I racconti "brevissimi di Energheia"

I brevissimi 2008 – Abbandonarsi alle passioni. Il rischio dell’amore. di Danilo Chiaradia_ Policoro(MT)

anno 2008 (Le quattro virtù cardinali – La prudenza)

Ovatta e acetone. Non erano mai a portata di mano quando servivano, e lo smalto si era asciugato, scomposto, sulle unghie prima che avesse il tempo di intervenire.  Dov’li nascondeva?
Ti Amo, una parola soffiata appena.
Infilò piano i guanti di pelle nera e si carezzò sensualmente le labbra, ed erano morbidi, eleganti.  Per un attimo s’immaginò con i boccoli ben curati e con il neo della signora del film. Sì, le somigliava, così sensuale e determinata, ritoccò il rossetto bordò e con delle calze vecchie abbozzò dei seni fieri.
L’odore forte del caffè proveniva dalla cucina, che profumo intenso, e che musica i gorgoglii della macchinetta, senza volerlo sì lasciò pervadere da quel piacere.
<Chiama tuo padre!> urlò la madre dalla cucina, ed ebbe un sussulto, spaventata, e sfilando veloce la collana di perle finte la ripose nel cassetto. Un’abilità degna di una puttana, si era truccata ed era bellissima, non poteva esserlo di più. Se l’avessero scoperta così adornata di certo, avrebbe penato punita dalla cintura del padre e privata dell’unico piacere che la faceva sentir donna.
Il padre passava la giornata al lavoro, nell’officina vicino casa, circondato da uomini come lui, che spendevano la loro inutile vita esprimendo volgari pareri su un calendario o commentando le gambe delle poche donne che passavano dal paese.
Scese dai tacchi soffrendo per le numerose torsioni subite, si era, infatti, allenata, ma ancora non era pronta. Veloce s’infilò una busta di plastica sul viso e corse sul retro della casa.
<Papà è pronto.. il caffè> annunciò in silenzio, intimorita dai numerosi sguardi.
<Tua figlia è matta, una ragazzina con una busta in testa!> e scoppiarono tutti in una fragorosa risata. Quegli uomini vissuti che sbavavano, desiderando quelle bellissime donne di carta e ridevano di lei, delle sue carni, un’acerba bambina di dodici anni.
Avrebbe tanto voluto svelarsi, liberare il volto dal buio cartoccio del pane e mostrarsi come deve una donna al suo uomo, ammiccare, scuotere il bacino e ostentare le forme.
Strizzò l’occhio, ma nessuno poteva vederla.
Tornata in camera e infilati i tacchi si provò ancora, sfilando davanti allo specchio, era così magra e fresca, pensò di poterlo fare.
Sfilò allora la foto dal sotto il cassetto, l’immagine di un militare, un uomo qualsiasi della rivista di guerra. Fece l’occhiolino e baciò la foto. Ti amo.
Era innamorata di lui.
Chiudendo gli occhi provò a immaginare. Saziare la sete di quegli uomini in astinenza, lontani dalle loro mogli. Ti amo, ti amo, ti amo ancora.
E i seni, divennero da falsi, veri e sodi rilievi, le braccia magre e i capelli cotonati. Per un attimo non seppe riconoscere il vero in quello che provava. I brividi lungo la schiena, i tremori nel ventre, i colpi profondi tra le gambe. Lei poteva averli tutti gli uomini.  Ti amo, ti amo, ti amo ancora.
Il freddo è pungente nelle sere di campagna e lo stridere dei grilli fa paura.
Non aveva mai visto quell’uomo, mai immaginato e si vergognò del piacere che aveva provato, ma se qualcuno si era accorto del suo dolore, allora sì il frutto immaturo che un tempo era stato, era ora caduto dall’albero, aveva vinto, era finalmente una donna. Pianse all’allontanarsi di quella figura buia. Un uomo.
Il dolore di un bacio, una lusinga, un abbraccio, un corpo rovente dove cercare rifugio.
Nel malvagio piacere di un desiderio.
Perché una Donna sa
Di esistere
Potere.