Futuro Remoto, I racconti Futuro remoto

Il sopra e il sotto_Salvatore Tigani

_Le dita nella barba lunga – da quanto tempo non si radeva! Gli occhi piccoli e pesanti, pieni della luce dello schermo. Finalmente aveva compreso il funzionamento della tastiera, al prezzo di calli e dolori articolari, e per un incredibile colpo di genio era riuscito persino a caricare un processore verbale. Il nitido ricordo di una vecchia storia raccontata molto tempo prima dal padre di suo padre, davanti a un fuoco di andarosa, lo guidava ora, passo per passo, nell’utilizzo di quell’antico sistema di condivisione.

Per esempio, il vecchio sottolineava l’importanza di salvare ogni tanto l’elaborato, per scongiurare la perdita del lavoro in caso di blackout elettrico, azionando un bottoncino virtuale a forma di sistema di archiviazione. Aveva impiegato ore a trovarlo, ma adesso lo faceva funzionare con cadenza regolare. Anche se, dopo quattro ore, era riuscito a produrre soltanto un paio di incipit.

LA FINE DEL MONDO È UN POSTO FISICO.

LA BELLEZZA NON AVRÀ MAI FINE

C’era un che di meraviglioso nel pensare con le dita, aveva notato. Il cervello compiva insolite giravolte associative e scatenava riflessioni e immagini di rara potenza evocativa. La consueta scrittura mentale, pensava, al netto della comodità, impediva all’immagine pensata di farsi simbolo universale. Come per i sogni, così splendidi per il sognatore, tanto noiosi per chi se li sente riferire. La tastiera invece sembrava guidare la figurazione attraverso binari di senso archetipici, strutture verbali e sintattiche cosmicamente condivise. Questa, realizzò sollevando di scatto le mani dal dispositivo di input, è una forma prototipica di telepatia!

A furia di estrarre dal sottosuolo quelle che credevamo infinite fonti di energia fossile, cominciò così la sua relazione, sostituimmo al sopra il sotto e al fuori il dentro. I suoli sprofondarono e la terra ci restituì il passato, inghiottendo il futuro. Sui mari di petrolio, letteralmente, si era retto per secoli il presente dei grattacieli e dei giardini pensili. Nessuno però aveva mai avuto l’idea di sostituire al carbone estratto un

riempitivo altrettanto solido, per impedire al vuoto di collassare sotto i nostri piedi. Pazienza, dissero i potenti. Santa pazienza, rinforzarono i potuti. A margine della Storia soltanto gli uomini liberi, pii e illuminati, sorrisero ma con amarezza. Tutto è perfetto, continuarono a dire, persino la fine del mondo.

Chi si aspettava un giudizio, più o meno divino, rimase deluso o, dipendentemente dal curriculum vitae, si sentì sollevato. Chi fino ad allora aveva dormito, stupefatto ed eccitato ringraziò l’universo per averlo risvegliato. Personalmente, mi limitai a notare che persino nella fine del mondo seguitavano a moltiplicarsi le opportunità di ampliamento della coscienza. Constatai per prima cosa che, gli occhi sbarrati al cielo in attesa di disgrazie aeree, bombe atomiche o tachioniche che fossero, avevamo data per scontata la terra. Con la minuscola prima che con la maiuscola. Il mondo venne a mancare da sotto i letti, ingurgitando con il resto gli arsenali dei popoli.

Aveva le mani indurite dai crampi, la tastiera rendeva necessario il ricorso a muscoli e tendini mai utilizzati prima, così decise di fermarsi e, dopo aver salvato il testo per l’ennesima volta, sollevarsi dalla poltrona di pelle animale per sgranchirsi le membra. Si alzò e camminò nella stanza, ancora per metà invasa dei detriti, decidendo che nei giorni a seguire avrebbe chiesto l’intervento di una squadra di archeoperai, per sostenerlo nel recupero di quell’arcaica officina intellettuale. Si sfregò le mani sui pantaloni, risolvendo inoltre di dovere al più presto recuperare una tanica di andarosa e un braciere, per non beccarsi una polmonite. Tossì, sussultando, e aggiunse un paio di appunti mentali, recuperare una maschera filtrante e depurarsi i bronchi presso le terme del Consorzio, l’indomani mattina, dalla polvere di cemento inalata fino a ora. Vide un raggio di luce filtrare attraverso il passaggio scavato nelle rovine, chiese al silenzio se ospitasse un essere umano e attese risposta.

