I racconti del Premio letterario Energheia

La Madonna dell’Iperuranio_Mario Ventrelli, Pisa

 _Racconto vincitore ventesima edizione Premio Energheia 2014.

paesaggiNella ridente città di M., ogni estate, da più di 5 secoli, si celebra la Madonna dell’Iperuranio, una festa patronale molto cara ai suoi abitanti.

Nell’anno al quale accenneremo in questa breve storia, la festa cadde in un momento di gravi difficoltà economiche. Il distretto industriale segnava il passo e gran parte dei suoi operai si ritrovò per strada, arrangiandosi con i lavori più disparati, non necessariamente i più onesti. Tra di essi, anche il tappezziere Candido, il nostro protagonista.

Avendo solo la terza elementare, da quando era stato licenziato dalla fabbrica, pur di sbarcare il lunario si prestava a lavoretti di ogni tipo. Un certo zainetto glielo mollò Piero, un giovane chimico, suo ex compagno di catena di montaggio, con la fissa per gli intrugli. Questi, sperando di tirar su un po’ di grana, aveva sintetizzato una certa polverina i cui effetti stupefacenti, però, non riusciva ancora bene a controllare. Fisico minuto, look da nerd, t-shirt bisunta velvetundergraundiana, Piero bussò a casa di Candido intorno alla mezzanotte, chiedendogli di nascondere il suo zainetto per qualche giorno. A Candido, però, non svelò un dettaglio e che cioè la polverina racchiusa nello zaino conteneva una molecola che, aggrappandosi alle reti neuronali a mo’ di guitto, provocava deliranti visioni psicotropiche:

Non gli disse che, producendolo a basso costo con un mix di dentifricio, calzini usati e nafta agricola, sperava, in dumping, di sbaragliare il mercato degli stupefacenti. Non gli disse nemmeno che aveva la Madama alle calcagna. Si raccomandò, semplicemente, in nome della loro vecchia amicizia, di nasconderglielo per qualche giorno. Candido era abituato a quel genere di incarichi, e non fece domande. Tuttavia, non appena Piero prese strada, aprì timidamente lo zainetto e, alla vista della polverina, pensò tra sé: sembr farin d semlan. Forse deve fare l gnìttl c la fest…Pierin è proprio nu brav uagnon. Rimise quindi a posto la sacca, deciso a tener fede alla sua amicizia.

Fu così che, quando sentì bussare furiosamente alla sua porta nel cuore della notte, d’istinto raccolse la borsa e si lanciò dalla finestra posta al primo piano, subito inseguito da due gendarmi. Qualcuno aveva fatto una spiata. “Mors tua vita mea” avrebbe potuto elucubrare, se solo a scuola il suo maestro gli avesse dato un po’ più di mazzate.

Il tappezziere non amava correre, la trippa gli zavorrava il passo donandogli la grazia di un mulo che cammina a marcia indietro. Rimbalzando tra i vicoli della città vecchia come una palla da bigliardo, sperò ardentemente che il cielo, fino a quel momento della sua vita così avaro con lui, gli desse finalmente una mano. Il campanile della chiesa di San F. comparve furtivo nel buio. Fu un’illuminazione: si ricordò che la parrocchia apriva solitamente all’alba, a causa di certi traffici, anch’essi illeciti ma di altro tipo, che il prete usava trattare in special modo a quell’ora del mattino. Svoltò per un vicoletto che si gettava in giù, e puntò in direzione della chiesetta situata nella pancia della città vecchia. Il parroco, tale Don Francesco, Cecchin per le sue numerose ammiratrici, Ceccazz per i suoi altrettanto numerosi nemici, era infatti tra i pochi ad aprire i battenti della chiesa sul far del giorno. Candido corse speranzoso in quella direzione. Spinse il portale socchiuso e si precipitò nella navata ancora semi immersa nel buio, cercando subito un nascondiglio. Esitò un attimo, poi puntò dritto verso il confessionale. Spostò cautamente la tenda di velluto e ne occupò il posto centrale.

