I racconti "brevissimi di Energheia"

I brevissimi 2013 – L’aceto di Corrado dal Maso_Roma

Anno 2013  (I sette peccati capitali – l’invidia)

“LA MANGI E BASTA!”

cena1In realtà volevo dirgli: odio-tua-madre!, ma sono queste le parole che mi escono dalla bocca: la-mangi-e-basta!

Matteo raspa nell’insalata con la punta della forchetta come se avesse perso qualcosa, con un’espressione remissiva, senza energia; ma subito, indomito, rilancia: “Non si potrebbe avere almeno un po’ d’aceto?”

Aceto?

Quando vivevamo insieme non l’abbiamo mai usato, l’aceto.

E’ un segnale.

Un odore pungente, acre, un refolo soltanto . . . e dopo un lampo, improvviso; e poi un tuono. E mare grosso, onde di schiuma e metallo, tempesta, vele strappate e … E tu dov’eri, marinaio, quando il vento cambiava? Credevi di avere le mani salde sul timone, ma invece a girare era una roulette, e la pallina è schizzata via.

Aceto.  La richiesta mi prostra.

“ NON CE L’HO, L’ACETO!”

cena7 Torna il silenzio. E torno a pensare.

Come non odiare quella donna? Rimesto dentro di me e so che non è gelosia. In fondo, basta un attimo per cancellare il tempo, per tornare estranei, e in quell’attimo tutto si perde.  Anche il possesso dell’altro: non è gelosia.

È, piuttosto, che se mi guardo attorno vedo una stanza estranea, ostile; il mobile lavello-e-cucina, i mestoli sbilenchi, impiccati; e la televisione che parla da sola, l’ingresso così irragionevolmente a ridosso del letto …

Una macchia umida sul soffitto, di qua.

Di là una sottana sul pavimento, seta e parquet, la abat-jour accesa sotto il quadro di Villacci e le casse dello stereo che tubano profonde, bassi e penombra … Odio questa camera e desidero con voluttà quella casa, quegli oggetti, cose, luci, musica, odori: tutto ciò che era nostro, e che ora è solo suo. E non è più mio.

Un miraggio seducente, il passato.

insalataUn muro giallino, il presente. Tormento rabbia impotenza, neon, tovagliette, insalata . . . aceto.

Guardo Matteo adesso, e vedo qualcosa sul suo volto. Più che una luce, un riflesso; il riverbero triste di un’insegna gialla. Un sogno ad occhi aperti; cascate di patatine fritte che ruzzolano da una cornucopia squadrata, a righe bianche e rosse, pani tondi e gommosi lanciati da soldatini in divisa; militi di un’armata, se non di pace, di piacere, in guerra con un esercito festante di ragazzi, ragazze, zainetti, felpe, marche, marchi. Un mondo lontano da questo posto, dove l’insalata non è mai più di una foglia e l’aceto c’è. Ha forma di plasma, in bustine, da solo o insieme a salse colorate . . .

Insomma, guardo mio figlio e vedo con impotenza il suo volto dolce ferito da un desiderio tagliente, per quello che non ha: un posto di fiaba, compagni lontani, hamburger, giochini. Il mondo normale che c’è fuori da quella porta troppo vicina al letto.

Anche Matteo mi guarda, e nei miei occhi di sicuro non vede granché.

Un estraneo, mi sembra. Il figlio di un altro. Che, però, all’improvviso mi sorprende: “E come si chiama questa insalata, papà?”

Curiosità, o pietà che sia, una risposta gliela devo. Come in tranche, in un attimo sono al mobile e frugo nel secchio fino a che non sento sulle dita la carezza del cellophane, e poi il ruvido dell’etichetta: cerco tra numeri, lettere, parole, … leggo, finalmente.

“INVIDIA”

“Invidia, Matteo, si chiama invidia”.

Invidia, dunque. Sguardi, pensieri, desideri, sogni, bisogni . . . scarola.  Metafora verde di quello che vorremmo e non abbiamo, di quello che poteva essere e non è, di una esistenza diversa, lontana oramai. La busta, beffarda, mi dice ‘invidia’ e io non so proprio cosa dire, a lei e alla mia vita sbagliata. Cosa rispondere al sarcasmo della sorte che ghigna di me …

Ma ecco che mio figlio mi sorride: “Me la fai di nuovo, papà, l’invidia? Magari, la prossima volta con un po’ di aceto mi piace”.

Un brivido. Il mio cuore batte di nuovo, impetuoso, pieno delle sua voce, delle sue parole, di quell’affettuoso, tenero esorcismo: ti voglio bene, Matteo, e con te la vita va avanti e tutto il resto non conta.

Conta solo il futuro.

Sarai tutto quello che non sono stato.

E avrai tutto quello che non ho.

Tutto.

Anche l’aceto.