Bruciare il mare, Ana Javornik
Vincitrice Premio Energheia Slovenia 2025
Traduzione a cura di Flavia Ferragni, Università La Sapienza Roma
Il livello dell’acqua ferma nel bicchiere opaco si avvicinò pericolosamente al bordo. L’angolo si aprì come la bocca di un pesce affamato, che vuole aspirare tutta l’acqua. Bastò solamente l’ultimo colpo e l’equilibrio perfetto finì. Le gocce cadute si sparsero sulla superficie di legno ruvida, alcune si posarono sulle pagine ingiallite del taccuino nero. Le altre scorrevano l’una dopo l’altra nel loro oblio, come fossero un tappeto antico. Qualcuno gridò forte. Delle mani callose si protesero verso l’oscurità bagnata. La scossero qualche volta e avvicinarono il tesoro verso il naso curvo e arrossato. Le sopracciglia folte, segno di mancanza di schiuma da barba e di cura, si unirono in una curva aggrottata; gli occhi, nascosti sotto di esse, valutarono il danno con uno sguardo pignolo e decisero che non c’era motivo di lamentarsi. Eppure, le labbra secche lasciarono andare un respiro lieve, conseguenza di un’ingiustizia e di uno sdegno lasciati andare troppo a lungo.
L’uomo si raddrizzò nella sua cabina angusta e si guardò attorno, tra gli attrezzi sparsi ovunque. Da qualche parte, in un angolo, aveva lasciato i suoi occhiali, ne aveva bisogno, doveva trovarli. Doveva guardare un’altra volta la formula- in realtà doveva controllare ogni numero, una volta trovata quella dannata calcolatrice. È vero, le lettere rosse che indicavano la sua proprietà si erano ormai sbiaditi a causa del tempo, ma ogni volta i numeri comparivano nell’ordine corretto. Si sarebbe potuto alzare. Tuttavia, un pensiero lo trattenne, in posizione fetale, con la testa canuta abbassata. Ancora un anno.
Con un tonfo fragoroso, il bicchiere mezzo vuoto cadde a terra, lo seguirono il taccuino e l’uomo. Le sue ginocchia deboli ressero appena la caduta. La sua stanza oscillante si calmò solo dopo un lampo accecante e un tuono assordante, il bicchiere rotolò da qualche parte sotto il letto. Qualche pagina ingiallita volò in aria e si disperse nella cabina disordinata. L’uomo le afferrava velocemente, ignorando i vecchi stracci sparsi ovunque. Il suo sguardo si fissò sul vetro graffiato della piccola finestra rotonda. I bulloni erano disposti a intervalli irregolari, il che gli faceva alzare la pressione ogni volta che li guardava. Volò una prima grossa goccia, centrando in pieno il bersaglio rotondo. Ne seguì un’altra… poi un’altra e un’altra ancora… In breve, crearono un’atmosfera densa, opprimente, segno dell’ora che si avvicinava. L’acqua saliva. Il tempo stringeva.
All’uomo si strinse la gola, dopo tanti anni ebbe paura. Ingoiò un grumo secco e si alzò in piedi con fatica. Le articolazioni non accettarono di buon grado la sua decisione improvvisa, si dovette appoggiare alla parete sospettosamente appiccicosa. Più che aggrapparsi all’unica superficie solida della cabina traballante, si resse al taccuino nero, prova della vita vissuta e delle fatiche di un uomo senza futuro. Il momento era arrivato. Si doveva scordare degli occhiali e della calcolatrice, bisognava sfruttare l’acqua che irrompeva.
Saltellando, si mise gli stivali bucati e si lanciò verso il baule chiuso ermeticamente. Infilò la chiave nella toppa arrugginita senza problemi, come se persino i piccoli ingranaggi all’interno attendessero con impazienza il frutto del suo durissimo lavoro. Il coperchio saltò quasi fuori dai cardini, per poi ricadere con un tonfo sordo sul tappeto macchiato. Il groviglio di fili, viti e luci all’interno era rimasto intatto, esattamente come era all’asciutto. L’uomo tirò un sospiro di sollievo: se avesse lasciato avvicinarsi anche una sola di quelle sporche mani mocciose, incapaci di comprendere il valore di quell’ammasso di metallo, l’avrebbe di certo già ritrovato diviso almeno in due. Ma quelle mani non c’erano più. Erano rimaste nell’aula ammuffita in fondo al corridoio, al secondo piano, là dove le finestre non erano mai state sigillate. Sebbene la ragione gli suggerisse di controllare un’ultima volta i simboli incisi, l’istinto gli ordinava l’opposto. Afferrò il dispositivo e si calò orgoglioso il cappello sulla testa.
