L'angolo dello scrittore

Ilaria Alpi, 18 anni dopo

Tratto da Nigrizia

 

Il 20 marzo di 17 anni fa, morivano a Mogadiscio, in Somalia, in un agguato su commissione, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, giornalisti del Tg3. Da allora processi e commissioni parlamentari di inchiesta non sono riusciti a fare luce su uno dei misteri più oscuri della storia recente della Repubblica.

Il 2011 sembra aprire una svolta sul caso Alpi.  È partito, infatti, il processo per calunnia a carico di Ali Rage Hamed, detto Jelle, testimone chiave dell’accusa contro Hashi Omar Hassan, unico condannato per gli omicidi, in carcere da oltre dieci anni. Hashi, ritenuto un capro espiatorio, è stato indicato dal Jelle, come membro del commando che ha ucciso i due giornalisti. Tuttavia Jelle si sarebbe sempre sottratto al confronto e in una conversazione telefonica, nel 2004, dichiarava di essere stato convinto ad accusare Hashi e di essere stato pagato, per questo, da “un’autorità italiana”.

Tesi, questa, riportata dall’avvocato Douglas Douale e documentata in un’intervista realizzata da Roberto Scardova, giornalista del Tg3, e proiettata al premio Ilaria Alpi lo scorso anno. Se Jelle dovesse essere dichiarato colpevole, l’intero impianto accusatorio nei confronti di Hashi dovrebbe cadere e l’inchiesta ripartire da zero.

C’è un’altra novità che riguarda questo 2011. Un nuovo impulso a riaprire il caso potrebbe arrivare dalla commissione bicamerale di inchiesta sui rifiuti, presieduta dall’on. Gaetano Pecorella, in seguito alle recenti rivelazioni che svelerebbero un nesso tra l’imprenditore Giorgio Comerio, impegnato nello smaltimento dei rifiuti tossici, alcune società somale di smaltimento e la morte di Ilaria Alpi.

Il tempo non sembra tuttavia giocare a favore della verità. Sono, infatti, numerosi i testimoni che non sono sopravvissuti a questi 17 anni. Morto Ali Abdi, autista di Ilaria e Miran: pochi giorni dopo il suo rientro in Somalia è stato trovato morto a Mogadiscio. Morto il colonnello Awes, capo della sicurezza dell’Hotel Amana, nelle vicinanze del quale si tenne l’agguato mortale ai due giornalisti della Rai. Scomparsi o morti anche numerosi altri testimoni oculari somali. Come un membro della scorta di Giancarlo Marocchino, l’imprenditore italiano che per primo giunse sulla scena. All’uomo, Marocchino, passò un taccuino, una macchina fotografica, una radio trasmittente o un registratore. Morto, infine, il colonnello Ali Jirow Shermarke, autore di un rapporto Onu che accusava direttamente il Marocchino, mai iscritto nel registro degli indagati.