I racconti del Premio letterario Energheia

Notte di stelle, Greta Lunedei_Gambettola(FC)

Menzione Giuria Premio Energheia 2021_XXVII edizione 

Secondo una credenza popolare ben nota e ormai molto antica, nella notte del 10 agosto di ogni anno, il cielo piange le lacrime del martire San Lorenzo, donando l’opportunità di scorgere il meraviglioso spettacolo delle meteore che si avvicinano alla Terra, dando origine a lunghe strisce argentee visibili tra le tenebre. Viene ricordato come un evento in grado di

emozionare adulti e bambini: una notte di sogni, desideri e speranze, un momento di magico mistero e di trepidazione che possiede la capacità di far fermare lo scorrere percepibile del tempo. In questa calda notte estiva l’atmosfera è carica di elettricità; le colline, con il loro silenzio, interrotto solamente dal frinire costante delle cicale e da qualche raro fischio di vento di passaggio, ospitano gli amanti del cielo e i più desiderosi di vivere a pieno questo evento. Ognuno viene vinto dalla curiosa possibilità di poter intravedere almeno una di queste “lacrime” e porta lo sguardo, stanco e al contempo stesso emozionato, verso la volta celeste.

Nel cielo che domina la notte, la tenebrosa gradazione di blu, paragonabile a quella dei più grandi fondali oceanici e attraversata solo occasionalmente da striature rossastre o pallidi stracci di nubi, abbraccia e sfuma tutto ciò che trova. Luce e calore sono un tenue ricordo, ripreso solamente da quella miriade di puntini luminosi, lontanissimi, ma ai quali la mente umana si volge sempre più spesso rispetto a qualsiasi altra cosa terrena e raggiungibile. Nelle più grandi città come nei piccoli borghi, mente e cuore sono proiettati verso la meraviglia che l’universo riserva; ci si affaccia da strade e balconi, per avidità di bellezza, per sapere e poter poi felicemente affermare di non aver perso l’occasione di partecipare all’evento di quella notte unica.

Lei non aveva mai dimenticato i pianti del cielo, non una volta in tutti i suoi settantotto anni in questo mondo. Era ancora piccolissima quando per la prima volta, piena di stupore, si era ritrovata ad osservare quelle meraviglie e seguendo ciò che inizialmente era una passione dei suoi amabili genitori, aveva continuato, anno dopo anno, a volgere lo sguardo sempre verso l’alto, con la mente vagante tra sogni e desideri. Anche quella notte, come tante altre prima, i suoi occhi scuri venati di verde erano persi tra le stelle, mentre si appoggiava al piccolo muretto di mattoni del suo esiguo balcone. Ad osservarla, sarebbe potuta sembrare in attesa di qualcosa, di un qualche evento che potesse cambiare le sorti della nottata.

Nel suo sguardo, all’apparenza indecifrabile e segnato dalle pieghe della vecchiaia, guardando con attenzione si potevano trovare i segni di una mite e serena stanchezza, che a parole sono difficili da riportare. Osservava il cielo in silenzio, probabilmente immersa in quei pensieri che accogliamo solamente nei veri momenti di pace e di riflessione, ma che in fondo non si

raccontano mai davvero, rimanendo confinati nella nostra mente.

Era sola lì su quel balconcino, capace di ospitare due persone al massimo se non una soltanto; se mai glielo avessero chiesto, avrebbe risposto che quel punto della sua vecchia casa era quello che amava maggiormente. In quello spazio aveva passato la maggior parte delle sue serate, in compagnia di suo marito o da sola: il balconcino era stato una delle poche richieste riguardo alla loro dimora, quando ancora era in costruzione. “Un punto per osservare il cielo, per uscire dalla quotidianità” lo aveva definito, ed era stato proprio questo il suo ruolo in tutti gli anni a venire e anche in quella stessa notte. Due sedie, di cui una ripiegata verso il muro ed un vaso di peonie gialle, erano l’unica compagnia, tra lo spazio del balcone e il vuoto al di là di quel muretto. Se ancora una volta glielo avessero chiesto, lei avrebbe risposto che amava quel suo piccolo rifugio e che non si sentiva affatto sola: aveva le sue stelle e i ricordi come compagni.

