I racconti del Premio letterario Energheia

L’ultimo cinematografo_Annalisa De Lucia, Matera

_Racconto finalista seconda edizione Premio Energheia 1995.

 

Dedicato a quelle mamme che non moriranno mai.

 

<<Sono le sei e un quarto, ormai, sei pronta?>>

<<Ma devo venire veramente?>>

<<Certo che devi venire, E una promessa.>>

<<Sei una testarda!>>

<<Meglio così.>>

<<Quante botte che vuoi tu. Sei tremenda! E poi con questi capelli, sembro proprio una vecchia!>>.

<<Sei bella così, e poi basterà “un’allisciata” e vedrai sarai meravigliosa!>>

<<Che lo dici a fare?>>

<<Su, su, non perdiamoci in chiacchiere.>>

Mi diceva sempre che ero una embrattera. Nel suo linguaggio, una persona che le scovava tutte, che cercava e trovava tutti i modi per fare ciò che aveva in testa.

È vero, le cercavo tutte per renderle felici.

Come quando nevicava mi fermavo alla finestra ad osservare quel meraviglioso faggio che si imbiancava attimo dopo attimo, così ho visto imbiancarsi i loro capi.

Solo da grande però, ne ho preso coscienza.

Una neve permanente la loro, fatta di gemme di vita.

In tutto centosettantaquattro, una per ogni loro anno di vita.

Non so come, ma quando potetti godere dei miei poteri decisionali, molto presto direi, mi trasferii da loro, in quella casa a pianterreno.

Novanta metri quadri di tufo; l’unico segno tangibile di un uomo che non ho mai conosciòto: mio nonno.

Come non dipingere la guerra come un’inguaribile assassina!

E per i miei futuri nipoti, in quella cucina, il tavolo dove ho emesso i miei primi due vagiti; la stanza da bagno ha accolto i successivi!

E poi loro: Rosalia, mia nonna, e sua sorella Giovannina, zia Annina, signorina per scelta, o meglio, per un amore che non ha fatto mai ritorno.

Donne intraprendenti, mamme a tempo pieno, amiche gelose, confidenti sicure anche se saggiamente un po’ retrò.

Due generazioni, una sola atmosfera, un alone di magia, un’intesa assoluta, un po’ speciale… forse perché troppo intensa.

Non ho mai saputo chi delle tre avesse più bisogno dell’altra.

Posso dire che eravamo una vera squadra, in cui ciascuno aveva un proprio indispensabile ruolo.

Il sentimento ha annullato il tempo, l’età, la forza, la possibilità.

È la doppia arma dell’amore. L’intensità e lo stregato senso di immortalità che muta la realtà, la trascolora, la riflette, certo, ma senza la materialità dello spazio e del tempo, senza la coscienza della sua finitezza.

Quella Domenica di maggio, il cinema dava “Jack colpo di fulmine”, un western.

Il genere che ho sempre cercato, con successo, di scansare.

Sapevo però che a qualcuno sarebbe piaciuto.

Impiegai non poche energie, ma la testardaggine che mi guida da anni, mi diede una mano.

Riuscii ad ottenere un debole ma sentito isii all’invito che porsi a zia Annina, da sempre accanita affezionata dei Western, <<i film con i cavalli e le sparatorie>>, come lei diceva.

Il suo “sì” sembrava quello concesso ad un bambino capriccioso per farlo zittire un attimo e godere un po’ di tregua.

Sapevo, però, che il suo “sì” aveva in sé l’entusiasmo celato, sommesso di chi non aspetta altro, di chi non crede che possano esistere ancora certe cose. Un calcio alla rassegnazione di chi ha superato gli “anta”, gli Ottanta, però, e di chi fa sparire dalla testa, ma non dal cuore, l’idea di poter vivere ancora certe emozioni.

E questa volta, un’esperienza che la vita, niente affatto generosa, non le aveva mai concesso: andare al Cinema.

Un invito, il mio, che non lasciava molta scelta, direi, fatto a pranzo poi, quando la bocca è piena e la testa è distratta da Beautiful.