Una sagoma sbucò improvvisamente dal buio, come avesse atteso un segnale. Due o tre volte si girò come per controllare se qualcuno la stesse osservando. Lì per lì il tappezziere temette si trattasse di uno dei due gendarmi ma, osservandone meglio la giunonica silhouette, capì che si trattava di una donna che conosceva bene: era Santina, la ruspante moglie del mastro cartapestaio, costruttore del carro trionfale della Madonna dell’Iperuranio. Candido più che altro la conosceva a causa dello spostamento d’aria che provocavano le sue curve bovine e degli scompensi ormonali che si portava appresso. Femmina tosta, di carne e di carattere. Santina, appunto, constatando che il prete aveva anticipato di una buona mezz’ora il rendez-vous, puntò sospettosa verso il confessionale. Spostò cautamente la tenda e si sedette alla sua sinistra.

Cecchì, hai aperto presto stamatin… niente niente aspettjev a un’altra femmnazz?!

Candido capì che c’era stato uno scambio di persona ma, dato che in quel momento facevano il loro ingresso in chiesa i due gendarmi, decise di stare al gioco.

Tegn n’appundamento a P., disse con un filo di voce.

La donna, diffidente come una volpe, fece una breve pausa, come a soppesare. Poi estrasse una confezione di cartone contenente un capo di biancheria:

Ti ho portato lu reggipett… nascondilo bene, che poi staser pass dalla canonica e me lo metti tu… vilacchjion… – Glielo passò di sotto la pesante tenda. Sull’involucro era stampato di fresco un bacio color amaranto con un lieve retrogusto di aglio.Quindi, in punta di piedi, la femmina scomparve in fondo alla navata. Anche se al buio, Candido notò le tracce di fango che lasciò alle sue spalle. La donna era solita alzarsi molto presto per far visita alle galline e raccogliere le uova. Da qualche juorn raccoglie pur l salzizz!, pensò Candido amareggiato, lui che, squattrinato, di femmine non ne vedeva manco col binocolo. Ma, ottimista per indole, il tappezziere cercò di vedere il lato positivo della situazione. D’istinto raccolse la scatola e se l’infilò sotto la giacca, pensando che in qualche maniera gli potesse tornare utile. Un attimo dopo, avanzando guardingo dalla sagrestia, vide venirgli incontro il prete. Procedeva pettinandosi la bianca chioma con ampi e compiaciuti gesti, usando un pettinino d’avorio a denti fini fini, probabile regalo di una sua ammiratrice. Il sacerdote si guardò intorno e, con un sorriso da peccatore, si precipitò nel confessionale. Provò a spostare la tenda centrale, ma Candido, temendo di essere scoperto, la tirò a sé. Interdetto, Don Cecchino si sedette sullo scranno di sinistra, quello dei penitenti.

Santina!, che tieni indra la cap? Arrap la tend! La finisci con questi scherzett?- , pronunciando quest’ultima frase con un certo compiacimento.

Alla vista dei due gendarmi che ritornavano sui loro passi, Candido sudò freddo. Replicando a bassa voce:

-Ma qual Santin, so Candido, u tappezzjer!

-U tappezzjer? E ce fa ndru confessional?

Candido spiegò brevemente le circostanze che l’avevano portato in chiesa.

-… e poi mi devi nascondere stu zainett, almen fin a domani – indicando i due gendarmi in fondo alla navata.

E ce cos ci sta dentro?

Farina di semolone!

U semlan?-, sbottò Don Cecchino, che da vecchio marpione aveva capito tutto:

Senti, io non voglio problemi con la giustizia, so nu crstian pulit, ij….

Ca com….  me l’ha appena confermato quella fetndazz d Santina…

– Santina? Che sai tu di quella sanda femmn?

-E’ arrvat stamatin scambiandomi per te…. Lasciandomi pure lu reggipett. Mo’ mo’ se n’e ggiut… Mmocc a tej… clla muglier duu carrist….

Il prete sbiancò. Candido, questa volta con voce decisa:

Nascondi u zainett e quando passerò a ritirarlo, ti restituisco u reggipett…- E poi, sottolineando le misure dell’indumento, indicate sulla scatola: e brava Santina, quinta misur… ce bell vsazz!

