I racconti del Premio letterario Energheia

Luce, Angelo Guida_Matera

Racconto finalista venticinquesima edizione Premio Energheia 2019 

Quando mia nonna chiama, devo rispondere, non ho alternative. Non ci possono essere scuse o impegni improrogabili, il valore della sua chiamata supera di gran lunga l’impegno preso da tempo con il notaio per l’operazione di scissione aziendale per la quale avevo investito almeno due settimane di lavoro. La scissione può aspettare, mia nonna no! Ed è in un pomeriggio qualsiasi di una calda giornata primaverile che devo chiudere l’agenda, con tutti gli impegni che si porta dentro, per percorrere i 12 chilometri che mi dividono da lei. La strada di campagna e la voce di Kate Bush proveniente dalla radio arredano i miei pensieri che si dissolvono progressivamente man mano che mi avvicino alla casa Vivarium.

Ciao nonna, Mi ha detto mamma che mi cercavi, cosa posso fare per te?” chiedo irrompendo nell’orario di visita di un giorno qualunque, almeno per chi vive nella casa Vivarium.

Ssshhhh, non gridare, ti aspettavo prima, sei in ritardo.

Nonna non sono riuscito a liberarmi prima” provo a giustificarmi.

Non capisco cosa vuol dire “liberarmi”, la libertà è un concetto ideale, fisico, serio.

Vigliacca mia nonna, sa bene che la amo. Non ci sono calendari, orologi e agende quando sei con lei. Il tempo, il denaro, la materia e tutto ciò per cui ci consumiamo ogni giorno svaniscono e diventi, immediatamente, complice in una vita parallela che provi a comprendere, una vita nel suo mondo.

Andiamo in giardino che nessuno ci deve ascoltare. Vedi quello seduto davanti al televisore?”.

Ci sono almeno 5 persone sedute davanti al televisore nonna, a chi ti riferisci,nonna?”.

Il terzo, quello che sta al centro. Lui è qui perché deve riferire alle guardie su chi non prende i farmaci e vince sempre a briscola” risponde abbassando la voce mentre ci dirigiamo fuori in giardino.

“Nonna, non sono guardie sono infermieri e poi quel signore non mi sembra quello che dici”.

Ogni falsità è una maschera, e per quanto la maschera sia ben fatta, si arriva sempre, con un po’ di attenzione, a distinguerla dal volto” recita mentre affrontiamo il percorso che conduce in giardino.

Cosa vuoi dire nonna, non capisco”.

In questa gabbia dorata, buona parte delle persone che vedi viene trattenuta con la forza, nessuno può andare via se non autorizzati dai parenti.”

Nonna ti ricordo che sei qui perché l’hai voluto tu, nessuno ti ha costretta e puoi andar via ogni volta che vuoi, basta chiederlo”.

E io ti annuncio che ho una missione qui, ed è il motivo per cui ti ho chiamato. Vieni andiamo sotto il pesco.”.

La clinica Vivarium, immersa nel verde della collina ligure, con la montagna alle spalle e una gran valle che si distende fino al mare è considerata un gioiello del sistema sanitario regionale.

La nonna sorprese tutti il giorno di Pasqua annunciando il ritiro nella casa di cura. Strani giorni quelli prima di Pasqua. Nessuno di noi avrebbe mai immaginato che lei, volontariamente, decidesse di allontanarsi dalla sua casa, dai suoi effetti, dai ricordi custoditi nei suoi album che, in quei giorni, erano stabilmente posizionati sul suo tavolo. E poi, nessun motivo consigliava la casa di cura, piuttosto una casa di riposo. “Devo mettere in sicurezza la mia artrosi” annunciò. Aveva organizzato tutto. Tre figlie, sette nipoti e una schiera di familiari sparsi non sono bastati per scoprire le sue trame, le sue intenzioni. Quell’annuncio portava con sé la presa di coscienza collettiva dell’età della nonna, sempre più vicina ai novanta, della prevedibile necessità di continua assistenza e della circostanza che a distanza avrebbe potuto continuare a comandare e a darci istruzioni. Così è stato, e il prezzo o il vantaggio di essere il “favorito” della nonna deve essere inevitabilmente pagato o vissuto.

Arriviamo sotto il pesco sostenuti da una inconsueta spinta della nonna che tradisce una insolita energia. “Dimmi nonna, cosa c’è di importante che devo sapere?”.

L’hai portata?” chiede guardandosi intorno.

Nonna, lo sai, se mi scoprono sono rovinato”.

Dai, tirala fuori e, intanto, porta via queste” conclude, porgendomi un pugno di pillole e fiale di vario colore e formato.

