I racconti del Premio Energheia Europa

Nemici di Stato_Nisreen Naja, Tripoli(Libano)

_Racconto segnalato Premio Energheia Libano 2011.

 Traduzione di Cristina Foti

“Signore e signori, siete pregati di allacciare le cinture di sicurezza e di verificare che il sedile sia in posizione verticale. Siete pregati di spegnere tutti i dispositivi elettronici fino a quando l’aereo non sarà atterrato. Grazie”.

La voce dell’assistente di volo mi fece trasalire.

Accidenti! Ho dormito per tutta la durata del volo!

La mia cintura di sicurezza era ancora allacciata perché non mi ero mosso nelle ultime tre ore, o giù di lì.

Il mio libro era spalancato, ma il segnalibro era scomparso.

L’aereo si arrestò come previsto al gate. Presi il mio bagaglio a mano e mi diressi verso l’uscita dell’aeroporto di Fiumicino, affollato e sconosciuto.

Grazie a dio ho le mie valigie rosse! Pensai fra me e me…

Recuperai velocemente il mio bagaglio e mi soffermai a guardare l’orologio un po’ più del necessario. Era l’una nel paese da cui venivo, mezzogiorno circa in Italia.

Guardai le vetrate enormi. Sembrava una splendida giornata di maggio. Feci qualche passo e mi ritrovai nella fila dei cittadini extraeuropei.

Qui ci vorrà una vita… Quel tizio farebbe meglio a parlare inglese. Mormorai.

Il mio cervello elaborava tanti tipi di informazioni: annunci di arrivi e partenze, conversazioni in svariate lingue, pianti di bambino. Cercai il mio dizionario italiano-inglese. Passaporto, I-pod, portafogli, auricolari, aiuto! Dove si è cacciato quel maledetto libro proprio ora che mi serve? Ah, eccolo!

Proseguii, cercando di ricordare alcune parole che avevo memorizzato.

How much does it cost? “Quanto costa?” – Thank you!

“Grazie!”

Lo ributtai velocemente nella borsa mentre che avanzavo nella fila. Due espressioni erano più che sufficienti.

Volevo trovare qualcosa di divertente da fare durante l’attesa, così iniziai a squadrare le persone intorno a me. Questa è sempre stata una mia cattiva abitudine: osservare gli altri al fine di trovare strani atteggiamenti, sguardi o espressioni facciali. Ho sempre avuto questo pensiero folle: se avessi prestato attenzione a comportamenti strani, sarei stato in grado di scoprire i responsabili di un delitto o di una rapina.

Ma sembrava che il tempo non passasse mai. Non riuscivo a individuare nulla di straordinario. Un uomo grasso divorava la sua barretta di cioccolato. Una signora sfogliava una rivista con impazienza mentre il marito dormiva. Un bambino giocava con un aeroplanino mentre sua madre parlava al telefono. Su una panchina due si abbracciavano.

Una coppia di neosposi? Roma è un bel posto per la luna di miele. Avrebbero potuto visitare la fontana più famosa del mondo, gettarci qualche monetina esprimendo il desiderio di una lunga vita felice. Sospirai involontariamente.

C’era qualcosa che stavo cercando di rimuovere?

Beh, questo era il motivo principale per cui avevo intrapreso questo viaggio. Da solo. Per scoprire chi volevo essere, cosa fare della mia vita e per dare risposta alle mille domande che mi ponevo in continuazione.

Hai un sacco di tempo per pensare ora! Puoi cominciare qualcosa, in qualche modo!!! Basta scoprire cosa ti piace di più fare.

La voce esitante di mio padre echeggiava nella mia testa.

Ero affogato mille volte, ma ero sempre risalito a galla.

Infine, ero riuscito a darmi una regolata.

Questa è la mia vita! Decido io come deve andare! Voglio imparare dai miei errori! Una voce dentro di me risuonava.

Mentre mi mordicchiavo l’interno della guancia, in conflitto con me stesso, respirai a fondo.

I miei occhi incrociarono un paio di occhi verdi in un viso rotondo.

Oh mio dio! Che splendore. Non ho mai visto nulla di simile!

Dopo pochi secondi lei girò la testa, ma io non riuscivo a distogliere lo sguardo. Mi ci sono voluti un paio di minuti prima che potessi ricominciare a ragionare.

Smetti di guardarla! Penserà che sei un maniaco!

Finalmente, con uno sforzo su me stesso, riuscii a smettere di fissarla.