<<Domani ti “aggiusti”, e vieni con me!>>

<<Mo’ te ne vieni, con qualche altra cosa, ma dove mi devi portare? Ho tante cose da fare domani.>>

<< È à tutto deciso, non accetto scuse!>>

<<Ehi, uagnedda! Non mi fare arrabbiare! Ogni giorno “te ne esci” con qualche nuova idea per la testa. Io non sono come tua nonna che si fa fare tutto quello che vuoi tu, … la cretina!>>

<<Domani ci facciamo belle, allora!…. Ti porto al Cinematografo>>

Mi venne istintivo usare quella parola. C-i-n-e-m-a-t-o-g-r-a-f-o

Quasi volessi guardare il mondo attuale, quello a cui appartengo, con gli occhi segnati dalle rughe del tempo.

Senza volerlo, cercai di avvicinare due realtà diverse, accostarle attraverso due vite, così lontane cronologicamente, così vicine sentimentalmente; la sua, la mia.

<<Quelle calze vanno proprio bene, s’intonano con la camicetta. Aspetta, ti aiuto a infilarle. I capelli sono a posto, solo un po’ d’acqua di colonia e possiamo andare… Sei bellissima!>>

Leggevo nel suo silenzio. Era un silenzio tanto rumoroso. Quello di un cuore che batte forte, ma in sordina, perché le emozioni infantili, quelle incontrollabili per qualcosa di inaspettato a cui non si poteva più pensare, andavano sopite.

L’età tende a razionalizzare, a racchiudere gli slanci in scatolette di cartone perché non si sentano, perché non sta bene che si sentano!

Lo sguardo oltre i finestrini della mia macchina, sono sicura, nascondeva mille e più emozioni.

Ci deve essere stato un bel movimento in quel suo cuore.

Avrei voluto toccarlo!

<<Siamo quasi arrivati, zia. Copriti intanto, s’è alzato vento.>>

Il cinema era quasi vuoto. Evidentemente molti condividono la mia stessa “passione” per i Western.

Ero orgogliosamente emozionata. Avrei voluto gridarlo, ma bastavano gli sguardi delle poche persone presenti, per capire che quel pomeriggio stava accadendo qualcosa di straordinario per me, ma soprattutto per lei.

Prendemmo posto. Nella fila centrale, i posti centrali.

<<Stai comoda, zia?>>

<<Stessi così in Paradiso!>>

Una televisione così grande, la voce così forte.

I suoi piccoli problemi di udito, questa volta, non le avrebbero potuto impedire di seguire il film per intero.

E i cavalli… mai visti così grandi! Doveva “sembrare bene” la faccia di Ridge su questa televisione!

Non ho seguito molto bene il film, non ricordo neanche come è andato a finire.

Mi sono soffermata su di lei. La guardavo spesso.

<<Ti piace?>>

<<Come no!>>

<<Si sente bene?>>

<<Benissimo! Che vado cercando di più?>>

Fino alla sera, non ho fatto altro che chiederle se fosse stata felice.

<<Bah!>> mi rispondeva.

<<Pure la storia diamore. Meglio non poteva essere.>>

Ero contenta. L’esperienza andava ripetuta.

Con la mia caparbietà sarei riuscita a portarla di nuovo su quella poltrona, davanti alla televisione grande.

 

La mattina dopo s’alzò prima del solito; era ancora buio fuori. Non capivo.

Andò in cucina. Forse doveva fare le orecchiette, pensai.

Cominciava sempre all’alba!

<<Annalisa!… Annalisa!!!>>

Mi precipitai in cucina. Era sulla poltrona con lo sguardo fisso, il viso cianotico. Si contorceva come avesse un diavolo in corpo.

<<Non respiro!… Non respiro!>>

Non si faceva toccare. Mi respingeva,  come se volesse farcela da sola, aggrappandosi alla vita come aveva sempre fatto, senza disturbare mai nessuno.

Ho visto la morte prendere sembianze, sostituirsi ad un’anima che solo poco prima avevo sentito palpitare.

Così spietata è la morte.

Così non l’avevo mai vista.

A distanza di tempo, anche se breve, quando lo shock ha lasciato il posto alla coscienza, quando la realtà mi è apparsa con gli occhi ancor più crudeli della lucidità, cerco ancora di sapere se quella “grande donna” ha trovato una poltrona tutta sua, un posto centrale, nella fila centrale, in Paradiso… come nel nostro ultimo Cinematografo…