I racconti del Premio letterario Energheia

Il tempo della vita, Gabriel Ciao_Marcianise(CE)

Finalista Premio letterario Energheia 2022 – Sezione giovani

Conduco una vita regolare. Sono stato educato a queste rigide norme di comportamento. Un amico mi ripete in continuazione:«Mio padre diceva sempre che l’acribia è la parola d’ordine della nostra vita».

Io sono più giovane e posso anche muovermi. Beh, non mi muovo proprio io, ma almeno mi portano a spasso. Sogno di girare il mondo: le metropoli, le città d’arte, le bellezze della natura; anche i meandri più remoti e sconosciuti del globo (perchè no?). Ahimè! Mi nutro di illusioni. Di solito noi siamo fedeli. Piuttosto sono gli umani a riporre fiducia in noi. Non si distaccano e rimaniamo con loro anche per molti anni.

Ieri Christian stava guardando un film con un amico. Entrambi, seduti sul divano, discutevano durante la visione. Si parlava della morte, del limite invalicabile della vita umana. Nel frattempo, mi rendevo conto di quanto fosse più precaria la loro esistenza, rispetto alla nostra. Ho sentito dire che si trova sempre un modo per aggiustarci. Non so bene come riescano a riportarci in vita. So solo che questa dovrebbe essere la mia seconda esperienza.

Eccola la sveglia! Puntuale alle 8:00 del mattino. Oggi è domenica. Chissà dove andiamo…sicuramente non in facoltà. Già mi porta lì cinque giorni su sette.

Ecco che disattiva la sveglia del cellulare con il solito atteggiamento di rabbia mista a svogliatezza. Eh sì. Ho imparato in queste settimane. Rabbia e svogliatezza. Al quanto pare così si definiscono. Neanche una parola…come al solito. La mattina è proprio tragica per lui. Se potessi glielo direi che dovrebbe andare a dormire prima la sera.

Sono le 11…che fine avrà fatto? Finalmente sta arrivando! Vestito, pulito e pettinato. Speriamo che l’attesa valga la pena.

«Luca sto scendendo in questo istante. Ci prendiamo un aperitivo al solito posto?»

Ogni settimana di questo ragazzo è la copia della precedente. Che esistenza monotona!

Strano non si angosci.

«Ciao Christian, bello mio. Come va? Tutto a posto?»

«Tutto a postissimo. Non ci si vede da un po’…»

«La febbre non mi voleva lasciare. Tredici giorni interi! Ma è mai possibile?»

«Che vuoi che ti dica…l’importante è che ora tu stia meglio. Sediamoci.»

Classici spritz e vodka martini “agitato non mescolato, con una sottile scorza di limone”.

«Se lo prende James Bond nei film, ci sarà una ragione. È il miglior cocktail.»

«A proposito Luca. Non so se hai letto. Il tuo idolo mi sa che lascia il ruolo definitivamente.»

«Non me ne parlare! Daniel Craig è stato il migliore in assoluto. Più bravo persino di Sean Connery o di quel tronco d’albero di Roger Moore.»

«Affermazioni procaci.»

«Parla cristiano, per favore!»

«E per questo ti dicevo che non so proprio come superare diritto privato. Sto studiando ogni giorno, fino all’una o alle due. Ma c’ho una confusione in testa tremenda.»

«Prova a fare qualche schema. Consiglio gratuito.»

«Ma ti rendi conto di quello che dici?! Uno schema su 3500 pagine?»

«Fanne più di uno. Continua a studiare e vedi che riuscirai a prepararti in tempo: mancano tre settimane.»

«Lo spero…Che ore sono?»

«Sono quasi le 13. Mancano venti minuti…circa. Tra poco andiamo.»

«Ehi! Ma quello è l’orologio che portavi prima dell’estate! Non si era rotto?»

«Sì. A luglio, quando ho rotto con Claudia.»

Allora veramente non è la mia prima vita questa! Tuttavia, non posso sapere se sia la seconda.

«Ah, scusami…non volevo toccare un nervo scoperto…»

«Tranquillo. Nessun nervo. Piuttosto mi arrabbiai per l’orologio: 220 euro. Lo dovetti portare dall’orologiaio. Meno male che ha risolto. Ci ha messo due mesi, ma ne è valsa la pena.»

Avrò fatto proprio una butta fine. Certo che però gli esseri umani tengono a noi! Non so quanto valgano 220 euro…mi sembra tanto. Proprio tre giorni fa mi capitò di sentire, mentre studiava, che tutti conoscono il prezzo delle cose, ma non il valore. Non so se sia un’affermazione valida.

