I racconti "brevissimi di Energheia"

I brevissimi 2014 – La prima comunione di Rosanna Marazia_Matera

_Anno 2014 (I sette peccati capitali – La superbia)

imagesCA80YLALSe solo avessi avuto le mani libere. Quella dannata forcina mi rosicchiava l’orecchio come un topo davanti ad un pezzetto di goloso formaggio. Stavo per ricevere il Corpo e il Sangue di Cristo. Otto mesi di Catechismo, incontri, preghiere recitate a memoria e ancora: ritiri spirituali, messe cantate, confessioni e infine le prove. Ieri Rosa è scoppiata in lacrime proprio nell’attimo in cui un raggio di sole è sceso dal vetro colorato della volta e  ha illuminato con un bagliore scintillante l’ostia che reggeva delicatamente  con la punta delle dita. Come spesso accade agli attori delle più importanti compagnie teatrali prima del debutto, durante le prove, Rosa è crollata. Per non interrompere quel momento di preghiera, nessuno di noi ha osato spostarsi di un solo millimetro; con le braccia sollevate aspettavo un cenno del sacerdote per sciogliermi da quella scomoda immobilità. Lentamente l’ostia sconsacrata è scivolata sulla lingua, si è appiccicata sul palato ed è rimasta lì per un bel quarto d’ora.

“Siate gioiosi!” diceva Don Filippo! “State per accogliere Gesù.”

Rosa ha qualche problema: la sua mamma ama un uomo che non è il suo papà. Il suo papà ama una donna che non è la sua mamma, entrambi hanno un figlio e una figlia che sono fratelli di Rosa, in percentuale da calcolare. Un bel pasticcio.

Rosa vive con i nonni e ha imparato che l’amore finisce. Sempre meglio di Nicola che vorrebbe vivere con i suoi nonni e si deve accontentare di vederli sulla fotografia della lapide al cimitero. Vive in una comunità con altri ragazzi e spesso incontra  l’assistente sociale e la psicologa.

Suo padre entra ed esce dal carcere; dicono sia uno spacciatore di droga e anche un ladro però, mi ha detto Sisina la fruttivendola, che non ha mai fatto del male a nessuno, neanche a una mosca. Nicola è simpatico. Quando racconta le barzellette, ci fa morire dalle risate. La catechista certe volte lo rimprovera perché le parolacce in chiesa non si dicono, anzi, non si dicono mai. Cristina e Giorgio sono gli unici che non ridono, quando Nicola ne dice una delle sue. Chissà, forse non vedono l’ora di tornare a giocare nel loro giardino. Io non sono invidiosa, sia ben chiaro; devo però ammettere che loro hanno proprio tutti i giochi del mondo: lo scivolo grande, l’altalena, il tavolo da ping pong, la piscina e una montagna di videogiochi originali per la Play Station S4.

Giochi e divertimenti a parte, non succede a chiunque di avere a disposizione due tate. Una insegna pianoforte e l’altra è una madrelingua inglese e parla con loro sempre e soltanto in inglese. (L’anno scorso perché ero piccola, credevo si dicesse  madreperla inglese). Cristina e Giorgio sono fratelli gemelli: il giorno del loro compleanno hanno festeggiato nel giardino della villa con una torta megagalattica. Per spegnere le candeline sono saliti sul palco decorato di fiori a grappoli e candele galleggianti. A loro non manca mai niente. Non è vero. Giorgio mi fa il filo, l’ho capito da come mi guarda e da come mi accarezza i capelli. Giovedì dopo il ritiro spirituale ho parlato con lui confidenzialmente: diceva dispiaciuto che i suoi genitori non ci sono quasi mai. Il lavoro li costringe a girare il mondo: Francia, Stati Uniti, Giappone, India …

Io non riuscirei a stare lontana intere settimane dai miei genitori; da quel rompiscatole di Gigi, mio fratello, sì. Anche sei mesi, eccome se riuscirei.

“Dio, quanto mi ami?”

Don Filippo apre l’omelia con queste quattro parole. Poi non resisto e mi allontano ancora. Penso che …

La mia famiglia è normale. Non siamo tanto alti, non siamo tanto belli, ci svegliamo sbadigliando, con gli occhi appiccicati e l’alito che sa di naftalina sciolta nel caffè. La mattina si litiga a chi di noi per primo occupa l’unico bagno di casa. Il solito guastafeste è lui: Gigi. Entra nel bagno come una saetta, e resta chiuso a chiave un tempo interminabile. Dopo ripetuti insulti che gli urliamo dietro la porta, finalmente esce con una facci da ebete. Gigi è una scimmia spelacchiata di quindici anni con il naso lucido e camuso di una capra. Odio arrivare tardi a scuola, soprattutto quando non è colpa mia. Il mio papà un giorno sì e l’altro no, mi chiede se sono felice; come se dalla mia contentezza dipendesse il successo della sua. Anche la mamma, pur non essendo altrettanto diretta, cucina benissimo cantando: quando cucina, canta meravigliosamente bene. Credo che la normalità fabbrichi mostri e cuochi. Ecco l’amore per me è riuscire a essere mostruosamente normali e a saper cucinare da Dio, il che significa: amare tutti i giorni con il richiamo dell’acquolina in bocca.

“L’amore finisce?”