So che non ho scampo. Prendo le pillole e le fiale e furtivamente le inserisco nella tasca del pantalone, estraggo dalla giacca un pacchetto di sigarette. Lo apro, prendo uno spinello già confezionato, lo porto alla bocca lo accendo e, guardandomi intorno, lo passo alla nonna. Due boccate e vedo il suo viso decontrarsi.

Allora che giorno è oggi?”.

Giovedì, nonna”.

Buona questa erba, il dolore all’anca è già passato, ne hai altra… spero” chiede. Prima che io possa rispondere aggiunge “Voglio sapere il giorno e il mese”.

19 maggio nonna”.

Appena formulata la risposta il cinguettio degli uccelli prende il posto del silenzio della nonna, pensierosa, in sintonia con la cenere che sporge dallo spinello posizionato tra le sue dita.

Hai caricato il mio cellulare?” chiede, quasi a voler richiamare una necessaria attenzione.

Si nonna, puoi stare tranquilla, puoi chiamare anche in Brasile”.

Io non devo chiamare nessuno, mi riferivo alle applicazioni e alla musica che ti avevo chiesto”.

Si nonna, come mi hai chiesto, anzi mi sono permesso di aggiungere i Concerti Brandeburghesi e qualcosa di Schumann”.

Let It Be, l’album voglio dire, l’hai messo”.

“Come mi hai chiesto e ho messo i pezzi nell’ordine che mi hai dato. ‘Two of Us’ l’ho inserita all’inizio ed alla fine dell’album anche se non ne comprendo la ragione. E’ un pezzo che non mi piace”.

You and I Have memories Longer That Road that Stretches out Ahead (Tu ed io abbiamo ricordi Più lunghi della strada che si perde di fronte)  è stata l’ultima canzone che ho ascoltato con tuo nonno prima che lui decidesse di lasciare questa vita”.

Per favore nonna puoi evitare di soffiare il fumo in maniera così vistosa, ci scopriranno prima o poi” cerco di mimetizzare la mia preoccupazione con l’indifferenza di chi non vuole essere scoperto.

Tieni, fatti un tiro che ti fa bene“.

Dai nonna lo sai, non fumo” ripiegando in me stesso prendo il mozzicone, ormai spento, affossandolo sottoterra.

Mancano 34 giorni al 20 giugno. Io devo scappare da quì, quel giorno, e tu mi aiuterai” esordisce.

Nonna, ma perché devi scappare, tu puoi uscire quando vuoi. Il 20 giugno vengo a prenderti. Dimmi solo a che ora e poi, fino a quella data, sai quante volte verrò a trovarti.”.

No, non hai capito. Io non devo andarmene, io devo fuggire senza che nessuno se ne accorga, devo dirtelo di nuovo?”. La dolcezza del suo viso contrapposto al tono della sua richiesta non ammette repliche o domande.

*

34 giorni sono passati scanditi da un calendario confuso con il mio quotidiano. “Il piano”, così lo chiama, “è stato preparato nei minimi particolari”. Solo lei ne conosce gli estremi, io sono solo il complice esecutore. 34 giorni trascorsi pensando alle ragioni di una fuga incomprensibile, priva di senso, quasi a voler dichiarare indelebilmente compromessa la sua ragione oltre che le sue ossa e l’artrosi che si porta dietro. Ma le relazioni con mia nonna non possono essere codificate da ciò che appare. Le sue conoscenze, la sua vitalità, la sua fantasia hanno intarsiato la mia identità e la mia coscienza.

Adesso sono qui nel furgoncino noleggiato. Ho con me lo zaino con gli oggetti da lei richiesti. Il piano recita che alle 23,30 mia nonna apparirà davanti alla cancellata di fronte la lavanderia della clinica e, a solo un’ora all’appuntamento, mi ritrovo ad assecondare la sua follia posizionando le scale all’interno e all’esterno della cancellata perimetrica. Un nugolo di riflessioni confuse mi assalgono per dare un senso a quello che sto facendo. La preoccupazione per lo sforzo fisico a cui sarà chiamata mia nonna lascia il posto all’ansia di fare qualcosa di illegale.

Tutto è pronto adesso, ancora una manciata di minuti all’ora prefissata. Ciò che mi è stato concesso di sapere e che fra poco avrò mia nonna nel furgoncino. Dopo sarà lei a guidarmi.

23,30, puntuale, oltre il perimetro segnato dalla cancellata, vedo nel buio tre flash ad intermittenza come concordato. Rispondo, un flash soltanto. Siamo in linea retta. Accendo la luce interna del furgoncino, per segnare il tragitto verso la scala già piantata all’interno della clinica. Adesso avverto tensione, i pensieri vengono spazzati via dall’istinto di chi deve rimanere concentrato su quanto deve essere fatto. L’udito si adatta alla situazione, i suoni circostanti diventano colonna sonora del rumore dei passi che avverto nel buio al di là della cancellata.

