I racconti del Premio letterario Energheia

È l’ora di pranzo_Andrea Giovannetti, Civita Castellana(VT)

_Racconto finalista diciannovesima edizione Premio Energheia 2013.

 

 

In che modo l’anarchia può realmente soddisfare i miei bisogni?

Sono davvero convinto che sia l’unica via necessaria al mantenimento della libertà, personale, sociale, umana, che mi, ci spetta, a tutti quanti?

“Ancora democrazia!” ho urlato e sentito urlare. Ma a cosa ci porterà questa ribellione, in cos’è che crediamo, nel profondo del nostro cuore, a un Dio? All’uomo? Al bene che è in ognuno di noi? Ma è così buono come diciamo, quest’uomo, o questo Dio?

Lo Stato ci osserva, ci deruba di noi stessi, l’anarchia porterà alla fine dello Stato, dicevano, ci toglierà ogni peso. Ma come ci organizzeremo quando non avremo chi ci governa, chi ci dirà cosa fare, quando l’organizzazione sarà nelle mani di tutti; sarà come se nessuno ne fosse responsabile, la nostra libertà inizia dove finisce quella degli altri, dicono, ma il buon senso non è proprio dell’uomo.

Ora, quei poliziotti là davanti, cos’è che vogliono? Uno stipendio sicuro, un po’ di sicurezza, un modo per sfogare le loro frustrazioni… qualcosa in cui credere. E allora in cos’è che siamo diversi?

Lo Stato li aiuta ad essere sicuri, ecco cosa, ormai è una guerra, che ci piaccia o no, o noi o Lui, loro sono soltanto uno strumento.

Suona la carica… sta per iniziare.

 

Non voglio farlo. Ancora ragazzini, con il casco e la kefiah. Noi abbiamo gli scudi, loro le felpe, loro i sassi, noi i manganelli.

Forse non sanno nemmeno loro quello che stanno facendo, cosa sta succedendo, forse hanno solo fumato un po’ troppo, sono appannati… Stanno per aprire il gas nel casco, ho poco tempo per riflettere, ora o mai più.

Succede sempre così, ci lamentiamo, non vogliamo farlo, poi ci buttano in faccia questo eccitante, e chi pensa più a niente?

I cori di questi ragazzi mi fanno quasi ridere, sono convinti che riusciranno a smuoverci, a farci disobbedire agli ordini, non capiscono che per noi è ordinaria amministrazione, e poi il sangue che scorre non ci disturba, anzi, ci eccita ulteriormente… Non riesco più a pensare in modo lineare, non mi rimane che stringere il manico del manganello, sta partendo il tamburo.

Ormai aspettiamo solo il segnale, continuiamo a battere sullo scudo.

Manca poco.

La guerra civile…

 

Sbirri, ovunque, sempre a rompere le palle, ‘ste merde.

Siete schiavi, non siete liberi nemmeno di picchiarci, dovete aspettare che vi venga detto.

Dovreste saltare tutti in aria, nelle caserme.

Ci vuole poco a rompere le ossa a qualche ragazzino disorganizzato, sapete anche voi chi ha ragione… Ribellatevi!

In questo modo non riusciremo ad andare da nessuna parte, e andremo avanti così per anni.

Divide et impera, funziona ancora così. Ora non c’è più un impero da dominare, almeno non ufficialmente, ma ci controllano in tutto quello che facciamo.

Ci dicono che possiamo scegliere quello che vogliamo mangiare, come ci vogliamo vestire, ma non siamo davvero liberi, se qualcosa non gli piace, non ce la fanno trovare nei loro negozi, le loro fabbriche non la producono, non va di moda, non vende, “piacerebbe solo a quei reietti della società che ci vengono contro… perché dovremmo fargli un favore?”

E quindi ci spingono a protestare, per farci sentire liberi, ed ecco che noi, poche centinaia di ragazzi, ci troviamo bloccati dalla polizia, pronta a caricarci, senza pietà, senza un minimo senso di compassione o di colpa…

Ne moriremo tutti… è solo questione di tempo.

 

Non voglio essere qua, mi sono stancato. È quasi ora di pranzo, ho mia moglie a casa che mi aspetta, e devo stare qua ad osservare questi marmocchi, figli di puttana, almeno dal comando centrale si sbrigassero a darmi la conferma, o qua ci troviamo una molotov nella camionetta.

Giuro che se si raffredda il pranzo, li denuncio tutti per oltraggio, tanto poi, i magistrati mi daranno ragione, non di certo a qualche ragazzino idiota, senza una vera ideologia. Scommetto che la maggior parte di loro è venuta qua solo per non andare a scuola e potersi fare le canne in libertà.

Giuro che se si sporca il trench…

Potrebbero essere miei figli… Se lo fossero stati, non sarebbero stati qua, nessuno sarebbe qua se dipendesse da me; è tutto inutile, devono capirlo, così vanno solo incontro al dolore e al sangue.

Sfacciati.

È arrivata.

“Gli uomini sono drogati?”

“Bene!”

Il dado è tratto.

“VE LA SIETE CERCATA!”

“CARICATE!”

 

Mentre in strada volano i sassi, si alzano le urla ed il sangue corre sull’asfalto, dal palazzo di fronte, gli uomini in giacca e cravatta si affacciano alla finestra. Sembrano perplessi.

“Ma di cosa vi preoccupate, amici? Sono facinorosi, no? La stampa dirà questo. È l’una passata, mangiate!”

Il presidente parla e ride da un divanetto.

 

        È l’ora di pranzo.