Di fronte a lei, abbassando lo sguardo, avremmo trovato una schiera di condominii, alla luce del giorno colorati di un bordeaux acceso, ma che nella notte mantenevano parziali sfumature di quel colore, dando spazio a gradazioni più scure ma altrettanto intense che solo le tenebre del cielo possono donare. Anche in quei palazzi erano presenti diversi balconi, alcuni ricchi di cascate di gerani variopinti che coprivano le tipiche ringhiere di ferro, altri nascosti da grandi tende, altri ancora spogli, quasi abbandonati a loro stessi. Non si vedevano molte luci accese in quei terrazzi, né si notavano molte persone affacciate e curiose di incontrare le stelle; l’atmosfera si sarebbe potuta definire così tranquilla da essere quasi spenta, ma l’aria estiva era frizzante, il vento vivace e il tempo continuava il suo corso. Si potevano perfino osservare piccole lucciole su qualche pianta, con il loro tenue chiarore ben in vista. In una delle rare occasioni in cui lei distoglieva occhi e pensieri da quei puntini luminosi tanto lontani e amati, la si poteva osservare mentre seguiva con lo sguardo il movimento delle piante o un timido pipistrello attratto dalla fievole luce dei lampioni, trappola per altrettanti animaletti: un sospiro sottile ogni tanto, ma non una parola disturbava quei momenti.

Se non fosse stato per due occhioni, seminascosti dietro alla ringhiera di uno dei balconi di quei palazzi ombrosi, quella notte dalle stelle cadenti sarebbe stata silenziosa e magica come tante altre già vissute prima di allora.

Le era servito un po’ di tempo per accorgersi di essere osservata, dato che il suo sguardo in quelle occasioni si posava raramente sulle cose terrene: tuttavia era stato quasi impossibile per lei non notare quella piccola sagoma rannicchiata verso la ringhiera di un balcone di fronte al suo. Sbirciava allora questa figura misteriosa che ogni tanto faceva capolino con la testa per curiosare il più possibile senza esser vista e che poi si ritirava nuovamente, come un animale impaurito. Oltre alle sottili sbarre di ferro, si riusciva a distinguere un ciuffo ribelle di capelli, dalla vaga colorazione rossastra, forse anch’esso desideroso di osservare lei e l’ambiente circostante. Era rimasta in una lunga tacita attesa, mossa dalla nuova curiosità portata da questa visione: più lo sguardo si concentrava sulla figura, meglio ritrovava tra le ombre la presenza, probabilmente un po’ inaspettata, di un bambino. Si era pertanto sporta dal muretto, per ritrovare il suo sguardo: gli occhi sereni di lei avevano così incontrato quelli

vivaci di lui e nell’attimo del battere d’ali di un pipistrello, un grande sorriso senza un paio di denti, ma ricco di gioia e sincerità aveva fatto crollare tutte le ringhiere e le distanze tra i due.

Con la tipica allegria e spensieratezza che solo un bambino può avere, nonostante fosse stato scoperto, era saltato subito fuori dal suo piccolo angolo di terrazzo. Sporgendosi dalla ringhiera quel che bastava per poter farsi vedere ma non rischiare di sbilanciarsi, come era sempre stato avvertito dagli adulti, vagava con lo sguardo ora verso le nubi rade in cielo che coprivano qualche stella, ora verso quell’anziana signora che tanto lo intrigava.

-Come ti chiami?-: la domanda improvvisa pronunciata da una lieve voce rauca aveva scosso la donna da tutti i suoi consueti pensieri. La stava guardando, con aria attenta, in cerca di una risposta soddisfacente a quella richiesta fatta in modo così rapido e spontaneo.

Senza scomporsi troppo, con una lieve ma visibile contentezza in volto, lei aveva risposto al suo giovane interlocutore: -Il mio nome è Eva, qual è invece il tuo?-.

-Mi chiamo Joe, con la ‘e’ finale- aveva ribattuto subito il bambino, senza esitazione o timore di dialogare, come con un parente o un compagno di scuola.

-Piacere di conoscerti Joe “con la ‘e’ finale”!- aveva quindi replicato Eva, con una nota di dolce sarcasmo in voce ed un sincero sorriso, aumentato alla vista della reazione del piccolo,

-cosa ti porta a conversare con me a quest’ora della notte?-.

A quella domanda gli occhi di Joe si erano illuminati: -Voglio vedere le stelle cadenti in cielo! Non ne ho mai vista una, ma la mamma mi ha detto che le ha viste e che sono come piccoli nastri di luce che ballano. Ci sono però così tante stelle che ho paura di perdermi a guardarle!-.