«Senti…non te l’ho mai chiesto: non volevo essere invadente. Ma perché vi lasciaste?»

Claudia ha una zia, alla quale tiene molto. Il suo nome è Iris: i genitori la chiamarono così perché guardandola negli occhi, illuminati da sottili fasci di luce trapassanti la finestra, colsero i sette colori dell’arcobaleno. O almeno così narra la leggenda. Christian ha messo in evidenza come, ogni volta che glielo raccontava, lui spiegasse puntualmente l’etimologia: una Dea greca, vestita di iridiscenti gocce di rugiada; grazie alla sua luminosità di colore variabile, la membrana dell’occhio si chiama “iride”.

Attualmente ha 78 anni e da qualche mese mostra sintomi di demenza senile: cambiamenti d’umore, perdita di memoria… Non ha figli. L’unica parente, la sorella (la mamma di Claudia), ha deciso di disinteressarsene. Non dovrebbero essere i momenti migliori per serbare rancore, tuttavia sembra che questa zia si sia comportata talmente male con la sorella durante la giovinezza che è legittima la soppressione del sentimento di umanità. Al contrario, Claudia ha sempre provato un forte trasporto emotivo nei confronti della “zietta”, come lei suole chiamarla. Effettivamente, Iris è sempre stata presente nella vita della nipote, forse per compensare quanto fatto alla sorella, forse per vero amore. Questo non lo sa nessuno e figuratevi se posso saperlo io. In ogni caso, a luglio, mentre i genitori di Claudia, coscienziosi, partirono per un viaggio al mare, serviva qualcuno che badasse alla zia Iris e la giovane nipote decise di rimanere in città. Si trasferì per una settimana da lei, con Christian, previa richiesta. Un giorno, mentre Claudia uscì con un’amica, affidò la fragile parente al fidanzato. Le istruzioni erano semplici e chiare: il rumore la infastidisce; niente auricolari perché bisogna rimanere vigili in caso di richieste di assistenza; assecondarla sempre. Credo sia quest’ultima che abbia mandato tutto in frantumi. Al ritorno dall’appuntamento, la zia piangeva a dirotto, urlava e tacciava Christian, rivolgendosi a lui come “Elio”, di averla offesa pesantemente. Non so se sia vero…forse era la latente follia a parlare (d’altra parte lo chiamava con un nome diverso). Tutti lo dipingono come un ragazzo sensibile, di una profondità d’animo difficilmente eguagliabile, gentile, educato, a tratti giù di tono, ma, sinceramente, non credo sia capace di macchiarsi di atti simili. Comunque, Claudia non ci vide più. Non poteva più fidarsi di lui; questo è il succo della storia: la fiducia. Un maledetto sentimento a cui, se non tieni con forza, come un palloncino vola via, lasciando solo una forma tra le nuvole. Dopo cique anni, la relazione non si concluse nei migliori dei modi: un brutto litigio. Ed è in quella disquisizione verbale che a quanto pare fui gettato per terra, rompendomi in mille pezzi.

Intanto, il tempo corre. Lo vedo sul mio corpo: il suo silenzioso battito scandisce la vita in maniera sempre più precipitosa. Ho capito in questi due anni con Christian che non ci si può fermare, neanche per una rapida occhiata rivolta all’indietro.

Continua con i suoi studi, ma afferma di non essere pienamente soddisfatto. Si rende conto, forse, che il tempo va avanti. A volte si gira verso di me e prega affinché mi fermi. Non posso. Tutto fugge via: i mesi, le persone, i ricordi. Eppure sperano di poter trovare sempre un appiglio, qualcosa a cui aggrapparsi (una fotografia, una poesia, un ricordo…), per contrastare lo scostumato incedere del tempo.

Se ho capito qualcosa della condizione umana è che dovrebbero vivere tutti consapevoli che un giorno saranno solo ricordi di qualche persona che li ha amati durante la vita. Così, forse, sarebbe un mondo migliore.

«Ci tengo a precisare che l’ho scritto di getto, quindi non affosarmi di critiche. Ok?»

«Dai Chrì muoviti, che devo uscire con Enzo.»

Ho visto Enzo, un paio di volte. È il fidanzato di Erica, la compagna di studi di Christian. Un ragazzo alto, biondo, una peluria bionda gli vela le guance, un po’ incavate. Christian lo detesta: è antipatico ed eccentrico. Inoltre, ha l’eleganza di un elefante e mi è costata un solco sul viso.