Nonna sono qui, di fronte a te”, sussurro.

La  figura prende forma, si avvicina sempre più.

Buona sera figliolo, sei il nipote di Milady? Sono Aramis” sento dire da un vecchietto che avevo già visto giocare a carte con la nonna.

Stordito da quella visione, non faccio in tempo a combinare le parole per una domanda, quando il vecchietto inizia a salire la scala posta all’interno della clinica. Terrore, stupore, paura, incoscienza, confusione. Sentimenti associati ad ogni singolo scalino affrontato dal vecchietto, da Aramis, mentre scavalca la cancellata.

Provo a sostenere gli ultimi due scalini del vecchietto quando sento al di là della cancellata “Sono Athos, signore. Milady, sua nonna, mi ha detto che l’avrei trovata qui.“. Quella visione si traduce in un pugno dritto nell’occhio sufficiente per metterti al tappeto.

Manca Portos” penso in balìa di me stesso, di un sogno di inizio estate. Intanto Athos ha già superato la cancellata. Capisco che ho rinunciato a resistere quando cerco e trovo nel buio l’altro anello mancante.

Sei Portos?”.

Si, tua nonna Milady mi ha detto che devi aiutarmi a salire. Soffro di una forma di spasmi che mi impedisce di controllare i movimenti” risponde un vecchietto con un bastone tra le mani.

Non ho il tempo di pensare, affronto le scale velocemente per passare all’interno della clinica. Penso al numero di reati che sto commettendo, alle giustificazioni che posso offrire se mi scoprono.

Raggiungo il vecchietto.

Mi dia il bastone e inizi a salire, io sarò dietro di lei” provo ad incoraggiare la salita cercando di mimetizzare le mie precarie condizioni mentali.

Il vecchietto, dalla faccia rotonda circondata da quello che sembra un “riportino” dei capelli per coprire la calvizie, inizia a salire con la mia mano a sostegno del suo equilibrio. Ed è proprio mentre inizia a scavalcare la cancellata che dal furgoncino la radio si fa sentire ad alto volume. La versione di Get Up Stand Up di Peter Tosh trova compiaciuti Aramis e Athos che iniziano a ballare. Prima che possa dire o fare qualcosa Porthos, sbilanciandosi pericolosamente dalla scala, urla : “Aspettate vecchi bifolchi! Volete divertirvi senza di me?”.

Tutto è compromesso o forse no. Devo concentrare la mia attenzione su quello che va fatto, vivere il momento.

Porthos è giù, già in macchina pronto ad unirsi ai suoi amici, quando un’altra figura si avvicina nel buio. Non mi sforzo neanche di capire quale sorpresa mi attende. Eccola.

Nonna sei tu! Finalmente, ma che succede?”

Tutto secondo il piano” risponde mentre inizia a salire velocemente la scale per ritrovarsi  rapidamente dall’altra parte della rete metallica. Un bacio veloce di cortesia mi scuote.

Entriamo nel furgone e andiamo dai!”. Eseguo, non ho alternative. Mi rendo conto, appena entrato, che Aramis è già seduto sul posto vicino a quello di guida, mentre mia nonna si posiziona insieme ad Athos e Porthos già con la cintura di sicurezza pronti a partire. Non faccio domande, abbasso il volume della radio e parto. Entriamo nella strada principale.

Allora nonna, vuoi spiegarmi cosa sta succedendo? Chi sono questi signori?”.
Come chi sono, non vi siete presentati?”.
Certo Milady, ci siamo presentati” risponde Aramis al mio fianco.
Mi rendo conto che non posso negoziare, così come non mi conviene approfondire. Sono appena uscito dall’incubo della fuga e adesso non ho intenzione di inoltrarmi nell’incubo dell’assurdo.

Parto in apnea cercando di immettermi velocemente nell’anonimato di una strada trafficata. Nel frattempo ognuno commenta la propria fuga con la coscienza dell’impresa realizzata. Non ho domande da fare, non cerco spiegazioni, ho solo bisogno di una strada.

L’incrocio è inequivocabile: a destra Finale Ligure, a sinistra Savona.

Gira a destra” istruisce mia nonna rivolgendomi finalmente la parola.

Nonna, non credi sia il momento di spiegarmi qualcosa, chi sono questi signori?”.

Sono quelli che vedi”.

“Posso sapere dove stiamo andando?” chiedo.

A casa di Porthos, una villa vicino ad Orco Feglino, in collina”.

Piuttosto, hai messo nello zaino quello che ti ho chiesto?” anticipa ogni forma di discussione in grado di fornirmi una spiegazione.

Si, naturalmente”.

Dai alza il volume adesso” interviene Athos alle mie spalle.