Se ci fossimo fermati a guardare Eva, avremmo visto come quel sorriso dapprima solamente abbozzato sul suo volto, ora era grande, raggiante e sembrava giovane, nonostante accentuasse inevitabilmente i segni indelebili del tempo. -Perdersi nelle stelle, non sarebbe bellissimo?- aveva pensato, oppure aveva perfino detto, tanto era presa da quel pensiero. Si era persa tante volte tra le stelle, l’aveva sempre considerata una benedizione, perché le permetteva di vivere una realtà nuova e solamente sua, in un mondo astratto e concreto allo stesso tempo; non aveva mai pensato a quanto potesse essere terribile l’idea di trovarsi circondati da un mondo talmente esteso e dalla bellezza tanto travolgente se non addirittura opprimente. Cosa sono in fondo gli uomini di fronte al cielo? Piccoli esseri viventi, come piccoli insetti, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo da fare, pensare o scoprire; lei lo sapeva bene, lo aveva capito ed accettato nel corso della sua vita, inseguendo costantemente ciò che, come le stelle, non si potrà mai raggiungere davvero.

-Tu invece perché sei qui a guardare il cielo?- le aveva chiesto Joe, tornando a guardarla con quegli occhi pieni di interesse, -Ti sei mai accorta che sorridi mentre lo fai?- aveva poi aggiunto frettolosamente in modo scherzoso. Eva pertanto aveva sospirato al sentire quella domanda che sapeva bene che sarebbe arrivata; un lungo respiro, come per togliersi di dosso un gran peso, o per poter avere un po’ di secondi prima di parlare, per scegliere con cura le sue parole e dare la migliore risposta possibile.

Ad un quesito tanto semplice, la risposta per molti sarebbe stata chiara e rapida, come pronunciare il proprio nome, ma non per lei, non per colei che anni e anni aveva dedicato i suoi sogni agli astri, che considerava questi come una grande parte della sua vita e del suo stesso animo. Rispondere con la tipica affermazione “perché è bellissimo” non avrebbe mai soddisfatto nemmeno una misera parte di quello che poteva dire su di esso, sul perché avesse sempre passato le sue serate con lo sguardo verso l’alto. C’erano tanti, fin troppi motivi, una lunga storia, delle memorie coinvolte, partendo dai suoi genitori, fino ad arrivare soprattutto all’altro grande amore della sua vita, ovvero suo marito. Come poteva però riuscire a spiegare in sintesi così tante cose ad un bambino?

La loro storia era antica, appartenente a generazioni passate, ma ancora viva dentro lei e all’interno di tutte le cose che ritornavano nella sua più banale quotidianità, come quella vecchia sedia ripiegata sul balcone, dove per anni il suo compagno di vita si era seduto ad osservare le stelle. Sentiva la sua voce, la sua risata, percepiva la sua presenza costantemente attorno a lei in tutto ciò che faceva e in particolare quando per ore la sera si fermava ad ammirare il cielo. Solo quella vista, interpretata come il massimo ricordo di lui, poteva riscaldarle il cuore, quando ormai non aveva più occasione di tener strette le mani tra le sue; anche così, nella mancanza, sentiva comunque di non essere priva di qualcosa, tanta era la gioia che provava sapendo che egli si trovasse proprio nel posto dei suoi sogni e proprio davanti al suo sguardo ogni volta che si affacciava dal balcone.

Come solitamente è caratteristico di un cliché di ogni romanzo d’amore, si erano conosciuti per caso all’interno di un osservatorio astronomico, molti anni prima. Entrambi estasiati dalla vista del cosmo, nel corso della loro vita insieme non avevano mai perso occasione per seguire quella passione che li legava tanto strettamente. Nei momenti peggiori come in quelli di maggior felicità, sapevano di poter contare sulla costante presenza dell’uno e dell’altra e soprattutto delle stelle: le avrebbero sempre ritrovate e si sarebbero sempre ritrovati, dovunque fossero andati, sul quel piccolo balcone che tanto avevano condiviso o perfino in un’altra vita. Anche nella solitudine terrena, guardando verso l’alto lei sapeva che lo avrebbe ritrovato tra le costellazioni: dalla sua scomparsa, questo era sempre stato un motivo in più per trascorrere le serate in quel modo, per perdersi nelle sfumature della volta celeste.