Quando uscì all’aria aperta, lo accolse uno sgarbato vento tempestoso, che gli strappò il cappello dalla testa, e ogni tentativo di resistervi era inutile. Si aggrappò all’apparecchio ancora più saldamente. Questo, come un cagnolino spaventato, sibilava nella stretta del padrone, perché aveva sentito la vicinanza di un’energia sovrannaturale. Il percorso verso la prua della nave era incerto e traballante, e ad ogni passo l’uomo veniva colpito da schizzi d’acqua salata. Ma continuava ostinatamente ad andare avanti. Si aggrappò con impeto al corrimano bagnato, che non offriva proprio nessuna garanzia di sicurezza, e si dedicò all’apparecchio.
Il mare è un vero e proprio castigo divino. D’estate ti invita seducente sulla sua riva, sul morbido letto di sabbia impastato di gelato e crema solare. Quando poi il vento autunnale soffia e porta via la libertà del sole estivo, ruggisce e trascina via con sé qualsiasi resto di quel calore e di spensieratezza. L’uomo l’aveva perciò giudicato. Dopo anni di attenta riflessione aveva preso una decisione: il mare doveva bruciare. Ma non solo bruciare, doveva essere incenerito- non doveva rimanerne nulla se non pesci morti carbonizzati e montagnette di sale. I resti dovevano poi essere spazzati in un’urna di ottone e seppelliti in profondità nella terra gelida. E poi bisognava posizionare una piccola pietra insignificante, le cui lettere nere non riportassero MARITO E PADRE AMATO, ma AMANTE ARDENTE E ASSASSINO A SANGUE FREDDO. Il mare è impietoso, non si accontenta di una sola vittima, ne chiede sempre un’altra. Erano state senza dubbio organizzate cerimonie adeguate per i marinai coraggiosi e il capitano, padre di un giovane allievo della più prestigiosa accademia delle scienze naturali, che la moglie rimasta vedova non poteva più permettersi. Lo stato intero li aveva onorati con silenzio e lutto in ogni dove, ma i volti pallidi e ben nutriti di uomini in frac costosi non erano riusciti a riportare il corpo del capitano dalle profondità del mare. Perciò il mare doveva bruciare. E non avrebbe dovuto avere una tomba. Nessuno lo avrebbe ricordato.
La luce ardente illuminò di nuovo il nemico umido; l’uomo era pervaso da una forza sovrannaturale che era rimasta nascosta nel suo cuore fin da quando, da bambino, stava in calzini neri e scarpe davanti una piccola pietra. Ogni istante del suo desiderio irrealizzabile l’aveva guidato, come il filo rosso del labirinto di Cnosso, fino alla prua di quella vecchia nave nella più violenta delle tempeste. Con mani gelide girava manopole e premeva protuberanze tremolanti. L’apparecchio vibrava ogni secondo sempre di più, nell’aria si poteva sentire la sua energia. Nella tempesta si diffuse un odore metallico. Mai, in vita sua, l’uomo era stato così deciso. Con tutta la sua forza spinse con l’indice tremante il bottone rosso. Un colpo sordo riecheggiò nello spazio. Per la prima volta nel suo insignificante e mediocre vissuto, sul suo volto apparve un sorriso beato. Le pareti grigie furono avvolte dalla luce.
Al suono delle sirene, i flash delle macchine fotografiche crepitavano sussurrando. Gli uomini in impermeabile muovevano indifferenti le matite sulle loro agendine. Vicino la vasca trovarono un libricino inzuppato d’acqua, che, sorprendentemente, non era stato consumato dal fuoco vicino. Una mano carbonizzata lo stringeva fra le dita proprio all’apice della propria esistenza, come se fosse sacro. Dei cavi serpeggiavano per tutta la cantina buia, ormai inutilizzabili per via delle estremità fuse.
I giornali riportavano che l’uomo aveva vissuto una vita ordinaria. Nella gioventù aveva perso il padre. Era professore di fisica in una scuola sperduta. Aveva abbastanza di tutto. Ma nonostante questo si mise in vasca e collegò la corrente.
Qualcuno chiese: “Il mare brucerà? E perché non incendi l’acqua, pazzo?”
Ma l’uomo comune non capisce che su ogni tomba ardono piccoli frammenti di mare sulle guance dei visi di persone sole. E così anche il mare in qualche modo brucerà.