La voce di Pino Daniele avvolge il furgoncino, assorbita dai primi intimi pensieri di ciascuno di noi dopo la fuga. Il buio della strada, le rare luci sul mare che si vedono lontane all’orizzonte rendono magico il nero del cielo.

Al prossimo incrocio gira a destra” dice Porthos dietro di me.

La strada adesso è nuovamente isolata, buia e arredata da alberi sui fianchi.

Quando puoi, fermati” irrompe mia nonna.

Fermarci qui? Perché?”.

Oggi è il 20 giugno, anzi è il 21. Abbiamo una missione e dobbiamo, a questo punto, fare una ricognizione sulla situazione”.

Rallento, vedo uno spazio tra gli alberi che fiancheggiano la strada. Fermo il furgoncino. Dopo pochi secondi siamo tutti fuori nel buio. L’aria è tiepida. Le lucciole che brillano nell’oscurità annunciano l’arrivo dell’estate. Osservo i tre vecchietti raccolti intorno alla nonna come se fosse un totem.

Hai portato da fumare?”.

Nonna, ti prego, non davanti a loro” rispondo preoccupato dalla richiesta.

La nonna sorridendo si avvicina a me, mi prende sotto braccio e avendo cura di non farsi sentire dai compagni di viaggio inizia a parlarmi “Li vedi, osservali bene. Aramis è ricoverato per disfunzioni renali. Deve essere periodicamente sottoposto a dialisi. Porthos si porta dietro da tanti anni una forma spastica che gli impedisce di essere autonomo soprattutto quando è in preda alle sue crisi. E’ stato un grande professore di letteratura inglese, mentre Athos, un sarto che ha disegnato vestiti per importanti personaggi del cinema  e della televisione, ha una forma di diabete che lo sta divorando lentamente.

Loro non hanno scelto di essere ricoverati nella Clinica,  e abbiamo una missione da compiere, una missione segreta e non sappiamo se ci sarà, per tutti, un altro 21 giugno. Non chiedermi cosa.” Conclude mia nonna. “Si, certo, ma … i nomi, Milady …ehm … non capisco”, cerco di rimediare qualche indizio.

 “Sono nomi in codice, di battaglia” risponde guardando una insolita diagonale nell’oscurità.

Prima che possa ribellarmi all’ennesima dispotica dichiarazione, anticipa ogni mia velleità: “Signori, prima che la missione possa proseguire dobbiamo battezzare questo giovane servo e dargli dignità per servirci” dichiara solennemente mia nonna. “Grimaud, si Grimaud” interviene Athos. L’incomprensibile affermazione di Athos fa calare un silenzio che dura solo pochi secondi. “Grimaud” risponde Aramis, “Grimaud” replica Porthos.

Ma chi è Grimaud, nonna?” chiedo con aria confusa.

E’ il tuo nome in codice, nostro servo” risponde serena cercando il compiaciuto assenso di Athos.

Non ho argomenti, non posso contrastare mia nonna, non l’ho mai fatto. Estraggo dalla mia giacca un pacchetto di sigarette con tre spinelli già confezionati. Lo passo a mia nonna insieme all’accendino.

La luce provocata dalla fiamma utilizzata per accendere lo spinello illumina i visi dei vecchietti, sereni e gioiosi. Mi rendo immediatamente conto che quanto sta accadendo ha forse un senso, un valore che non sono in grado di decifrare.

Aramis, tu no. Devi guidare lo sai” sento mia nonna rivolgersi al gruppo mentre stanno consumando lo spinello tra colpi di tosse e reciproche risate.

Nonna, ho capito bene? Aramis deve guidare?”.

Aramis è stato un grande guidatore, e il suo sogno è stato quello di ritornare a guidare almeno una volta ancora”.

Non ho il tempo di esprimere alcun giudizio quando vedo Aramis prendere la mia posizione sul furgoncino ed esplorare il cruscotto.

Ripartiamo singhiozzando. Gli umori dei vecchietti all’interno del furgoncino sono opposti al mio che aggiunge alla tensione di quanto sta accadendo il terrore di vedere Aramis alla guida del mezzo.

Ci siamo, a destra troverai una stradina che dovrai prendere. Al termine c’è la mia villa” istruisce Porthos alle mie spalle.

Ma è l’una di notte, non possiamo presentarci così all’improvviso”.

La casa è disabitata adesso. Da quando mi hanno imprigionato nella clinica è stata abbandonata” interviene Porthos.

Pensano che la clinica sia la soluzione migliore, per loro. Ma non per me!” sottolinea il vecchietto abbassando il tono della voce quasi ad invocare una sconfitta che continua a tormentarlo.

