tremila giovani sono costretti a fuggire a causa di un regime militare e dittatoriale che li costringe al servizio militare a vita: una vera forma di schiavismo umano – racconta Fessaha –. Questi ragazzi passano la frontiera e  arrivano in Sudan, dove con la complicità di alcuni funzionari del governo vengono ceduti ai trafficanti. Qui inizia la loro odissea: venduti e rivenduti di volta in volta ai mercanti egiziani fino al confine con Israele, dove c’è un vero e proprio smistamento di gli essere umani. Ma durante tutto il percorso i profughi  subiscono torture disumane, che nessuno troverà mai in nessun libro di storia”.

Fesseha porta sempre con sé le foto che testimoniano le violenze: corpi martoriati, scuoiati vivi, bruciati, mozzati.  “Le donne vengono violentate anche 3/4 volte al giorno, i ragazzi sodomizzati, anche quando sono bambini piccoli – continua – fanno colare sulla loro schiena la cera rovente delle candele o vengono lasciati  per ore appesi con la testa in giù finché non svengono, e  poi li picchiano ancora e ancora e ancora”. Alle torture si aggiunge l’espianto degli organi: sono tanti i corpi ritrovati nel deserto a cui mancano le cornee o tutti e due i reni. Per far fronte a questa situazione Fesseha ha deciso di impegnarsi in prima persona e finora è riuscita a liberare 2.200 persone tenute prigioniere dai mercanti e 550 dai beduini, “ma senza mai pagare alcun riscatto” precisa. Ad aiutarla nell’impresa uno sceicco salafita. “Questi  ragazzi mi chiamano notte e giorno e mi chiedono di aiutarli – racconta – io mi faccio  dare le indicazioni del luogo dove sono tenuti prigionieri e così proviamo a liberarli”. Il primo passo lo fa lo sceicco, che una volta individuata la casa-prigione, va dal proprietario e cerca di convincerlo a liberare gli ostaggi facendo leva sui precetti del Corano. Ma se non funziona scatta un vero e proprio blitz : “io lancio un  segnale in tigrino e i ragazzi prigionieri corrono verso l’uscita, e noi li facciamo salire in macchina e li portiamo via. Se i guardiani si svegliano spesso ci sparano – dice candidamente – ma per ora per fortuna non è successo niente. Non saranno comunque loro  fermarmi”. L’ultima operazione di salvataggio è di questi giorni: la liberazione, con l’aiuto dell’esercito egiziano, di un sottufficiale eritreo fuggito dalla dittatura di Isaias Afewerki ma intercettato dai predoni poco dopo aver varcato il confine con il Sudan. Per il suo impegno Fessaha è stata insignita dell’Ambrogino d’oro.