-Ho davvero tanti motivi per guardare il cielo, probabilmente non riuscirei nemmeno ad elencarli tutti. Tuttavia, la motivazione principale è che vengo ogni sera a salutare una persona, che si trova proprio tra le stelle che guardiamo. Passiamo un po’ di tempo in compagnia a parlare, così ci sentiamo meno soli!- aveva alla fine risposto, guardando Joe con un gran sorriso.

-Wow! Quindi è tra le stelle proprio come gli astronauti? Voglio esserlo anche io da grande!- aveva esclamato il giovane con emozione. L’idea di viaggiare in mezzo al cielo l’aveva sempre estasiato, vedendo le tante foto sui libri di scuola e seguendo le notizie dei viaggi nello spazio e sulla Luna stessa: avrebbe dato di tutto per poter esserne partecipe!

Lo avremmo visto osservare la donna con aria speranzosa e piena di sogni, rivolgendo poi uno sguardo meravigliato verso quella miriade di puntini scintillanti che li sovrastava; si sarebbe fermato a guardarli per la notte intera, con la presenza silenziosa di quella simpatica signora del balcone di fronte. Ad interrompere quel momento d’intesa si era intromesso solamente uno sbadiglio, che faceva le veci della stanchezza accumulata durante l’intera giornata. -Quello sbadiglio mi sta dicendo che qui c’è qualcuno che è stanco!- aveva quindi dichiarato Eva, -se fossi in te non lo contraddirei!-.

Joe aveva cercato in ogni modo di protestare, perché ancora non aveva avuto occasione di vedere nemmeno una stella cadente, tuttavia, il suo viso assonnato ed un’altra serie di grandi sbadigli riuscivano solamente a contraddire le sue motivazioni.

-Le stelle cadenti torneranno a trovarci, in tutti gli anni a venire, ti aspetteranno. Sono un po’ timide, quindi dovrai cercarle con pazienza, ma se lo vuoi davvero si faranno vedere, perché ascoltano i nostri desideri, soprattutto quelli dei bambini!-. Anche se con riluttanza, a seguito di un altro sbadiglio, Joe aveva infine accettato di seguire i consigli dell’anziana ma saggia signora: le stelle sarebbero tornate e lui le avrebbe accolte sempre con gioia e meraviglia. Per poter seguire i suoi sogni e diventare un grande astronauta, avrebbe avuto bisogno di tante energie, quindi era proprio la cosa migliore andare a riposare!

Si erano quindi salutati, con un cenno della mano e la promessa di rivedersi ancora per parlare sotto il cielo stellato; lui ora sognava, mentre lei avrebbe continuato la sua notte estiva, ascoltando i fischi del vento e rivivendo la conversazione avuta, inaspettata ma estremamente piacevole. L’avremmo vista lì, sempre appoggiata a quel piccolo ma amato balcone, con lo sguardo ancora una volta perso e distratto, mentre ripensava a quanto fosse stato importante il cielo nella sua vita e in quella delle persone che amava. Il cielo per lei era sempre stato una costante (e come contraddirla!), portava il peso di milioni di sogni, desideri e speranze di adulti e bambini, poteva ascoltare, ma non avrebbe mai giudicato chi gli avesse confidato ogni tipo di segreto; era sempre stato in grado di donarle gioia e meraviglia con le sue bellezze e non avrebbe di certo smesso. Proprio durante quei pensieri, come per un segno del destino, una lunga cometa argentata aveva attraversato il suo sguardo, riflettendo e brillando nell’oscurità della notte: non sarebbe stata la prima, né l’ultima che avrebbe mai visto, ma le donò una letizia senza precedenti. Aveva pertanto espresso un desiderio, per quel bambino ricco di gioia e con un grande sogno che aveva avuto la fortuna di incontrare: sarebbe stato l’astronauta migliore di sempre, ne era certa.

La mattina seguente, nell’azione di affacciarsi al medesimo balcone, avrebbe visto qualcosa di insolito sul pavimento di mattonelle chiare di quest’ultimo: un pezzo di carta, o, per meglio dire, un aeroplanino di carta. Aprendolo, avrebbe trovato un disegno a penna, la rappresentazione stilizzata di un astronauta tra stelle e pianeti ed una piccola figura femminile che lo guardava dal basso: sorridendo, avrebbe preso quel disegno e lo avrebbe poi appoggiato di fianco ad una vecchia foto di matrimonio sul suo comodino, per conservarlo per sempre.