L'angolo dello scrittore

Sognando uomini liberi. Steve Biko e Thomas Sankara: diversissimi, ma entrambi esempi luminosi di utopisti. Assassinati per un ideale e ancor oggi fonte di ispirazione

 Amani – 13 Maggio 2011 di Pietro Veronese 

Il giovane intellettuale e l’uomo d’azione. Tanto amati dai sostenitori, quanto odiati dai nemici, oggi sono un simbolo per i giovani africani. Il sudafricano Steve Biko, oppositore politico, ucciso dai torturatori dell’apartheid il 12 settembre 1977; e Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso, freddato con dodici proiettili il 15 ottobre 1987.

Biko e Sankara furono due uomini diversissimi; molto li divideva, ma molto anche li accomuna, non solo l’essere entrambi neri, figli dello stesso continente, morti giovani (il primo a 31 anni, il secondo a 37). Il fatto è che tutti e due, Biko e Sankara, furono due grandissimi idealisti, due utopisti, se vogliamo, morti inseguendo lo stesso sogno, che non riuscirono ad afferrare e certo non appare più vicino adesso a noi che gli siamo sopravvissuti. Sognavano l’eguaglianza fra gli uomini: Biko negando che la razza (della quale oggi sappiamo che neppure esiste), possa essere il fondamento di una gerarchia, un’esclusione, un divieto; Sankara illudendosi di avvicinare gli esclusi di sempre – le donne, i contadini, i poveri – all’esercizio del potere.

Steve Biko era un giovane intellettuale, un uomo disarmato, ma dalle idee affilate come punte di diamante; Sankara, un uomo d’azione, ancorché intriso di forti motivazioni ideologiche: era un parà commando, un soldato d’èlite del suo paese, il Burkina Faso. Biko crebbe nei grandi agglomerati urbani del paese più industrializzato dell’Africa; Sankara in una società ancora contadina. Soprattutto li divise l’esperienza del potere: Biko fu sempre un profeta disarmato, e malgrado la sua fierezza, il suo orgoglio intellettuale e identitario, pur sempre una vittima; Sankara era un ufficiale, un comandante, uno che prese il potere con le armi, che non abbandonò mai la mimetica militare a aveva sempre la pistola alla cintura. Non fu, e lucidamente lo ammise, un democratico, anche se amava il popolo, andava in giro senza scorta su una macchina scassata, predicava la povertà ai suoi ministri, suonava la chitarra nei locali, tanto per divertirsi ed era amato di vero cuore dalla gente. (Il settimanale Jeune Afrique, anni fa pubblicò i rapporti riservati dell’ambasciata di Francia a Ouagadougou nei primi tempi della rivoluzione di Sankara. In uno di questi, datato marzo 1984, si legge: “Nessuno qui si azzarderebbe a contestare la legittimità della rivoluzione, la sua ispirazione, l’integrità dei suoi dirigenti e la dedizione alla causa pubblica dei membri del Comitato”. Straordinario, non è vero?, se pensiamo che a Parigi il ministero degli Esteri definiva i capi di quella stessa rivoluzione “un gruppo di militari marxisti imprevedibili, le cui decisioni sono ispirate dal dilettantismo e dall’incoerenza”).

Eppure uomini così diversi, che furono molto amati, ma anche molto odiati dai loro amici – Biko fu torturato a morte dai suoi aguzzini bianchi, Sankara abbattuto da un complotto capeggiato dal suo braccio destro divenuto, poi presidente dello stato, Blaise Compaorè – continuano ancor oggi a essere fonte di ispirazione. Il nome di Biko è cantato nelle periferie sudafricane, sebbene il potere dell’African National Congress non l’abbia affatto in simpatia; l’anniversario della morte di Sankara è stato celebrato nelle vie di Ouagadougou da migliaia di ragazzi che non l’hanno mai conosciuto in vita, nati cioè dopo la sua morte. Innalzavano cartelli con il suo ritratto e indossavano t-shirt con la faccia del Che. Ancor  più che denaro, di sviluppo, di benessere è enorme e per definizione inesauribile il bisogno di ideali. L’unico che l’Africa sappia, per tutti noi, concorrere generosamente a soddisfare.