Don Filippo ha interrotto i miei pensieri girovaghi con quest’altra domanda. Sinceramente non ho ascoltato le sue risposte, le ho cercate dentro di me.

La forcina continuava a darmi fastidio mentre le voci del coro avevano già riempito di magia ogni piccolo spazio libero della chiesa facendo vibrare l’aria immobile e intrisa di profumi. Con le mani giunte aspettavamo in fila: noi femmine, bardate di nastri e merletti dalla testa ai piedi, i maschi invece, con l’impronta dello joystick della play station 4  in mezzo alla fronte. Il tutto ben celato sotto una claustrale tunica bianco latte.

“Adesso fermi!” Ha detto sottovoce la catechista.

Il fotografo indietreggiava, avanzava, s’inclinava come un gambero con la parrucca. Una nuvola confusa di capelli grigi aleggiava come un fantasma sollecitato dai lampi del flash. Mi stavo distraendo. Ho fatto appena in tempo a ricordare le raccomandazioni di Don Filippo.

“Domani con le mani giunte, pregate Gesù!”.

Dietro l’altare, Lui mi guardava con gli occhi di sempre. Una grande croce di legno faceva da sfondo al suo corpo. Per fortuna il famoso artista e ceramista, gli aveva risparmiato i rivoli di sangue gocciolanti sul viso, dietro la corona di spine della fronte, e il sangue rappreso dei polsi e dei piedi bucati con ferocia dai chiodi e dal martello. Era un Gesù risorto: sfiorato da un velo di tulle ingessato ma leggero, talmente leggero da sembrare in procinto di volare nuovamente in cielo sospinto da un soffio di vento. Allora sentii che il fiocco del vestito nascondeva un doppio nodo: uno mi cingeva la vita, l’altro si accomodava nel mio stomaco. Provai a deglutire, ma il movimento involontario del collo, fece riaffiorare il dolore pungente della forcina. Stavo pregando, non c’erano dubbi.

Caro Gesù, devo confessarti un grande segreto.

Non ho voglia di raccontarlo a Don Filippo, lui è un uomo come noi.  Dio ti ha creato a nostra immagine e somiglianza ma io la differenza la vedo, tu sei un’altra storia. Noi uomini parliamo e promettiamo come se le parole e le promesse non avessero alcun valore. Anche per te le parole non contano?  La vita non è un sogno e rimango male quando dopo aver sognato piacevolmente, scopro che non era vero niente. Tuttavia devo riconoscere il sollievo che mi prende e l’ho anche apprezzato, quando un sogno terribile, diciamo pure un incubo, si autodistrugge al mio risveglio. Stanotte non riuscivo a dormire. La forcina questa volta non ha colpe. Mi sono alzata perforando il buio mentre tutti dormivano e sono andata in cucina. Le lancette fosforescenti dell’orologio segnavano le 4 :12. Qualcuno doveva aver dimenticato il telefono cellulare acceso, collegato al caricatore. Normalmente non l’avrei mai fatto. Almeno credo. Invece ho avviato lo sblocco strisciando con il dito sul display e ho ficcato il naso nei fatti di mio padre. “Mi manchi … ti amo … non farmi aspettare ancora … i tuoi figli capiranno … non puoi tenere nascosta una storia importante come la nostra … diglielo che tua moglie è innamorata di un’altra”. Ho appoggiato il telefono sul tavolo e ho incominciato a tremare. Il cuore mi batteva nel petto con violenza e ho incominciato a immaginare le facce di questi due diavoli che avevano bucato la crosta  terrestre per gettare lava incandescente sulla mia famiglia. Sai una cosa caro Gesù? Sei un millantatore, un bugiardo, una statua di gesso. A cosa è servito il tuo sacrificio? Avanti, scendi da quel muro, da quell’inutile croce e spiegamelo. Che cosa cercano gli uomini per vivere felici, l’AMORE?  Come vedi l’amore finisce e anche il tuo si è esaurito. Smettila di guardarmi in quel modo, aiutami. Io adesso come faccio? Ti sembra poco, vivere questa messa in scena come se niente fosse? Ah, già. È il peccato originale, l’albero della conoscenza, il serpente. Fammi il piacere! Sai cosa mi hanno insegnato al Catechismo? Ascolta:

“ Mio Dio mi pento e mi dolgo dei miei peccati, perché peccando, ho meritato il tuo castigo …”

Non ti sembra assurdo far recitare a memoria l’Atto di Dolore ai bambini? Per piacere scendi da quella croce, infilati un jeans e una camicia a quadri e fai un po’ di restauro. Non vedi che il mondo sta cadendo a pezzi? Ti sembro superba? Non importa. Oggi mi sento nella merda fino al collo e mi toccherà recitare la mia parte con quest’odiosa forcina che mi sta torturando. Anzi sai cosa ti dico? Adesso me la strappo via dai capelli. Sono stanca.

S sss … Gigliola? …ehi … Gigliola …. Le mani … tienile giunte, stai pregando.

Mi chiedono di essere buona come un dolce alla crema io preferisco alla bontà, la verità. Possiamo far finta che vissero tutti felici e contenti come nelle favole. Alle favole non ci crede più nessuno.

“La bambina è svenuta!” Presto, chiamate un’ambulanza.