L'angolo dello scrittore

Metalli, cervello, aggressività, omicidi

Nòva 30 Gennaio 2011 di Roberto Vacca

 

Il gas naturale non ha origine biologica: emerge da strati profondi. Quando fuoriesce, il metilmercurio che contiene, può causare squilibri cerebrali in animali,come i merli di cui parlavo la scorsa settimana e nell’uomo. Per evitarlo il mercurio e altre impurità si eliminano dal metano prima di immetterlo in rete.

Nel 1984 Cesare Marchetti scrisse una nota paradossale (“A natural gas way to Heaven“, La strada di metano per il Cielo). Arguiva che vari fondatori di sette erano ispirati dagli effetti del metilmercurio presente nel metano in Medio Oriente, vicino a New York (Shaker’s Ridge: collina dei Tremolanti) in Svezia. Nello stesso articolo Marchetti cita un Dr. Hamilton del Brookhaven National Laboratory, secondo cui l’alta concentrazione del cadmio in larghe aree degli USA spiegherebbe l’aggressività degli americani. Non plausibile: infatti i minerali di cadmio, e la produzione di questo elemento (usato per il trattamento superficiale di metalli e ora per produrre batterie) sono molto più alte in Cina, Corea e Giappone – paesi meno violenti di quelli europei. Ho indagato in rete su cadmio e aggressività e ho trovato soprattutto osservazioni di ratti che diventavano aggressivi dopo iniezioni sperimentali di cadmio. Il metallo è sicuramente tossico, ma l’effetto sui comportamenti umani non è provato. È interessante studiare l’aggressività umana. Le grandi ecatombi sono causate dalle guerre. L’uso di armi termonucleari ha ucciso finora meno esseri umani degli esplosivi convenzionali, ma potrebbe sterminare l’intera umanità. Per evitarlo il disarmo nucleare deve essere totale. Non si ripeterà mai abbastanza, ma, intanto, analizziamo quanto e dove sia pericolosa la violenza individuale.

È difficile parlare di tendenze umane e sociali in termini precisi e quantitativi. La violenza non si misura: è fatta di tanti eventi e comportamenti, da quelli verbali, a quelli indiretti, alle aggressioni, alle vie di fatto. Allora è ragionevole considerare eventi misurabili. Gli omicidi possono essere ben presi come un indicatore della violenza, escludendo quelli colposi. La tabella seguente riporta i numeri degli omicidi per ogni 100.000 abitanti rilevati per alcuni Paesi nel 2009 (Fonte: Wikipedia, List of countries by homicide rate)..

Paese America

latina (*)

Sud Africa Brasile Russia US Unione

Europea

Italia Giappone
Omicidi/

100.000

 

  50

 

  34

 

  25

 

  15

 

    5

 

   2,3

 

 1,06

 

   0,5

(*)  Honduras, Venezuela, Colombia, San Salvador, Guatemala – valore medio

Alcuni dati estremi sono ovvi. In Italia gli omicidi sono meno della metà della media europea. Negli USA (ove il 39% delle famiglie detiene armi da fuoco) sono attualmente 5 volte di più che in Italia, ove ci sono armi da fuoco nel 16% delle case. Gli omicidi sono frequenti nei paesi in cui sono molto forti le disparità di reddito e le tensioni etniche oppure il crimine organizzato gestisce il traffico di droga e le guerre conseguenti, come in certe aree dell’America Latina.

Negli USA le statistiche dal 1900 e riportano fra 5 e 10 omicidi per 100.000 abitanti. Nel 1983 Cesare Marchetti analizzò questo andamento [“Dying in Tune: Economic Cycles, Homicides, Suicides and their Modes” – Morire all’unisono: cicli economici, omicidi, suicidi e loro regolarità]. Un’apparente periodicità  si manifesta nel grafico seguente aggiornato fino al 2009. Marchetti notò la coincidenza con la durata, allora ritenuta cinquantennale, dei cicli economici. Aggiungeva, però: “È arduo distinguere le cause dagli effetti – l’economia è solo una delle espressioni della società: quindi non può essere la causa centrale.” Il primo picco di omicidi coincise con la crisi economica del 1929, l’ultimo no.

Dopo quasi 30 anni non possiamo dire molto di più. Negli USA ci fu una epidemia di omicidi perpetrati da giovani anni nei primi anni Novanta, forse a causa di maggiore diffusione di droga, alcol e armi o di mode di machismo o al degrado di aree urbane affollate. Molti sociologi hanno effettuato analisi per collegare il numero di omicidi con aree geografiche, fasce di età, composizione etnica, reddito, livello culturale, ma senza successo. Le cause e le concause sono numerose. Analizzare questi processi con analisi statistiche multivariate non sembra fattibile: molti fattori implicati sono intangibili. C’è molto da lavorare.