I racconti "brevissimi di Energheia"

I brevissimi 2014 – Simmetrie di Alessandro Cuppini_Bergamo

 _Anno 2014 (I sette peccati capitali – La superbia)
farfalla5Premio Domenico Bia – raccolto scelto dall’associazione.

Zio Raffaele, vecchio dongiovanni di ottant’anni, raccontava una sua avventura giovanile:

  Una volta ho avuto una ragazza, studentessa di filosofia all’ultim’anno, che preparava una tesi dal titolo ‘Simmetria: un aspetto della natura o un valore che noi le attribuiamo?’ Era talmente immedesimata in questo suo studio da essere influenzata nell’aspetto fisico e nelle abitudini. Portava i capelli lisci e lunghi divisi da una perfetta scriminatura in mezzo al cranio, la stessa che ripeteva pettinandosi i peli del pube. Aveva smesso di praticare il tennis perché le distruggeva l’armonia del suo fisico perfetto. Se metteva un anello alla mano sinistra, ne metteva uno anche nella destra, stesso dito. Un tipo fatto così.

Anche i nostri amori diventarono tutta una faccenda di parità: alienanti, privi di immaginazione e di spirito. Per combattere questa sua mania, un giorno mi inventai una citazione di un celebre sessuologo: ‘Se una coppia finisce insieme uno dei due ha finito male’, ma lei non aveva riso per nulla.

Dopo, si addormentava di schianto, ben prima di me. Dormiva e continuava a tormentarmi: spingeva e scavava col sedere contro la mia pancia e le gambe, cercando di procurarsi una tana in cui passare la notte. Piegava indietro la testa finché la sua nuca non sbatteva sul mio naso.

Quella sua razionalità paritaria aveva un suo sfogo durante la notte, o almeno così io credevo. Aveva curiosi e frequentissimi dormiveglia alternati a profondi stati di sonno; in quei brevi intervalli tra sonno e veglia, alzava le spalle e la testa verso il soffitto e ad occhi chiusi sparava straordinarie assurdità, ossia frasi perfettamente intelligibili ma dal senso oscuro, come:

‘Accesa d’ira Etna ti moveva l’Etna gigante lave vomitante arida secca.’

Oppure: ‘Ora, psicologa, i matti, zitta!, miagolo: ci sparo!’

E si riaddormentava di botto, rifugiandosi nella tana tra le mie cosce e il ventre.

La mattina non ricordava nulla e anzi negava con risolutezza. Se le chiedevo:

‘Che c’entrava l’Etna, stanotte?’

‘Quale Etna?, rispondeva. Ti sbagli, sognavi.’

Ricordo perfettamente l’ultima frase che pronunziò, perché fu cinque minuti prima di capire del tutto quella ragazza e dieci prima che il nostro amore finisse per sempre.

Era verso l’alba, io ero già sveglio, costretto sul bordo del letto dall’incalzare delle sue chiappe. Lei ad occhi chiusi alzò il viso verso il soffitto e declamò:

‘Ali loro, è la verità, paion logore. Zoff (ùtinam!) è dei… para, para… Piede, mani, tuffo: zero gol, noi a patire. Vale oro: lì, là.’

Pensai fosse un brano dalla telecronaca di una partita di calcio. E invece di botto capii: quelle frasi che sembravano parole a casaccio erano palindrome, si potevano cioè lèggere anche alla rovescio! L’orgia della simmetria! Anche nel sonno non riusciva a liberarsi da quella sua orrenda mania. In quel momento suonò il campanello di casa.

Mi alzai avvolgendomi nell’accappatoio. Era il fattorino dei telegrammi, allora usavano ancóra. Era di mio cugino, diceva: ‘Zio Carlo morto ieri sera. Vieni subito.’

Mi vestii in fretta, preparai una valigia d’emergenza e mi congedai dalla ragazza con un bacio crudele che contraddiceva ogni sua ipotesi di lavoro, solo sul seno sinistro. Poi uscii.

Non l’ho più rivista, l’affronto era troppo sanguinoso.

   Come si chiamava la ragazza, zio?, domando.

   Non poteva che avere un nome particolare: Anna.