I racconti "brevissimi di Energheia"

I brevissimi 2015 – Ricordo di Massimo Terzini, Veroli(FR)

_Anno 2015 (I sette peccati capitali – L’Ira)

 

islanda10Qui in definitiva non sto male, le persone con le quali trascorro tutte le mie giornate da qualche anno, mi trattano bene, mi servono regolarmente tre pasti al giorno, alla preparazione dei quali però non mi permettono di partecipare.

Se ci penso, è questa in fondo la cosa che mi manca di più: trascorrere delle ore in cucina, scegliere con cura pietanze, ingredienti, sapori, concentrata a preparare qualcosa di buono per qualcuno che amo…

Le persone che sono con me adesso hanno smesso da tempo di chiedermelo, ma io di quella sera, benché siano ormai passati degli anni, ricordo tutto, anche se solo fino ad un certo punto.

 

Ricordo, come se fosse ieri, che avevo trascorso il pomeriggio a cucinare, che avevo messo un prosecco in frigo che avrei servito all’inizio, come aperitivo. Ricordo anche che avevo portato su dalla cantina due bottiglie di barolo che avrebbero accompagnato il resto della cena.

Ricordo ogni passaggio nella preparazione del brasato e la cura che misi nell’allestimento della tavola. I quattro posti apparecchiati sul tavolo tondo della sala da pranzo e la telefonata di Bruna, intorno a metà pomeriggio, con la quale mi dava conferma che lei e Federico sarebbero arrivati da noi come le altre volte, non più tardi delle venti. La mattina avevo raccomandato ad Alessandro di uscire un po’ prima da studio, in modo da farsi trovare in casa con me, all’arrivo dei nostri amici.

Ricordo tutto della cena, dei brindisi alla nostra amicizia trentennale: due coppie di coniugi senza figli tutto sommato soddisfatti della loro condizione, che un paio di volte al mese si riuniscono in casa per una cena e per fare serenamente quattro chiacchiere davanti a buoni piatti.

Ricordo perfettamente quando Alessandro si alzò da tavola per andare in cucina ad affettare altro pane e quando Bruna, approfittando di una breve pausa nella conversazione, si scusò con me e con Federico, dicendo di voler andare in bagno a dare una breve ritoccata al trucco.

Ricordo i pochi minuti in cui, Federico ed io, rimasti soli a tavola, continuammo a rievocare i banali episodi di un’infanzia comune, domandandoci retoricamente se non sarebbe stato bello, per tutti, rimanere per sempre in quell’età.         Ricordo anche il momento in cui decisi di alzarmi per andare a controllare  il livello di cottura della mia specialità: il gateau di patate, nel forno a microonde.

 

 

 

 

Ci tengo sempre così tanto che le cose vengano fatte come si deve…

Ricordo bene la ventina di passi dalla tavola alla porta della cucina e li ricordo, a distanza di tanto tempo, come gli ultimi passi della mia vita…

Ricordo la doppia anta in cristallo trovata stranamente socchiusa e perfino la temperatura della maniglia di alluminio satinato che dovetti spingere per aprire del tutto la porta.

È sorprendente come alcuni dettagli restino indelebilmente scolpiti nella memoria, in determinate circostanze. È come se un’energia superiore permettesse di fotografare una situazione fino a poterne rievocare, anche a distanza di molti anni, i particolari più insignificanti.

Ricordo benissimo la scena, una scena alla quale purtroppo non ero preparata e che ci misi un tempo interminabile per interpretare per quello che era. Ricordo che il primo istinto che provai, fu quello di richiudere la porta, come se i fatti della vita, in casi estremi come quello, potessero usufruire di una moviola per fermare il fotogramma sbagliato, la scena venuta male, tagliarla e ripartire…

Ricordo le due sagome abbracciate, quella di mio marito e della mia migliore amica, perse in un bacio da adolescenti innamorati…

Non c’era passione, né particolare voluttà in quell’abbraccio, ma una tenerezza          infinita, la struggente complicità di due persone che si amano davvero.

Fu quella  la cosa che mi ferì di più.

Da quanto tempo andava avanti tutto questo?

Quanti anni erano che stavo subendo quest’inganno? Quanto stupidi bisogna          essere per non aver avuto mai neppure un sospetto?!

Ricordo che i colori della cucina cominciarono a mescolarsi davanti ai miei occhi, che i contorni degli oggetti cominciarono a perdere consistenza, e che un frastuono, come di un treno che deraglia, occupò per intero ogni angolo del mio cervello.

Ricordo che avrei voluto gridare, dare voce a tutta la mia frustrazione e al mio sconcerto, provare a chiedere ragione di quello che stava succedendo e domandare quante altre volte fosse successo prima di allora; urlare la rabbia mista a delusione che stava montando irrefrenabilmente dentro di me.

Ricordo che non accadde nulla di tutto questo: le uniche energie che mi rimanevano, le concentrai tutte nell’afferrare saldamente tra le mani il grosso coltello per il pane poggiato sul tagliere di legno…

È questa, l’ultima scena che ricordo.