«Steso lì sull’erba, mano nella mano con lei, mi sentivo immortale. Guardavamo le stelle lassù nel firmamento e sognavamo di nuotare tra loro. Essere innamorati è così bello. E mano nella mano con la tua dolce metà, sotto una coperta stellata, è una, se non la più romantica esperienza che si possa vivere. E tutti sanno quanto amo essere romantico, o ancora, quanto amo che qualcuno sia romantico con me. E Claudia lo era. Era la reginetta del romanticismo, anzi, il cuore del romanticismo. Non che io fossi diverso, attenzione! Le scrivevo una poesia ogni domenica e lei ricambiava, facendomi assaggiare il sapore delle sue labbra. Appena i nostri sguardi si incrociavano, le sbocciava un sorriso sul viso. La luce del suo volto lasciava apparire le stelle meno lucenti; l’azzurro dei suoi occhi delineava due laghi in miniatura…Sapere di piacere a una ragazza come lei mi faceva sentire immortale, l’interprete di un film. Era vero! Come era vera la sua stravaganza, la sua intraprendenza. Era senza dubbio la perla che più apprezzavo della collana della sua personalità. Sogno ancora i suoi capelli serici, il suo grazioso naso, che una volta poggiava sul mio…e i nostri respiri si lasciavano andare in lubrici avvolgimenti.»

«Eh dai! Quanto manca?»

«Poco, altre due pagine.»

«Lo finiamo un altro giorno. Non riesco. Fammi attaccare che devo prepararmi.»

«Sì, ma che ne pensi?»

«Penso ti debba liberare del passato.»

«Io non sono ancorato ad alcun passato. Se intendi dire per il nome…»

«Certo che intendo dire per il nome…scemo.»

«Non ha niente a che fare. Lo uso perché…»

«Senti, non voglio tu stia male per queste cose. È stupido stare male per chi non ti apprezza. Sei un bel ragazzo, intelligente, brillante. Hai bisogno di rimpiangerla ancora? Dopo tutto questo tempo?»

«Erica non è questo…però a volte mi chiedo come possa raggiungere la felicità. E lo trovo impossibile.»

«Non è impossibile Christian…devi innamorarti, ma non degli altri. Gli altri non ti meritano. Devi innamorarti di te stesso. Noi tutti dovremmo farlo. Una vita non amata non è degna di essere vissuta.»

«Forse hai ragione…ci proverò. Sapevo che un’amica che studiasse filosofia mi sarebbe tornata utile.»

«Mai quanto una che studia psicologia. Ti serve un dottore…»

Zifu ha 26 anni e vive in un piccolo quartiere, abbastanza lontano dal mio vecchio comodino. Lui neanche ne ha uno. Credo che la mia vita abbia avuto un netto calo qualitativo dopo che Christian fu trovato con la cintura stretta intorno al collo. Viveva una crisi profonda. Nessuno ha mai capito quale fosse il suo problema. Secondo alcuni, era debole e viveva come un tronco in balìa della corrente del fiume.

Vi rendete conto che sono dovuto passare da una casa sicura a uno straniero che vagabonda tutto il giorno? Tutto questo perché i suoi tutori hanno deciso di sbarazzarsi della sua roba. Da un mercatino mi ha acquistato il Maestro di Zifu e i suoi amici. Poi sono stato consegnato al nuovo possessore.

Zifu non mi tratta male, anzi, mi spolvera ogni giorno e mi custodisce segretamente. Mi tiene nascosto anche dai suoi amici, con i quali condivide l’appartamento. Otto giovani ragazzi arracampati in pochi metri quadrati. La loro vita è democratica: bisogna vendere per continuare a vivere. Non cambia niente con i venditori qualificati, tranne che in termini di purezza, forse.

Ovviamente Zifu cerca di vendermi (spero in fretta, perché mi sballottola da una parte all’altra, rischiando di ammazzarmi definitivamente); ultimamente ripete che da quando mi ha trovato sta frequentando assiduamente la zona benestante della città. Crede sia un impiego remunerativo. I suoi occhi brillano di speranza; uno sguardo che suggerisce una convinta aspirazione in un futuro migliore. Sono le promesse? Di uomini o di racconti…che hanno promesso molto e mantenuto poco? O sono solo pure, evanescenti illusorie speranze? Difficile capire cosa spinga un uomo a dare una svolta definitiva alla sua vita; cosa lo spinga non a voltare pagina, ma a cambiare libro, riscrivendo una storia in cui, come un pellegrino che ha perso la fede, brancola nel buio e cerca di catturare qualche lucciola.

L’uomo è curioso; curioso è il suo spirito. Quando tutto va a rotoli, a volte non se ne accorge, altre invece sì. Tuttavia continua ciecamente a fidarsi nel prossimo. Si aggrappa a occasioni che sembrano permettere di fuoriuscire dal vortice. Anche se la mia impressione è che, spesso, finga solo.