La stradina si inerpica sulla collina, stretta. Pochi minuti e la villa di Porthos viene illuminata, a distanza, dai fari del furgoncino guidato da Aramis. La struttura si intravede tra gli alberi che la circonda. Arriviamo davanti al cancello, chiuso. Scendiamo, tranne Aramis che spegne il motore,  e nel silenzio generale, Porthos si dirige verso un masso ai piedi della colonna in cui si incunea il cancello. Lo sposta ed infila il braccio che sa bene dove dirigersi.

Una chiave. Porthos estrae il braccio con una chiave in mano. Lo sforzo per aprire il cancello e il rumore prodotto fanno affiorare il tempo passato senza che nessuno sia mai entrato prima di oggi, 21 giugno.

Rientriamo nel furgoncino e, superato il cordone perimetrico degli alberi, arriviamo davanti quello che sembra l’ingresso principale della casa. Scendiamo tutti questa volta. Sotto un patio sommerso da terra e foglie ci fermiamo nel buio circostante.

Grimaud, prendi la torcia e il piede di porco, seguimi, voi aspettate qui, ci metteremo poco”. Porthos, senza il sostegno del suo bastone si avvia seguendo il perimetro della villa. Non ho ancora focalizzato l’azione di Porthos quando uno scappellotto alla nuca mi rimette in linea con il fantastico mondo in cui sono precipitato. “Grimaud…”, penso, “… sono io”. Lo scappellotto voleva solo ricordarmi che sono il “servo” e devo eseguire. Torcia e piede di porco, due oggetti richiesti dalla nonna che ora hanno un senso. “Fai quello che ti dice Porthos” ammonisce mia nonna.

Silenzio e oscurità sono rotti dal rumore dei passi e dalla luce della torcia, fino all’ingresso di un fabbricato estraneo rispetto alle caratteristiche estetiche della villa, un deposito o qualcosa di simile. Prendo il piede di porco pronto a scardinare l’ingresso di ferro quando vedo Portos estrarre dal giubbotto un mazzo di chiavi e, dopo qualche secondo, aprire la porta. Accende la luce. Un deposito pieno di cianfrusaglie sparse. Vecchie biciclette, reti metalliche e giocattoli sono quelli più evidenti. Porthos si dirige dritto verso uno spazio occupato da una grossa damigiana vuota. La sposta, con il piede rimuove il telo di plastica. “C’è una botola Grimaud, aprila” mi ordina indicandomi la fuga nel mattonato del deposito. Stranamente ansia e preoccupazione lasciano spazio a brividi di eccitazione.

La botola nascondeva l’ingresso di un sottoscala, buio. “Tocca a te Grimaud, prendi la torcia e scendi dalla scaletta, di fronte troverai un tavolo con una fotografia di una ragazza di spalle rivolta verso il mare  prendila e risali” istruisce Porthos

La scaletta di legno, posizionata chissà da quanto tempo, non sembra sicura. Non faccio neanche in tempo a prendere le necessarie contromisure che mi ritrovo irrimediabilmente a terra dopo un volo fortunatamente breve.

Grimaud sei caduto?” sento dall’alto. “Si” rispondo. “Bene, molto bene figliolo adesso muoviti!”.

La torcia illumina immediatamente il tavolo. Mi dirigo lentamente cercando di cogliere le immagini che la luce artificiale offre. Su una parete una schiera di quelli che sembrano cappotti sono ordinatamente appesi ad una lunga spalliera. Per terra scatole di cartone impolverate e bauli di legno. Mucchi di pezzi di stoffa impolverati sono ammassati in un angolo. Arrivo al tavolo posto in fondo alla stanza, lo aggiro. La foto di una ragazza con un vestito a fiori leggero che guarda il mare con un isola sullo sfondo troneggia sul legno impolverato. Estraggo la foto dalla sua custodia, punto la torcia per individuare qualcosa che possa giustificare le ragioni di un viaggio e di una follia. Non riesco a cogliere nessun elemento. Mentre rimetto la foto nella custodia scorgo delle scritte sul retro della foto, la giro:  21 giugno – 44 01.472N.

Grimaud che fai, hai trovato la foto?” sento la voce di Porthos rimbombare nel buio della sala provocandomi uno scossone.

Si, arrivo”. Risalgo velocemente dalla scaletta prestando la massima attenzione. Prima ancora di uscire del tutto dalla botola, vedo il braccio proteso di Porthos. Estraggo la foto dalla tasca e gliela porgo.

Bene, andiamo. Milady ci sta aspettando”.

Mia nonna e i suoi compagni non si sono allontanati dal furgoncino. Porthos passa la foto alla nonna che non perde tempo a sfilarla dalla custodia e, senza indugio, la gira per vedere cosa c’è dietro l’immagine.

