L'angolo dello scrittore

Il tempo per gli scienziati e per i poeti.

_di Roberto Vacca

Ha senso parlare del tempo solo se lo misuriamo e se raccontiamo come sia stato riempito (da noi o da altri), se le storie sono utili e interessanti e gli eventi sono rilevanti. Se riusciamo a capire i meccanismi secondo i quali certi fattori – persone, enti, circostanze – influiscono su variabili socio-economiche, demografiche e politiche, cominciamo a interpretare la storia. Aveva ragione Ugo Foscolo quando disse nel 1809:

“Italiani, io vi esorto alle istorie.”

Però le storie umane sono registrate spesso in modo difettoso. Mancano dettagli o vengono inserite cronache inventate per i motivi più vari: ignoranza, distrazione, desiderio di guadagno, ideologia. Cronologie antiche e moderne sono talora contraddittorie. Ogni narrazione letteraria è incastonata nel tempo, ma in modi imperfetti. Invece gli scienziati da Galileo in poi sono riusciti a studiare bene i fenomeni che variano nel tempo. Non è stato facile. Ad esempio Faraday aveva intuito che le variazioni di un campo magnetico concatenato con un circuito conduttore vi inducono correnti elettriche. Cercò di rivelarne la presenza dopo che il campo aveva subìto variazioni e non le trovò. Solo quando tentò di misurarle durante la variazione del campo, riuscì ad analizzare il fenomeno e a formulare la sua legge sulla induzione elettromagnetica.

Certo si può parlare del tempo anche usando parole, ma bisogna imparare a farlo. Alcuni romanzieri hanno scritto pagine luminose sul tempo e su come lo percepisce una persona a seconda del suo stato d’animo e degli eventi. Fra le pagine migliori metto quelle di Tolstoi, che nella parte finale di “Guerra e pace” analizzò anche le catene temporali di cause ed effetti, che determinarono grandi eventi della storia moderna.

Certi poeti sono bravi a usare le parole. Anche loro, però, sono raramente riusciti a dire sul tempo parole di qualche importanza. Le loro parole possono suonare bene, ma non ci aiutano a capire. Dopo che se ne è spento l’eco, non ci rimane niente. In modo simile una canzone armoniosa in un lingua sconosciuta o un canto nella nostra lingua intonato da chi non articola bene le parole, tanto che non si distinguono, possono destare in noi sentimenti, ma non idee chiare. Sono tiritere – modulazioni di frequenze che non pretendono nemmeno di avere alcun rapporto con la realtà o con noi stessi.

Gabriele D’Annunzio nelle storie della letteratura è riconosciuto come un abile fabbro di parole. I suoi versi sono musicali e senza asperità. Ad alcuni fa piacere leggerli o sentirli recitare. Sono sensati? Vediamo il poemetto in dieci versi [metro insolito] “La sabbia del tempo” [da Alcyone, 1903] :

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“Come scorrea la calda sabbia lieve Per entro il cavo della mano in ozio, Il cor sentì che il giorno era più breve. E un’ansia repentina il cor m’assalse
Per l’appressar dell’umido equinozio
Che offusca l’oro delle piagge salse. Alla sabbia del Tempo urna la mano Era, clessidra il cor mio palpitante, L’ombra crescente d’ogni stelo vano
Quasi ombra d’ago in tacito quadrante”

La mia prima critica riguarda il fatto che il poeta percepiva male la sequenza delle stagioni. Quando scriveva quei versi era imminente l’umido equinozio – di autunno – dunque eravamo a metà settembre. Soltanto allora il cuore del poeta si accorge che le giornate sono più brevi, Porta ritardo: si stavano accorciando da più di 80 giorni. In quel lungo periodo D’Annunzio doveva essersi goduto belle giornate estive al mare. Avrebbe dovuto rallegrarsi di stare ancora sdraiato al sole sulla sabbia calda. Avrebbe dovuto essere meno distratto: già 40 volte aveva assistito all’ineluttabile ciclo annuale delle stagioni. Un vate non dovrebbe cadere dalle nuvole.

Una volta ricaduto a terra, poi, il poeta avrebbe dovuto stare attento a non usare similitudini infelici. Si faceva scorrere la sabbia calda fra le dita. La sua mano, che avrà avuto una capacità di una decina di centimetri cubi, gli sembra un’urna: cioè un recipiente ben più capace, il cui contenuto – ceneri o schede votate – non si fa scorrere via. Poi raffigura il suo cuore palpitante a una clessidra – in cui però, la sabbia non pulsa, ma scende con una portata costante e che serviva a misurare tempi brevi [oggi solo di cottura di uova o di cappelletti] e non di trimestri come le stagioni.

Misurare il tempo è cosa seria. Poeti disattenti: astenersi!