«Signore, vuole comprare?»

«Proprio al momento giusto! Come ti chiami nero?»

«Zifu…vuole comprare?»

«Zazu certo, certo…devo prendere qualcosa per mio figlio, oggi è il suo compleanno. Ci tengo a non tornare con le mani in mano…cos’hai? È un bambino di…10 anni circa.»

«Ho questi braccialetti qua, 4 euro per bracciale. Guarda qua.»

«Non lo so…mi sembra troppo poco. Hai qualcosa che costa di più? Tipo 10 euro?»

«Certo, Signore…attimo solo…ecco qua! Questo è bello orologio. Ma 15 euro.»

Il mio prezzo è sceso. Forse perché ne è passato di tempo. Sono trascorsi sei anni dalla morte di Christian. Fregato dall’oggetto del mio stesso lavoro…anche se, non credo sia solo il tempo. Diversi graffi corrono lungo il mio viso, una volta di innata trasparenza; il mio giubbotto di pelle è consumato. Ma questo non mi tange, non può tangermi. È un problema più rilevante per gli umani.

«Eh…questo è carino…sì. Sai che ti dico? Ecco a te 15 euro precisi. È sempre bello aiutare un pover’uomo come te.»

«Grazie Signore…»

«Ehi! Perché sei così moscio, nero? Io ho il regalo, tu pure mangi oggi. Non mi dire che è perché ti chiamo nero…ricordati che l’uomo ha inventato le parole per etichettare gli oggetti…»

Zifu si allontanò con un’aria enigmatica e non pienamente soddisfatta, senza lasciar intendere i motivi del suo comportamento. Forse iniziava a prefigurarsi il gioco di prestigio del Maestro quando tornerà col denaro della vendita…oppure, semplicemente, aveva colto un atteggiamento schivo nel cliente, forse di velata discriminazione. Appena allacciato al suo polso, mi slacciò e mi strofinò ripetutamente sul petto. Ebbi l’onore di sentire anche il suo soffio dal retrogusto alcolico sul mio volto, creando un alone sul medesimo volto, che prontamente asciugava sulla maglietta.

Giungemmo in un bar. Altri amici lo attendevano. Tutti sembravano accomunati dalle stesse sorti: volontà di vivere zero; destino infausto; discrepanza tra aspettative e realtà; volontà di cambiare il corso della propria vita, ma la realtà li opprime. Condividevano non solo le sorti, ma anche grandi e larghe e lunghe bevute. Preferivano soffocare in fiumi di birra la loro inettitudine.

Queste, forse, furono le cause del mio passaggio da Mario, il magnanimo per il regalo per il figlio, a un’umile, ma scaltra guardia carceraria. Mario fu arrestato per aver violentato la moglie e i figli una sera di ritorno dal club del luppolo. Fu una scena tremenda, o almeno così l’avrebbe definita un qualsiasi uomo. Condita di schiaffi e urla, fu una serata indimenticabile. Neanche la mia memoria frammentata potrà facilmente rimuovere…

Nonostante il processo, le procedure e tutto il resto non ho mai capito che fine abbiano fatto la moglie e i figli; so solo che quasi tutti i suoi effetti personali furono confiscati. I primi giorni di prigionia rimasi al polso di Mario. Ero con lui nelle notti insonni e in quelle in cui dormiva beato, forse supportato da sogni notturni, capaci di farlo evadere dalla realtà.

Un secondino, un giorno, con orgoglio e disprezzo, mi strappò via da Mario con eleganza, rompendo l’abbottonatura del mio giubbotto e graffiandomi il viso vicino le sbarre di ferro.

Mi consegnò a un collega sui cinquanta d’età: Massimo. Questi, esperto e appassionato di orologi, mi rese nuovo, portandomi quasi alla condizione di bellezza originaria.

Ora vesto un nuovo giubbotto, più scuro di prima;le ferite graffianti sono state sanate; i miei occhi, purtroppo, si stanno spegnendo gradualmente, a causa dell’ “ossidazione chimica”.

Qui, su una bancarella mobile in una grande piazza, io e il mio nuovo transitorio proprietario (un amico d’infanzia di Massimo, al quale lo stesso secondino Massimo doveva un favore) aspettiamo la nostra occasione.

Claudia è una ragazza solare, simpatica e generosa con tutti. Iniziare una giornata col sorriso è un imperativo categorico per lei. Le bastarono le seguenti parole per acquistarmi:“Festina vintage analogico in cinturino di pelle e corona di quarzo. 60 euro!”. Non ha un animo scrutatore, o almeno non l’ha presentato in questa occasione.