Strisciando hitchcockianamente sul lato buio della navata, Candido guadagnò l’uscita dalla chiesa.

Appena il tappezziere si allontanò, Cecchin avvinghiò lo zaino, lo aprì e alla vista di quella strana farina, infilò il naso dentro. Una specie di scossa elettrica gli passò per la spina dorsale. Fu come un sogno. E sognò, appunto, che qualcuno avesse sostituito la statua della madonna che doveva andare in processione, con quella di Togliatti, mentre le campane della chiesa intonavano l’Internazionale. Ma per sua fortuna non aveva aspirato troppa polverina e l’incubo si dissolse rapidamente così come era arrivato… –men mal che i comunist stanno cul e candr cll democristan-, disse tra sé e sé per rassicurarsi, ma i tremolizzi non smettevano. Turbato, si rifugiò in sagrestia, appese lo zainetto all’attaccapanni, e si sedette sul cesso per svuotarsi dello spavento.

Santina, uscita dalla chiesa si avviò verso casa sua, sperando di arrivarci prima che il marito si alzasse. Questi, a furia di plasmare angeli e cherubini, aveva avuto una conversione religiosa. Don Cecchino, avutane notizia, si era detto felice di questo mutamento e, anzi, l’aveva anche incoraggiato, facendogli dono di tanti libruzzi e trattatelli scritti fini fini, tanto che il cartapestaio, la notte, ci si consumava gli occhi sopra, rifiutando, da quel momento, di adempiere ai suoi peccati coniugali. Così, Santina, da buona credente, si era affidata al prete che, con grande misericordia, aveva accettato di consolarla.

Da quel momento, Don Cecchino, con grande compassione, una mano la teneva sulla spalla del cartapestaio, e un’altra sulle chiappe di granito della moglie. Le chiappe sue come quelle di chissà chi altra, temeva struggendosi la donna. Da un po’ di tempo questo sospetto le torceva le budella e non era ancora arrivata a casa che decise di fare marcia indietro: la levataccia del prete non l’aveva per nulla persuasa e voleva vederci chiaro.

Non avendo alcun pretesto a disposizione, decise di rientrare in chiesa chiedendogli indietro la scatola col reggiseno, per controllare se dentro ci fosse finita, ssacc… l’anello di nozze. Sperando di prendere finalmente il chierico in castagna, accelerò il passo come una furia: –Povr a idd se lo trovo con qualche zucculazz…

La sera prima aveva piovuto. L’alba si rimboccò le maniche srotolando in cielo un’immensa tela di Pollock. Attraverso le spesse vetrate della chiesa, poco filtrava di quel profluvio di colori.  Una luce malata irrorava le navate, tingendole di pallido.

La donna entrò in chiesa che pareva un’invasata. Si guardò intorno e, non trovandovi nessuno, puntò dritto verso la sagrestia. Anche questa era vuota. Stava quasi rinunciando alla sua ricerca, quando notò appeso all’attaccapanni uno zaino sdrucito che ricordava bene di non aver mai visto prima lì. Insospettita, d’istinto lo avvinghiò, se lo mise in spalla e uscì dalla stessa porta attraverso la quale era entrata.

Un attimo dopo il prete uscì dal bagno e, mentre si tirava su le braghe, notò che lo zaino non era più appeso al suo posto. –Sarà venuto a riprenderselo curu curnut…. Contento per essersi tolto quella grana di dosso, decise di andarsene a letto a farsi una pennichella per riprendersi dallo spavento.

Nel frattempo la donna si avviò a tutta velocità verso casa sua. L’abitazione che condivideva col marito era proprio sopra il capannone dove stavano dando gli ultimi ritocchi al carro trionfale. Entrò dentro che non c’era ancora nessuno e, sistematasi su di una seggiola, aprì la sacca. C’era dentro una specie di farina avvolta in una bustina di plastica. Ne assaggiò un pizzico. Fu come se fosse stata colpita da un fulmine. Sognò che il prete dava di matto e che il suo reggiseno lo metteva direttamente alla madonna in processione. Devota com’era, ebbe una specie di infarto. Marja sandissssssssm! Terrorizzata, nascose il pacchetto con la polverina dentro uno degli angioletti, cavi all’interno, che decoravano la parte antistante del carro. Lo inzeppò bene bene e subito dopo si mise a letto con una specie di febbre da cavallo.

