L'angolo dello scrittore

Scritte su orologi e meridiane

_ di Roberto Vacca
mitologia1“Nu gh’è palanche pe cata’ o tempo perso” – (Non ci sono soldi per comprare il tempo perso) è la scritta di Elisa Giacchino sotto la bella meridiana che ha dipinto a Tasso di Lumarzo. L’insegnamento è ragionevole – come lo sono altre epigrafi su meridiane. Esempi:
“Una dabit quod altera negat” . (Un’ora darà quello che un’altra nega) esorta all’ottimismo: se le cose vanno male, prima o poi andranno meglio.
“Horas imple, umbram aspice, occasum time” (Riempi le ore, guarda l’ombra e temi il tramonto) mi dispiace di averla trovata solo dopo aver pubblicato il mio libro “Come Fermare il Tempo e Riempirlo di Buone Idee”. Guardiamo l’ombra per sapere l’ora e, metaforicamente; guardiamo le cose negative. Temiamo la sera perché potremmo riflettere che non abbiamo fatto abbastanza nella giornata che finisce.
“Nulla fluat, cuius meminisse non iuvet” (Non passi nessuna ora, che non faccia piacere ricordare) – è un augurio e suona gradevole, se non fosse che leggerlo o ascoltarlo non rende più probabile che si avveri. Sembra ispirato ai versi di Virgilio che nel I libro dell’Eneide fa dire a Enea: Meminisse iuvabit = ci farà piacere ricordare [le nostre traversie attuali]. Nel 1799 volle ripetere, sul patibolo, le parole di Enea anche la patriota repubblicana di Napoli Eleonora Fonseca Pimentel.
Altre scritte, invece, riaffermano considerazioni ovvie – spesso con deboli giochi di parole – o sono proprio negative specialmente se sono di ispirazione religiosa. Fra queste
Horas non numero, nisi serenas – (Non conto le ore se non sono serene)
Vulnerant omnes, ultima necat – (Tutte feriscono, l’ultima uccide)
Aspiciendo senescis – (Mentre guardi, invecchi)
Haec ultima multis, forsitan tibi – (Questa è l’ultima ora per molti, forse anche per te)
Imminet mors – La morte è imminente.
Afflictis lentae, celeres gaudentis horae – Le ore sono lente per chi soffre e veloci per chi gode
Harum dum spectas cursus, respice ad novissimam horam – Mentre guardi scorrere queste ore, pensa alla tua ultima
Hora horis cedet, pereunt sic tempora nobis, ut tibi finalis sit bona, vive bene – Ogni ora lascia il passo alle seguenti, così finisce il nostro tempo – perchè l’ultima sia buona, vivi bene.
Anche su pendole e orologi sono state riportate scritte edificanti. Non abbiamo idea di chi abbia formulato o raccolto questi motti, ma anche poeti veri e noti hanno scritto versi sul tempo e sui moti dell’animo scatenati dal suo defluire. Ugo Foscolo concluse così il suo sonetto “Alla sera” del 1803:
“Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme
delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.”

Il poeta si era fatto fare un orologio in cui invece delle 12 cifre delle ore erano incise le dodici lettere:
H U G O R U I T H O R A
– un memento di utilizzare bene il suo tempo.
Le prime quattro erano un omaggio a Hugo de Groot (Grotius) fiammingo (1583-1645) – “Ruit Hora” (L’Ora Irrompe) era il suo motto.
Grotius era stato un fanciullo prodigio: a 11 anni conosceva latino e greco e si iscrisse all’Università di Leyda. A 16 anni era avvocato e a 18 professore di diritto.
Era filosofo e drammaturgo. Fu il primo giurista a definire, analizzare e proporre il diritto internazionale, il libero mercato e il diritto di ogni popolo ad attraversare gli oceani e commerciare in terre lontane. Le sue idee politiche furono incluse in parte nel testo del trattato di pace di Westfalia nel 1648. Fu il primo Ministro della Giustizia olandese. Il governo svedese lo nominò ambasciatore di Svezia a Parigi
Scrisse un Trattato sulle Sette Arti Liberali e un altro sulla legge di guerra e di pace (De Jure Belli et Pacis). Era anche teologo e il suo pensiero ispirò i principi delle Chiese Metodista e Pentecostale. Le sue tesi sulla predestinazione e il libero arbitrio furono considerate eretiche dall’establishment calvinista. I suoi libri furono bruciati in piazza in Inghilterra; in patria fu silenziato e imprigionato nel Castello di Loevenstein. Gli fu riconosciuto il diritto di continuare a studiare e sua moglie gli faceva arrivare grosse casse di libri. Si nascose in una di queste che veniva portata indietro vuota. Le guardie che la trasportavano commentarono che pesava molto e che doveva esser piena di libri eretici. Così il giurista riuscì a evadere ed emigrò in Francia.
Grotius fu un precursore. I suoi principi liberali furono ripresi da Jefferson e da altri padri della Rivoluzione Americana. Al tempo suo, invece, ebbe troppi oppositori.
Morì a 62 anni per le ferite subite durante un naufragio. Le sue ultime parole furono:

“Ho capito molte cose e non è servito a niente”.