Ripresi ad osservarla di sottecchi dopo un pò. Considerai amaramente che lei mi ignorava. Stava ridendo e parlando con qualcuno. È stato allora che mi accorsi che non era sola. Altre due ragazze, che sbirciai cautamente, l’accompagnavano.

Sembravano delle turiste. Nelle loro mani c’erano opuscoli vari e mappe. Una di loro stava guardando delle frecce, probabilmente controllando alcune direzioni.

Forse sono amiche, poiché hanno tutte la stessa età. Ma non possono essere della stessa famiglia, non si somigliano affatto.

Lei è di gran lunga la più bella.

Jeans e canotta sottolineavano un corpo flessuoso, perfetto.

Capelli castani lisci le ricadevano come seta sulla schiena.

Un naso piccolo centrava in modo decorativo il suo viso.

Ciglia folte e nere sottolineavano il verde scuro degli occhi.

Il suo sorriso radioso illuminò improvvisamente l’aeroporto.

O meglio, la zona dell’aeroporto dove mi trovavo.

Così, mi lanciai in un breve dialogo interiore.

Se partecipasse ad un concorso di bellezza internazionale, molto probabilmente vincerebbe!

Che cretino che sei, ti stai lambiccando su una ragazza che hai appena visto.

Feci una smorfia. Non avrei saputo dire da dove venisse.

Non c’erano indizi che ne indicassero la provenienza.

Potrebbe essere francese, o australiana, o anche americana.

Non ne sono sicuro. Forse è meglio incominciare a escludere possibilità. Sarà più facile.

All’improvviso cominciai a farmi avanti, spintonando la gente e cercando di prendere il loro posto in fila, ignorando le proteste e le più elementari regole di cortesia. C’era un’anziana signora in fila. Come se nulla fosse le passai innanzi.

Nulla aveva senso. Morivo dalla voglia di farla finita con l’attesa. I bagagli li avevo già ritirati, erano lì che mi aspettavano all’inizio della coda. Diedi il mio passaporto da timbrare e mi misi a correre verso l’altro lato dell’aeroporto.

Volevo essere lì dove si trovava lei quanto prima. Non riuscivo a spiegare perché.

Era come se ci fosse una maggior forza di gravità in quel particolare punto dell’aeroporto. Ero attratto da lei, dai suoi strani poteri, come una calamita.

Che mi succede? Mi fermai.

Cominciai a mordicchiarmi le labbra, perso nelle mie fantasie.

Mi immaginavo in giro per Roma con lei, alla scoperta della città. La bellezza dei luoghi rendeva il mio sogno più vivido, colorato e romantico.

Dentro di me ero felice. Euforico.

Potremmo cenare a lume di candela in un piccolo locale del centro, con la tovaglia a quadretti rossi. Berremmo del vino speciale. Vorrei farla ridere.

“Sembra fantastico”, dissi ad alta voce con un largo sorriso sul mio volto.

Una donna che passava accanto a me mi guardò in cagnesco.

Probabilmente avrà pensato che ero completamente matto. Non era troppo lontana dalla verità. Dovevo essere completamente uscito di senno. Come potevo pensare di cenare con Lei se nemmeno le avevo mai parlato.

Forza … Prendi il coraggio a quattro mani e và a parlare con lei. Presentati.

Feci un passo riluttante. Una ruga di tensione si formò sulla mia fronte. Non era un bell’inizio.

Improvvisamente, presi le mie valigie e incominciai a muovermi velocemente. Ero pronto per andare a parlare con lei.

Preparato psicologicamente. Finalmente volevo qualcosa.

Già questo mi rendeva soddisfatto.

Mentre camminavo, la mia attività cerebrale divenne intensissima.

Varie idee andavano e venivano come scimmie su alberi oscillanti.

Buongiorno? Goodmorning? Da dove comincio?

Devo dirle che mi piace? E se scappa via? Sì, certo che lo farà! Sono sicuro che mi manderà a quel paese. Ovvio! Un perfetto sconosciuto in un paese straniero, che si rivolge ad una giovane donna, deve essere inquietante per lei!!!

“Shalom”, dissi inconsciamente.

Dopo una porzione di secondo, mi resi conto di quello che avevo detto.

Malissimo! Il tuo primo errore! Sei all’estero! Parla INGLESE!

Così aggiunsi subito: “Buon pomeriggio, non ho potuto fare a meno di notare che avete bisogno di aiuto. Siete alla ricerca di un luogo particolare?”

Stavo recitando il ruolo dell’eroe pronto a trarre in salvo persone disperse, in un posto che nemmeno conoscevo. In realtà mi stavo comportando come un navigatore satellitare, ma rotto. Ma questo non era importante.