Malgrado la crisi incombesse, man mano che ci si avvicinava alla festa, il clima in città andava deliziandosi, forse perché in fondo si sperava in un miracolo della Madonna dell’Iperuranio. Sin dalle prime ore del mattino, gli operai lavoravano alacremente alle ultime rifiniture delle impalcature.  Mischiandosi a questi, Candido se ne andò in un bar dove, per riprendersi un po’ da quella notte insonne, ordinò due caffè. Il suo umore era solare, sia perché era riuscito a fregare i suoi inseguitori, sia perché lo zaino era in un posto che più al sicuro non poteva: chi si sarebbe mai sognato di andare a cercarlo in chiesa?

Aspirando una Nazionale alla malandrina, si avviò verso un telefono pubblico, inserì un paio di monete, e chiamò Piero al cellulare. Gli spiegò in breve quello che era successo, rassicurandolo circa la sicurezza del nascondiglio che aveva scovato. La consegna, decisero, doveva avvenire la sera della sfilata del carro trionfale, approfittando della cagnara generale e del fatto che la polizia era quasi del tutto impiegata nel servizio d’ordine.

La mattina dopo, Don Cecchino era dietro l’altare tutto preso a dir messa. Era quasi arrivato alla fine, quando notò la sagoma di un tizio con un paio di grossi occhiali da sole neri che gli faceva curiosi segni da dietro una colonna. Aguzzando la vista, il prete si accorse che era Candido. Ce cugghj, mormorò a denti stretti di dietro l’altare. Tirò a finire messa tutto d’un fiato, manco dovesse scappare in bagno e, dopo l’ite missa est, svuotatasi la chiesa, vide venirgli incontro il tappezziere con la scatola in mano.

Meh!, Cecchì, dammi u zainett che me ne devo scappare: indr alla bust ci sta u r’ggpett…

Qual zainett?, replicò il prete cominciando a sudare freddo.

Com sarebb a dir qual zainett? U sacc! A spòrt! Che t si scordato??? Vedi ce succed a bere troppa benzin!, indicando la bottiglia di vino officinale che il prete aveva sull’altare.

-Ma non sei passato ieri a riprendertelo? L’avevo appeso in sacrestia, so giut au gabbnett un attimo e quando so turnat u zainett era sparit! Ho pensato che te lo fossi portato a casa toj!

Cecchì, non facim scherz…: io devo consegnarlo a certi amici miei e, se u zainett non salta fuori, qua facciamo tutti u ball dll pzzjend! Per far mostra della sua innocenza, il sacerdote prese per mano Candido e l’accompagnò all’attaccapanni, frugando pure sotto i cappotti, caso mai fosse finito lì. Quando si accorse che non era nemmeno lì sotto, tirò una parolaccia impresentabile, gastemando pure per le macchie di fango che qualcuno ci aveva lasciato. A quelle parole a Candido si accese una lampadina:

-Ieri c’era solo una fmmnazzz con le scarpe infangate così: ed era Santina… l’ho vista con i mei occhi, quando è uscita dalla chiesa.

In un lampo il prete, conoscendo la capa calda di quella donna, immaginò quello che poteva essere successo.

I due uscirono a passo futurista dalla chiesa e si diressero come cani da punta verso la casa di Santina. La incrociarono che usciva dalla parrucchiera dopo una messa in piega di tre ore (cosa che faceva ogni anno in occasione della festa). La chioma sciantosa sparava verso l’alto come un vulcano in eruzione.

Beh, com’è andata a P????, fece ringalluzzita dalla vista del prete.