“Andiamo sono le 2,30 abbiamo tanta strada da fare”.

Nonna, guido io se posso” chiedo timidamente.

Aramis, adesso riposati, avrai bisogno di energia”.

Rientriamo nel furgoncino e, dopo aver ripetuto il rito del cancello e della chiave, ripartiamo.

Verso Finale Ligure” istruisce mia nonna.

Dopo pochi chilometri mi accorgo che tutti dormono tranne mia nonna intenta a fissare la scritta sul retro della foto consegnatale da Porthos e a prendere appunti su una agenda. Ferma con gli occhi aperti rivolti verso l’esterno, nel suo sguardo cerco risposte ma trovo solo domande.

I pensieri che mi travolgono sono attenuati dalle luci del cruscotto che mi offrono una innocua distrazione, la velocità, la distanza, il consumo di benzina. Il tutto nella totale incoscienza rispetto al luogo di arrivo.

Il cartello recita “Albenga 15 KM”.

Rimani sull’Aurelia e, dopo Albenga, fermati all’altezza delle Vele” annuncia mia nonna.

Sono le 3,30 del mattino, immerso o precipitato nel mondo parallelo che la compagnia propone, parcheggio il furgoncino dopo aver fatto scendere mia nonna e gli altri nei pressi di un piccolo porticciolo in un area chiamata “Vele”.

Grimaud” mi sento chiamare da una voce soffocata.

Eccomi” rispondo affrontando la passerella che costeggia le barche e i motoscafi ormeggiati.

Saliamo a bordo” esorta Athos indicando un motoscafo.

Ma di chi è questa barca e, soprattutto, dove stiamo andando?”.

Grimaud, l’essere stato elevato a servo non ti autorizza a formulare domande” interviene Porthos.

Giusto” affonda mia nonna. “La barca è di Athos, e stiamo andando nell’unica isola che c’è,… in ogni caso non sei autorizzato a fare domande, sei sempre un servo. Quindi entra e rimuovi le cime!”.

Saliamo sul motoscafo. Mia nonna sa che conosco le barche e questa non è male, leggera e la scarsa potenza del motore ci consente di usarla senza patente.

Ed è proprio mentre raccolgo l’ancora che vedo Aramis collegare i fili dell’accensione ai cavi che avevo portato nello zaino che, come la torcia e il piede di porco, adesso hanno un senso.

Nonna, ma le chiavi, dove sono le chiavi del motoscafo?” chiedo manifestando disappunto e agitazione.

Athos ha semplicemente perso le chiavi e, quindi, Aramis ci farà vedere come si avvia un motoscafo” interviene Porthos manifestando una preoccupante serenità.

Nonna non dirmi che stiamo rubando un motoscafo, ti prego…” non faccio in tempo a terminare le imprecazioni che il rumore del motore prende il sopravvento su di noi.

Aramis sei un vecchio imbroglione” dichiara con aria soddisfatta Porthos.

E come il comandante di una nave pirata mia nonna, piantando solidamente le proprie gambe e proiettando il proprio corpo in avanti, annuncia “Aramis, muoviamoci”.

Isola Gallinara, Parco naturalistico ligure, oasi verde e luogo preferito da mia nonna nei racconti estivi che mi regalava quando ero un bambino, è lì, di fronte a noi. Il bagliore della luna ne definisce i contorni. Aramis, al timone, conosce la navigazione e questo consola l’ansia prodotta dalla consapevolezza di essere stato complice di un furto.

La rotta seguita tradisce la piena coscienza della direzione presa, la conferma arriva dopo una quindicina di minuti. L’isola viene aggirata e le luci notturne di Alassio si dissolvono appena giunti alle spalle dell’isola. La visione di una caletta tra gli scogli mi fa avvertire, per la prima volta da quando mi sono ritrovato con mia nonna e i suoi insoliti compagni, un senso di inquietudine che si traduce nel silenzio e negli sguardi di tutti, rivolti verso l’isola.

Aramis spegne il motore in prossimità della riva, dopo poco la barca si arresta galleggiando a pochi metri dalla superficie sabbiosa.

Grimaud, scendi e aiutaci ad arrivare in riva” rompe il silenzio mia nonna.

Aiutare, come?” chiedo

Non vorrai farci mettere i piedi in acqua? Devi prenderci sulle spalle e portarci sulla terra!” la risposta di mia nonna non si fa attendere.

Non potevo immaginare che sarei dovuto entrare in acqua di notte, in compagnia di mia nonna e di tre vecchietti conosciuti da poco. E proprio mentre decido di togliermi i pantaloni, le scarpe e le calze per iniziare l’attraversata, prendo atto di quello che sta accadendo e della distanza tra il mio mondo quotidiano e i momenti che sto vivendo … con mia nonna. Pensieri confusi, spazzati via dal brivido provocatomi dall’acqua fredda, che mi arriva fin sotto le ginocchia appena sceso dalla barca.