Tornata a casa, telefonò un’amica, spiegando di aver sentito una sorta di attrazione verso di me, sin dal primo momento in cui mi vide. Si sentiva come una carica elettrica in un campo gravitazionale, tuttavia non riusciva a decifrare questa suggestiva emozione. Concluse che tale emozione derivava dal piacere di aver trovato il regalo perfetto per il suo fidanzato. Mancano tre giorni al suo ritorno dalla missione militare. Sta attendendo questo momento da due anni.

«…Oggi a scuola è stato estenuante. Ho fatto il compito in due classi. Un’ altra ragazza mi ha fatto penare per una verifica. Meno male che manca poco alla fine.»

«Claudia abbi pazienza…Speriamo che l’anno prossimo riesci a ritornare. Spera, piuttosto, che non ti mandino ancora più lontano.»

«Lo so Elena. Però è scocciante…vabbè, non mi dire niente, ma ho comprato una pizza. Voglio solo sdraiarmi sul letto, mangiare e guardare qualcosa in tv. Nella pace dei sensi.»

«Ti capisco amichetta. Ci sentiamo domani. Baci baci.»

«Bye.»

Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire.

«Registrazione diario personale. Giorno 36. Caro Swinnie, ti avrei raccontato di una giornata normale, ordinaria, classica e snervante per via del lavoro. Ma ho appena realizzato che l’orologio, di cui ti ho già parlato, apparteneva a Christian, il mio ex, di cui tu non hai mai sentito parlare. Ho acceso la televisione e trasmettono Blade Runner, il suo film preferito. Lo avremmo visto insieme almeno dieci volte. Diceva sempre che il finale era poetico: “le parole più belle mai spese nella cinematografia. Orione, i raggi che banelano nel buio, le lacrime perse nella pioggia…”. Mentre sentivo queste parole in TV, ho slacciato l’orologio e l’ho poggiato delicatamente sul comò. Istantaneamente si è figurata nella mia mente l’immagine di Christian. Sono proprio una sciocca. Come ho fatto a non renderme conto prima? Forse inconsciamente il film e i miei occhi sull’orologio hanno contribuito a far riemegergere un sentimento e un ricordo lontani.  L’ho comprato per Leo e indossato tutti questi giorni per la sua promessa di portarmi un orologio vintage dalla frontiera. Ma ora credo che il perché non sia questo. Ho sentito sin dal primo istante in cui l’ho visto una fortissima attrazione. È come se in testa avessi avuto una vocina che mi spingeva ad acquistarlo. Una vocina da un’eco rimbombante e squillante, che attraversava le pareti del mio cuore. Così l’ho preso, legato al mio polso tutti questi giorni, avvertendo un impulso nel mio corpo e confidando nel fatto che tale impulso provenisse dal legame inscindibile con Leo. Ma adesso mi chiedo se sia così, se non mi sia sbagliata. Forse questo vuol dire semplicemente che…basta! Devo essere razionale: non posso provare ancora qualcosa, di bello e di importante, per una persona di otto anni fa. È impossibile. Non ricordo neanche cosa si provasse a stare con lui. Inutile pensarci. Ma quale razionalità? Sono solo una povera… illusa. Non siamo razionali, noi siamo membri della razza umana, e come tali proviamo emozioni, che ci pervadono le vene e come virus attanagliano i nostri polmoni. Leo è uno sbaglio. Christian anche fu uno sbaglio, un mio sbaglio…infelice. La nebbia che offuscava la mia vista e la mia mente me lo portò via, come il vento trascina con sè i baccelli dei denti di leone. Christian sarebbe morto per me, sono convinta che lo avrebbe fatto. Forse è un segno; dovrei cercarlo, dirgli che il nostro amore ha avuto un peso talmente grave nelle nostre vite, da aver disegnato un solco nel mio cuore. Ma chi voglio prendere in giro?:..sono trascorsi otto anni. E c’è chi dice che al cuore non si comanda…»

Osservo una povera ragazza dormire. Chissà che risposta troverà. Temo che non lo saprò mai. La gente ama prendersi a sferzate di indifferenza; l’amore sembra faccia solo soffrire. Ho concluso che esiste una curiosa analogia tra noi e loro: in entrambi si apprezza soprattutto l’apparenza estetizzante; il meccanismo interiore, gli anelli vitali dell’ingranaggio vengono spesso non considerati, mentre sono il vero motore dei sensi. Il perché non è dato sapere, ma avverto che tutto ciò mi ha reso umano, troppo umano. E da umano non posso sopportare. È un segnale paradossale e inequivocabile: questo mondo necessita un supplemento d’anima.