Rose era scesa a portargli da mangiare, la donna più santa del paradiso, una zuppa di pesce e un tocco di pane d’alga. Indossava la mascherina, i capelli legati dietro la testa, gli occhi splendidi e pieni di gioia. Da prima di lui, quella donna conosceva il segreto, glielo aveva insegnato, glielo aveva mostrato. Adagiando il vassoio sulla scrivania si sedeva sulle sue ginocchia e gli metteva le braccia al collo. Nei suoi baci bruciava la speranza, la sua, la loro, la speranza di tutti. Dopo il bacio lunghissimo le chiese di leggere il suo elaborato, “leggilo per me, ad alta voce”. Lei lo lesse, aspettò. “Continua”, chiese infine. “Un po’”, rispose. Allora ti lascio lavorare, potresti aver finito per stanotte? Perché, cosa succede stanotte?Facciamo l’amore. Come tutte le notti. Non come tutte le notti, ogni volta non è più bello?

Mangiò lentamente, un pasto squisito, servito in ciotole di legno come usava secoli fa. Il pane raffermo sapeva ancora di buono. Scostò le stoviglie e scrocchiò le dita, sorrise allo schermo e continuò: non c’è felicità senza condivisione. Lo aveva letto in un libro elettronico, da piccolo. Scrisse inoltre: l’Universo non avrebbe senso senza di noi. Scoprimmo troppo tardi, con i calcoli più complessi, che non sembra aver proprio altro scopo che farsi osservare, il cosmo. L’osservazione è il fine ultimo della creazione. Ecco perché la bellezza non finirà mai.

Sorrise, ma si sentì a disagio. Non aveva il dono dell’affabulazione, indegno nipote di suo nonno, e non sapeva dove sarebbe andato a parare. Non poteva chiudere così. Rilesse i due incipit scritti a caratteri cubitali e decise che, in effetti, non poteva nemmeno aprire a quel modo. La scrittura telepatica aveva i suoi pregi, rifletté, immaginavi un senso e il terminale psichico lo trasformava in immagini metaforiche. La tastiera invece si limitava a informare grammatiche e sollecitare sintassi. Ebbe un’idea, cominciare a scrivere di getto, tentando una grossolana trance artistica: aveva visto fare qualcosa di simile, diversi anni prima, a uno sciamano pittorico del sud del mondo. Dunque chiuse gli occhi e concepì nove respiri consapevoli. Infine scrisse.

La storia è ciclica ma evolutiva. L’uomo impara dai propri sbagli e più grande è l’errore commesso, più straordinaria sarà la lezione appresa. Siamo qui per esperire, siamo qui per imparare. Quindi, siamo qui per fallire. Dal fallimento, sgorga la conoscenza. E non c’è limite al nostro sperimentare: distruggeremo mai un universo infinito? Nemmeno sbagliando infinite volte! La terra che ci sostiene nel vuoto siderale ha già rispedito al mittente migliaia di specie viventi, in un sistema auto conservante, magnificamente efficace. Ogni volta che compiamo il passo più lungo della gamba, Gaia ricolloca le proprie risorse e stravolge ogni geografia. Ci viene proposta, ogni volta, la stessa coppia di opzioni: seguire la corrente o affogare. In entrambi i casi, alla fine, ci aspetta l’Oceano.

La bellezza del cosmo è infinita. In ogni frammento d’esistenza essa si riproduce e moltiplica. La bellezza è nel cibo che ho appena gustato, nel bacio che mi ha emozionato, tra i circuiti antidiluviani di questo artefatto informatico, fra le pieghe del lenzuolo in cui ogni notte, con quanto stupore, facciamo l’amore. La bellezza è Rose, che mi aspetta di sopra e mi aspetta da una vita: l’Universo è in lei e lei è in me. Un passo alla volta verso la nostra natura divina, io lungo il mio cammino, l’umanità lungo il suo, estendiamo la mente e la coscienza, riprendiamo possesso della forma originale. E torniamo presenti a noi stessi e alla Terra, a noi stessi e all’infinita meraviglia da cui proveniamo.

Scrisse velocemente la parola fine, preso da una strana forma di urgenza. Promise a se stesso che il giorno seguente avrebbe imparato a duplicare il testo e trasmetterlo al suo palmare, per condividerlo con la rete mondiale. Si alzò in piedi, guardò il foglio digitale ancora una volta e si stropicciò il viso con le mani. Infine prese il vassoio dal tavolo e corse a vivere.