Milady prego” esordisce Athos in silenzio da qualche minuto.

Mi sporgo per far salire sulle mie spalle con le gambe tra le mie braccia mia nonna che, con insolita agilità, si lascia trasportare fino alla riva dove la accomodo delicatamente.

Ritorno alla barca preoccupato del peso di Porthos, unico fra i tre con una certa mole contraddistinta da una pancia pronunciata.

La prova fisica a cui sono chiamato, alle 4 notte, mette in seria difficoltà i miei muscoli.

Dopo qualche minuto anche Aramis, dopo Athos e Porthos, raggiunge mia nonna intenta a leggere la sua agenda tenuta con la mano sinistra e a digitare qualcosa sul proprio cellulare con  la mano destra.

Con le gambe bagnate e i muscoli doloranti mi avvicino a lei. “Nonna posso aiutarti?” chiedo.

Non risponde, sembra che non abbia sentito la domanda. Chiude l’agenda e con il cellulare in mano indica la direzione da prendere, questa volta a piedi. Scorgo dall’illuminazione prodotta dal telefonino che la nonna segue un percorso indicato dalla “Mappa” che ha impostato appena scesa dalla barca.

Avanti, fra una ventina di minuti dovremmo arrivare a destinazione” sentenzia mia nonna nel silenzio più totale scandito dalla colonna sonora proveniente dal mare.

Dopo alcuni minuti percorsi in una vegetazione che sorprendentemente mimetizzava un sentiero che mai avrei intercettato, nel buio notturno, illuminato dalla torcia, il silenzio viene soffocato da Porthos che inizia a cantare: “Quando tutto tace e su nel ciel la luna appar col mio più dolce e caro miao chiamo Maramao”. “Vedo tutti i mici sopra i tetti passeggiar” interviene Aramis “ma pure loro senza te sono tristi come me” conclude Athos. A quel punto tutti, compresa mia nonna, intonano in coro “Marameo perché sei morto, pane e vin non ti mancava l’insalata era nell’orto e una casa avevi tu”.

Quella canzone diventa la trappola che mi trascina negli interstizi dei miei ricordi, delle estati vissute in riva al mare con la testa sulle ginocchia di mia nonna. E adesso eccomi qui, in estate in riva al mare con mia nonna.

Ci siamo, siamo arrivati” sentenzia mia nonna.

In un piccolo spazio circondato da rocce e piante selvagge mia nonna, insieme ai vecchietti, inizia a guardarsi intorno, cecando qualcosa o qualcuno. Mi sforzo di cercare qualcosa anche io, inutilmente.

Spegni la torcia Grimaud”.

Nonna ma è buio”.

Oggi è il solstizio d’estate e, fra poco, la luce farà la sua parte”.

Spengo la torcia.

Dopo qualche secondo, la vista si adatta alla situazione. I contorni sono più chiari adesso, così come è chiara l’immagine fornita dalle ombre di mia nonna e i suoi compagni, abbracciati con la faccia rivolta al cielo.

In quel momento capisco il senso di tutto quello che sta accadendo, la dimensione della generosità di mia nonna che ha voluto regalare a tre vecchietti un grande momento di gioia. Alzo la testa anche io, rivolto verso il cielo. Mi rendo conto che l’alba è prossima dal leggero chiarore proveniente dietro il grande scoglio di fronte a noi.

E poi, e poi all’improvviso una magia, forse uno scherzo o forse no.

Un raggio di sole attraversa il grande scoglio e con esso il buio del nostro spazio con una luce limpida, trasparente, che trova il suo terminale sulle piante che coprono la roccia.

La cesoia, Grimaud!” la voce di mia nonna rompe il silenzio della notte con la stessa irruenza del raggio di sole il cui estremo sembrava fosse l’obiettivo di mia nonna.

Passo la cesoia ad Athos che, a sua volta lo passa alla nonna che afferra l’attrezzo senza levare gli occhi sul punto raggiunto dal raggio.

Nonna spostati, taglio io le piante” intercedo preoccupato dello sforzo fisico e della posizione assunta dalla nonna piegata in se stessa

Milady, Grimaud è qui per questo” interviene Aramis.

E mentre inizio a tagliare le piante selvagge insinuate negli angoli ai piedi della roccia, il raggio di sole perde progressivamente luminosità fino a dissolversi nel chiarore dell’alba di questo 21 giugno. La roccia, priva degli ornamenti offerti dalle piante è in realtà una grossa pietra.

Signori, ci siamo. Spostate la pietra” con voce emozionata e con la postura di una bambina, mia nonna sembra annunciare l’ultimo ordine.