P.? Quale P.? Il prete estrasse di tasca con mossa studiata il pettine ed iniziò a passarselo tra i capelli. Notando che la donna stava abboccando alla studiata coreografia, inspirò profondamente e, presala da parte, le disse a bassa voce: Santì, ieri mattina indra la chies non hai parlato con me, ma con Candido che si era nascosto in confessionale perché era inseguito da l carabbunier. La scatola cu u reggpett, l’hai data a lui, e lui non a me… se non restituisci lo zaino, quello è capace ca lu reggpett l mett a la madonn in processjon!

Santina, vedendo palesarsi l’allucinazione del giorno prima, abbandonò l’aria spavalda e si fece timida timida come un capretto. Sotto lo sguardo inquisitore dei due, ammise di aver sottratto lo zaino, e ammise anche la ragione che l’aveva portata a quel gesto.

-L’avimm da recuperà subito, sibilò Candido, io lo devo restituire!

-Non è possibbl, rispose Santina, sentendosi sprofondare il terreno sotto i piedi. L’ho nascosto indr a l’angiolett che sta davanti al carro a fianco dell’auriga….

Il prete e il tappezziere si guardarono negli occhi: e come ti ha fatto la capa  che l’hai nascosto dentro l’angelo? E poi ce ne sono due, jun a destr e l’old a sinistra. Ti ricordi almeno qual è?

-Quello d snistr…. Credo…  è che quando ho assaggiato la farina, mi sono scandata e l’ho fatto sparire immediatamente.

-Allora andremo a smontare l’angelo stanotte, fece il prete ansioso di chiudere al più presto

-Noneeeeeeeeeeee, non è possibbl, replicòSantina riprendendo vigore, il carro esce diman e se trovano qualche cos sfascjat, danno la colpa a mio marito!

Il sacerdote parlò a nome di tutti e tre: –Allor amma scij anche noi a sfasciare il carro la sera della sfilata, e sprjam di recuperar l’angioletto…

 -E sprjam di turnà san a cas! Quella sera sarà pien d cape calde e se non stiamo attenti, a noi ci fanno u cul a giubb d bannist!  – aggiunse Candido il quale, pur convinto che in fondo questo fosse il migliore dei mondi possibili, vedeva il suo ottimismo fargli difetto.

Per capire la situazione, diamo una breve occhiata allo svolgimento della festa. Il giorno della sfilata, il tradizionale carro trionfale con la statua della Madonna dell’Iperuranio, viene trainato da coppie di muli per le vie centrali della città, mettendosi in moto nel tardo pomeriggio nella gazzarra generale. Giunto in Cattedrale, la statua della madonna viene fatta scendere dal carro per essere deposta in chiesa; così inizia l’ultima parte del tragitto verso la piazza centrale di M., dove il carro verrà assaltato e distrutto dalla folla.

Sebbene il piano si presentasse disperato, Candido e Cecchino si sedettero intorno a un tavolo. Il problema era che le forze dell’ordine concedono l’ok all’assalto solo negli ultimi metri del percorso e, a meno che non avessero usato una gru oppure del tritolo, non c’era verso di intervenire prima per sottrarre l’angioletto, ma Santina, alla quale l’ansia di recuperare il reggiseno aveva messo le ali all’immaginazione, vedendoli entrambi disperati, si ricordò di un dettaglio che poteva cambiare le carte in tavola:

Fuors ste na soluzion…. sotto il sedile dell’auriga, c’è nu prtus, una botola che porta proprio nella pancia del carro. In genere la utilizza lu mccanc per controllare i freni del carro prima della sfilata.

-E allor?

-Bast ca stanott uno d vuj si nasconde ndu carr con un seghetto in mano. Quan alla contdrora parte il carro, durante che sta la sfilata, accummenz a seghettaj l’angiolett e, quando arriverà che sfasciano lu carr, bast che afferr l’angiolett e recuper u zainett. In mezzo au macell nessuno si accorgerà che l’angelo è sparito!

