I racconti "brevissimi di Energheia"

I brevissimi 2019 – Verde glicine, Vincenzo Di Francesco_Guidonia-Montecelio(RM)

Anno 2019 (I colori dell’iride – Verde)

«Anche quest’anno nemmeno un fiore»sentenziò una voce oltre il muro di confine.

Armata di cesoie e meschinità, fingendo di curare le rose, la vedova Blanco attese che la vicina uscisse da casa solo per sferzarle l’ennesima stoccata.

Neanche quell’anno il glicine di Pilar aveva fiorito. Il suo invece, piantato poco più in là, era un diluvio d’infiorescenze lilla e in qualche modo doveva sottolinearlo.

Pilar fece spallucce. Serrò la bocca in un diplomatico sorriso soltanto per trattenere sonore imprecazioni. Scrollò la tovaglia del pranzo e rientrò in casa.

Sebbene la beffata lo curasse come un figlio, l’incriminato, anziché fiori le donava foglie. Tante. Verdi. Rigogliose. Ogni primavera sul capo di legnosi intrecci, stesi su un pergolato, una verdeggiante chioma sbocciava al posto di violacei grappoli.

Forse era nato da un seme. Per questo non fioriva e neppure lo avrebbe fatto in futuro, ma ciò non le importava. Lei lo amava così, per la sua particolarità.

Ogni volta però, che l’orfana di marito lo frecciava con le sue battute, a Pilar le si stringeva il cuore. Era come se fossero rivolte a lei.

Quelle parole dall’aspetto innocuo la riportavano all’adolescenza. Le ricordavano quando tornava a scuola dopo l’estate e tutti le dicevano che neanche quell’anno le erano cresciute le tette.

Hai voglia la nonna a metterle impasto lievitato sui seni per farli crescere però nulla, le sole cose che in quel periodo crebbero furono i piedi e lo spessore delle lenti da vista.

Pilar non era bella ma particolare. Con un tacco cinque superava il metro e novanta.  Capelli corti, ricci e rossi. Occhiali grossi e spessi quanto fondi di bottiglia. Spalle larghe. Punto vita assente. Come le sue tette d’altronde. Il torace scendeva giù dritto fino ai fianchi e ancora giù fino ai piedi. Nessuna forma di grazia. Para come il fusto di una colonna, con il testone dalle volute ramate a fare da capitello.

Forzuta nelle braccia, ma fragile dell’anima, aveva sempre sofferto per il suo aspetto. Anni e anni di analisi per conviverci ma non per accettarlo.

Non si era mai sposata. Pilar viveva da sola. Nella vita pochi uomini. Figli, tanti. Nessuno suo, tutti degli altri. Insegnava nella scuola elementare del paese e l’idea che di lì a poco si sarebbe pensionata, l’angosciava. Senza quei bambini si sentiva persa. Inutile.

Non dormiva più. Si chiedeva cosa sarebbe stato della sua vita. E proprio durante una di quelle notti insonni giunse la risposta.

Erano quasi le due quando udì dei rumori in giardino. Infilate le diottrie mancanti poggiate sul comodino, si alzò dal letto e andò alla finestra.

Sbirciando tra le stecche della persiana chiusa notò una sagoma.

Non ebbe dubbi.  Aprì di colpo le imposte smeraldo. Uscì da casa come una belva per cacciare l’intruso. Si trovò davanti la vedova in vestaglia.

Arrampicata sul tavolo, sotto la pergola, legava al glicine dei fiori di plastica.

Era lì per uno scherzo. Voleva vedere la faccia di Pilar quando, l’indomani, si sarebbe svegliata trovandolo fiorito.

L’invasa s’incupì. L’invadente ridacchiò dicendo che se i vegetali avessero un’anima, quell’infruttuosa pianta, si sarebbe seccata per la vergogna. Un glicine senza fiori non ha bellezza. E’ solo erbaccia. E come tutte le erbacce sarebbe dovuto essere estirpato.

Quelle frasi accesero la rabbia di Pilar. Sentì la bile ribollire. L’amaro verdastro si distillò nelle sue vene e inebriò il cervello.

Sradicò i fiori finti dalla pianta. Con essi vennero via anche delle fronde.

Strinse gli artificiali grappoli attorno al collo della vedova. Con essi pigiò pure le foglie divelte. Più stringeva e più la verdastra clorofilla s’imprimeva sul gozzo rosaceo della strangolata.

Pilar lasciò la presa solo quando l’oppressa lasciò la vita.

L’asfissiata cadde a terra. Pilar strappò una tenda bianca dal pergolato.

Trascinò la morta fino al confine.  L’afferrò e la gettò dall’altra parte: un tonfo sordo risuonò nel buio.

Scavalcò il muretto. Legò la tenda intorno alla gola dell’esanime e l’appese al suo glicine. Con la vestaglia lavanda era in pendant perfetto con i fiori che la circondavano.

Quella notte Pilar attese il giorno in cucina. Fece colazione al solito orario. All’ultimo sorso di caffè sentì un grido. Prese il cordless e confessò la sua colpa.

Pilar fu incarcerata. Qualche tempo dopo la sua casa fu venduta, mentre il verde glicine, ancora senza fiori fu tagliato.