Insieme all’unisono ci scagliamo contro la pietra che ha un sussulto.

Sintonizziamo meglio le spinte e la pietra lentamente si sposta fino a capitolare su un lato. Il vuoto lasciato nasconde una buca. Quella visione incanta i miei compagni.

Mia nonna, immobile fino quel momento si muove verso il foro lasciato indifeso dalla pietra che lo custodiva. Si china, afferra qualcosa e la porta alla luce del sole ormai diffusa sull’isola.

Una scatola di legno rettangolare chiusa da un gancio mobile. Il silenzio degli altri e la mia curiosità rendono l’atmosfera vibrante, dove il tempo e lo spazio sembrano fermarsi in attesa dell’apertura della scatola.

Athos, hai ancora una sigaretta da fumare? Ne ho bisogno, sento gli spasmi che stanno arrivando” interviene Porthos.

Senza rispondere e senza togliere gli occhi dalla scatola, Athos passa lo spinello a Porthos insieme all’accendino.

I gesti delle mani della nonna sono vivisezionati da tutti come a voler sostenere fisicamente quell’apertura.

La scatola è aperta, la nonna estrae una busta, la apre. Un foto uguale a quella trovata nella casa di Porthos appare nelle sue mani.

Grimaud leggi, ti prego” mi dice passandomela.

Sorpreso dall’insolito “ti prego” prendo la foto, la giro,  mentre tutti, tranne la nonna, si appoggiano alle rocce circostanti.

21 giugno 1944, è passato più di un anno da quando ci siamo visti l’ultima volta.

Abbiamo scelto i fucili Milady, non avevamo scelta. La tua battaglia è diventata nostra. Abbiamo provato a sconfiggere quel nemico che ci ha impedito di vivere la gioia della nostra giovinezza. Sono certo che siete riusciti a salvare quei poveri disgraziati che volevano giustiziare. Gli squadristi fascisti non potevano immaginare che giovani studenti di un liceo potessero avere tanta audacia e coraggio. Li ho tenuti alle mie spalle, mi sono fatto inseguire ma adesso il prezzo lo stanno pagando altri poveri innocenti. La terra bruciata che stanno facendo intorno al mio nome deve arrestarsi. La mia vita ha un senso adesso. Domani assalirò il comando dei gerarchi ad Alassio, il mio tempo è finito. Athos, Portos, Aramis, se siete arrivati qui allora abbiamo vinto. La foto di Milady è giunta a tutti, le coordinate vi hanno riunito e vi hanno portato qui il giorno del solstizio, il giorno in cui la luce parla, racconta e nasconde. E’ bastato poco. E noi tutti brindiamo a Voi Milady, nostro grande amore narrato nelle nottate stellate abbracciati alle nostre armi pronte ad uccidere per quel senso della libertà che ci avevi trasmesso. Non piangete per me e gioite delle nostre fortune, in fondo era stato già scritto … uno per tutti! – D’Artagnan”.

Vedo la nonna rimettere le mani nella scatola e tirare fuori una bottiglia di champagne Chambertin posizionata lì più di settanta anni fa con una foto di una classe scolastica.

La stappa rivoltando i suoi polsi con rabbia, delusione o forse amore.

E noi brindiamo a te Iacopo, che hai regalato a noi la tua vita, il tuo coraggio la tua forza. E brindiamo a noi che non abbiamo mai avuto un futuro ma solo un presente” Prende la bottiglia e la porta alla bocca per tirar giù un sorso. “Prendi Giorgio” pronunciando per la prima volta un nome che sembrava quello vero, la passa ad Aramis muto ormai da quasi un’ora. “A te Filippo” mormora Aramis passando la bottiglia a Porthos che aveva appena spento lo spinello. “Iacopo, maledetto! perché non mi hai voluto? In due ci saremmo divertiti per raccontare le nostre avventure a tutto il Liceo. Brindo alla libertà e a questo mare che continua a farci sognare come tu avresti voluto, Tieni Gianni” con una faccia seria passa la bottiglia ad Athos. “Ci hai lasciati da soli Iacopo, da allora la matematica è diventata un incubo e non è bastata la bravura di Giulia a compensare la tua assenza. Ed è per questo che non potrò mai perdonarti. A te, a noi amico mio… amici miei” tira giù un sorso dalla bottiglia e la passa a me, disorientato confuso, in preda a sensazioni che ricompongono tutto quello che è successo dal giorno in cui mia nonna annunciava il trasferimento nella clinica. Era tutto studiato. “Grimaud, brinda con noi” mi esorta Athos.

Prima che io possa prendere la bottiglia Athos aggiunge: “Quale è il tuo vero nome figliolo?”.

Prendo la bottiglia bevo, non rispondo.