Dopo un lungo ragionamento, il prete e il tappezziere conclusero che l’idea non faceva una piega. Restava da capire chi dovesse calarsi nella pancia del carro. Santina era fuori discussione, mentre Candido era troppo grasso. Non restava che il prete. Quindi, mentre Don Cecchino avrebbe seghettato l’angelo, Candido avrebbe seguito a distanza la sfilata, pronto ad intervenire se ci fossero stati degli imprevisti. A breve distanza, approfittando del fatto che il marito era impegnato col carro trionfale, l’avrebbe seguito Santina. Fu concordato che, al recupero dello zaino, Don Cecchino avrebbe fatto un certo segnale per indicare che tutto fosse a posto.

Quella sera stessa, il prete, con una scusa, marcò visita alla festa, dandosi per malato ed impedendo a chiunque di cercarlo per le successive 48 ore a causa di un forte mal di testa. Non tand m seeeeend riferì agli amici preoccupati. Nottetempo, si infilò nel carro con in tasca un affilatissimo seghetto. Lo spazio era angusto e, vi si ritrovò con lo stesso entusiasmo di Edmond Dantes ad If. Tanto per far passare le lunghe ore che aveva davanti, si portò appresso una damigianetta di vino che la moglie del sacrestano gli aveva preparato appena saputo che non stava bene. E grazie al vino, dormì come uno scannato fino alle 15 del giorno dopo, quando fu svegliato da alcuni scossoni. Il carro infatti, cominciava a muoversi in vista della processione, scortato dai cavalieri e da volontari che lo circondavano per evitare che ragazzi impazienti lo distruggessero prima dell’arrivo in piazza.

Piero, intanto, non avendo più notizie di Candido, provò a contattarlo sul cellulare. Dopo aver inutilmente tergiversato, il tappezziere fu costretto a confessare il guaio in cui si era cacciato. Dall’altra parte del telefono l’alchimista sbiancò d’un colpo. Dovette farsi ripetere due volte la concatenazione degli avvenimenti. Ma l’incertezza durò poco. Deciso a recuperare l’angioletto, stabilì che anche lui avrebbe partecipato allo sfascio del carro. Senza dir nulla a Candido però, che in quel cul-de-sac l’aveva cacciato. Sparandosi a tutto volume nelle cuffie, “Run Run Run” dei Velvet Underground, si infilò un cappellino da base-ball per rendersi irriconoscibile e scese agguerrito in strada, fidando, per fendere la folla, nella sua bassa statura.

Cominciata la processione, il prete iniziò la sua opera di seghettatura, pregando con un fervore a lui stesso sconosciuto, affinché tutto andasse per il verso giusto. Seghettava con energia, accarezzando con amore i piedi dell’angelo, come fossero quelli di una donna. Ciò che principalmente l’angustiava, era la possibilità che dal di fuori qualcuno potesse udire il suo rumore. Per questo cercava di sincronizzarsi con l’andamento basculante dell’auriga. Il carro trionfale, stretto nella morsa della ressa verso la sua saracena catarsi, procedeva lentissimo, scortato da presso dagli erculei celerini e da lungi dalla banda di ottoni.

Quante volte il prete aveva assistito a quella processione? Eppure, immedesimandosi ora con la fragile struttura del carro, rifletteva sul terrore che doveva pervadere quella delicata massa di legno e cartapesta nella lunga marcia verso il suo patibolo.

Intuendo di essere quasi arrivato in piazza, ultima sosta prima della distruzione, il prete cominciò ad esercitare più forza nel suo lavoro di asportazione, esultando ai primi segni di cedimento della statua che, infatti, cominciò ad inclinarsi.

Separato dalla folla da una sottile parete di cartapesta, in completa osmosi con la massa umana che lo circondava, Don Cecchino riusciva ad avvertirne anche i più infinitesimi umori, arrivando ad immaginare di essere lui stesso parte organica del carro, squartabile anch’esso in ogni suo pezzo, per divenire poi reliquia oggetto di culto della plebe.

Fu l’accentuato nervosismo della scorta che si accingeva ad abbandonare il carro alla sua sorte, che lo mise in allarme. Nel silenzio premonitore che ne seguì, la sua mente terrorizzata si popolò di una pittoresca congerie di martiri che sgomitavano nella sua immaginazione.