“Vogliamo andare alla stazione dei treni che è all’interno dell’aeroporto. Per caso sai dov’è?”, disse immediatamente una delle sue amiche.

Perplesso, esaminai le indicazioni più velocemente che potevo. Per fortuna, avevo letto qualcosa sulla mia guida in proposito e la trovai subito.

Indicai la direzione giusta, cercando di assumere un’espressione affidabile sul mio viso.

“Dovete andare a sinistra. E’ lì”, dissi sorridendo.

Poi sentii una musica giungere alle mie orecchie: una voce morbida. Lei incontrò il mio sguardo e disse: “Grazie”.

Ci stringemmo la mano e le dissi il mio nome. “Sono David”.

Mi guardò dritto negli occhi e rispose: “Sono Leila. Queste sono le mie amiche Jasmine e Sara”.

“Siete voi qui in vacanza?”, le chiesi.

“Sì, siamo felici di visitare l’Italia. Sei stato gentile ad aiutarci”, replicò.

Ce l’ho fatta! Ho parlato con lei! Esultai.

Girò la testa e cominciò a parlare con le sue amiche. Una frase lunga. Sembrava una domanda. Cercai di decifrare in che lingua parlasse. Era uno strano mix di lingue: francese, forse, e un’altra ancora.

Poi tutta la mia felicità improvvisamente sparì: avevo riconosciuto l’altra lingua. Ero stato obbligato a impararla a scuola. Ne ricordavo le basi grammaticali.

ARABO! Conclusi. Parla in arabo, ma in un modo un po’ diverso, però.

Questa conclusione riportò alla memoria tanti ricordi e immagini. Non erano felici. Trasalii. Noi tutti eravamo stati allenati sin da bambini a comprendere quella lingua per delle ragioni più grandi di me e della mia capacità di capire.

Pian piano smisi di fare inutili considerazioni, le ragazze si stavano muovendo nella direzione da me indicata. Le seguii e dissi loro: “E’ stato bello incontrarvi. Anche io sto andando alla stazione, se volete ci andiamo insieme”.

Leila mi sorrise e cominciò a rovistare nella sua borsa, tirando fuori i biglietti e alcuni foglietti piegati in quattro che iniziò a distribuire le sue compagne. Qualcosa le cadde di mano.

Mi chinai immediatamente a raccoglierla. Era il suo passaporto.

Improvvisamente mi mancò l’aria. Sentii una fitta al cuore.

Il mio cervello si bloccò per una manciata di secondi.

Eravamo “Nemici di Stato”.

Il suo paese, il Libano, confinava con le regioni a Nord del mio Paese, quelle più turbolente. Anche i suoi confini non erano poi così tranquilli.

Quel piccolo libretto rettangolare che permetteva di viaggiare distrusse per sempre le mie speranze di trovare il vero amore. Sentii come un pugnale conficcato nello stomaco.

Alzai lo sguardo e pensai. Questa è la prima volta che mi sento attratto da una ragazza! Perché proprio lei?

Ma non c’era risposta per nessuna delle mie domande. Mi sentii depresso.

Esaminai una ad una tutte le possibilità che avevamo per stare insieme. Avrei potuto mentire sulla mia vera nazionalità e confessarle la verità una volta certo del suo amore.

Ma da una parte non potevo vivere nella menzogna e dall’altra non volevo farla soffrire!

Oppure avrei potuto dirle tutto da subito accettandone le conseguenze.

Come se mi fossi improvvisamente risvegliato da un sogno ricordai i reportage che avevo visto sul canale nazionale televisivo. C’erano di mezzo questioni che avevano a che fare con l’intera area mediorientale. C’erano stati scontri alle frontiere e numerose violazioni dei rispettivi spazi aerei.

C’era stata una guerra. Migliaia di loro cittadini uccisi.

Case bombardate e ridotte in cenere.

E il peggio è che NIENTE è ancora finito!

Poi mi resi conto che non potevo attraversare la “Blue Line” e semplicemente amare una ragazza che abitava al di là di quella linea. Una linea ci divideva. Per legge, non mi era permesso attraversarla, anche se odiavo tutta la situazione.

Quindi devo lasciar perdere tutto? Pensai con rabbia.

Non avevo fatto nulla per meritare tutto questo. Ero innocente, il mio unico errore era stato quello di nascere nel mio Paese.

Che fare?

La mia decisione era presa.

Le consegnai il passaporto. Provai a leggere nei suoi occhi.

Trattenni la sua mano liscia più a lungo del dovuto. Avrei avuto tante cose da dirle. Tuttavia, voltai le spalle e me ne andai.