Pensò a Santo Stefano proto martire ucciso lapidato a opera di Paolo di Tarso, a San Lorenzo bruciato vivo durante la persecuzione voluta dall’imperatore romano Valeriano, a San Biagio martirizzato con dei pettini (dei pettini!) appuntiti di ferro che lo hanno scarnificato vivo, a Santa Caterina d’Alessandria condannata a morire su una ruota dentata fatta rotolare da una rupe, a San Sebastiano che fu legato ad una colonna e martirizzato con delle frecce, a San Bartolomeo scuoiato vivo, a San Matteo evangelista,  apostolo e martire colpito al fianco con una spada mentre celebrava una messa a Cafarnao…

E a me, come mi ricorderanno? Come di Don Cecchin, lu martr d lu reggipett…

Per un istante ebbe voglia di lanciare un urlo, di saltare fuori dalla botola per mettersi in salvo. Ma era ormai troppo tardi.

Calò il silenzio.

Fu un attimo.

Allo scoccare dell’ora X, un’enorme onda tellurica, accompagnata da una specie di boato, si sparse per tutta la piazza, rimbalzando contro i muri dei palazzi e focalizzandosi, concentrica, sul carro al centro della folla, nel cui petto batteva, terrorizzato, il cuore del prelato. Nel caos primigenio che ne seguì, nessuno fece caso all’angelo involantesi verso il basso a guisa di cartapestaceo Lucifero. Mentre la fragile struttura del carro cominciava ad accartocciarsi sotto la brutale pressione della folla, il prete, frugando affannosamente nelle viscere della statua, si accorse con terrore che era vuota. Cercò quindi di avvinghiare l’altro angioletto, ma la zampata, velocissima, di un nerd occhialuto gliela sfilò sotto il naso. Era Piero che, guizzante come una lucertola, si diede alla fuga tra la folla usando la statua a mo’ di mazzuolo per farsi largo in mezzo alla cagnara.

Centrifugato dal suo fallimento, il prete zompò fuori dal carro come una furia, menando a memoria tutti i santi di sua conoscenza.

Dalla ferina apparizione del prete, Candido e Santina intuirono che qualcosa era andata storta. Immediatamente si misero alle calcagna del fuggitivo, di cui intravedevano soltanto un piccolo cappellino da base-ball. Facendosi largo a panzate, Candido guadagnò qualche metro sul fuggitivo.

La prima volta che il prete cercò di placcare Piero, questi gli massaggiò tre volte le gengive con la statua di cartapesta.  Venne quindi il turno di Santina di fare il suo tentativo. Con sangue freddo la donna attese il nerd dietro l’angolo. Appena questi arrivò a tiro delle sue menne, la donna si sbottonò la cammisetta mostrando la parte alta delle sue aggettanti grazie. Mesmerizzato da tanta abbondanza, il chimico si bloccò di botto. Un attimo dopo, sopraggiungendo come un treno, Candido gli rovinò addosso con tutto il peso dei suoi 150 chili. I due rotolarono a terra abbracciati come vecchi amanti.

Quello che successe dopo, si fissò indelebilmente nella loro memoria.

Catapultato verso l’alto, l’angioletto si involò lentamente in cielo, coprendo una breve parabola nel corso della quale molte mani si tesero invano nel tentativo di avvinghiarlo. Poi cominciò la caduta e la statua si sfracellò al suolo con un tonfo secco.

Tra lo sguardo sconcertato dei presenti, rompendosi in mille pezzi, liberò nell’aria la farina contenuta dello zaino. Spinta da una leggera brezza, la polvere si sparse nell’atmosfera come una grossa nuvola onirica. In un attimo, si palesò nell’aria un’enorme pala d’altare. Al centro la Madonna dell’Iperuranio e ai suoi piedi, a guisa di arcangeli, Friedrich Engels e Karl Marx che, con un sorrisino malizioso, ammoniva i festanti che la religione è l’oppio dei popoli.

Lo sconcerto fu quasi generale ma, per fortuna, l’incubo durò poco. In un attimo la nube si diradò e la festa riprese spensierata tra le marce allegre della banda e, più tardi i botti dei fuochi d’artificio.

FINE

(Ogni riferimento a cose e persone è puramente casuale)