I racconti del Premio letterario Energheia

Il paradiso di Leonardo. Ovvero… storia di un gesto incompiuto_Massimo Franco Maso, Dolo(VE)

_Menzione Giuria dodicesima edizione Premio Energheia 2006.

Il capanno di Nardo era una gran tentazione per la piccola Emma, meglio delle giostre, delle botteghe di giocattoli, del carretto dei gelati. Ogni pomeriggio, chiusi i quaderni di scuola, sgattaiolava in giardino e prima che la mamma s’accorgesse della mancanza s’infilava, con la destrezza di un gatto selvatico, nel varco della siepe che centinaia di fughe veloci avevano modellato a misura del suo esile corpicino.

Fatti cento metri e superato un cancelletto perennemente aperto il gioco era fatto; la mamma non l’avrebbe mai seguita fin sull’uscio di casa di quel “matto esaltato”. Non bussava; liberava il gancio del saltarello con una molletta da capelli, superava di corsa il corridoio e la cucina per poi lasciarsi alle spalle il battente antimosche della porta che dava sul retro e che conduceva, per l’appunto, al capanno di Nardo… Ogni giorno così, esclusa la domenica.

– Nardo!… Oh, Nardo, ci sei?

– Chi è?… Sei tu Emma?

– E chi vuoi che sia?… Conosci altri che si fidano ad entrare qui?

– Eh?… Ah no, hai ragione…

– Ti sento, ma non ti vedo…

– Sono qui sotto… sotto la mia ultima creazione… Se solo sto’cavolo di bullone si volesse staccare…

– Gesù!… Eccherrobaè?… – chiese Emma spalancando due occhioni da far invidia ad un barbagianni. E c’era di che meravigliarsi! Pareva una macchina volante e forse lo era nelle intenzioni del suo inventore, ma allora cosa ci faceva quel timone da barche piazzato là dietro?… E le eliche! Dov’erano le eliche?… Ma la cosa più strana erano le ali… due gigantesche membrane intelaiate e snodate che davano alla macchina un aspetto sinistro, una sorta di gigantesco pipistrello… “azzurro”.

– Azzurro!… Bello, ma perché azzurro?…

– Perché azzurro?… Boh!… Non saprei, mi è venuto di farlo così… Ecco, ecco… ho preso la molla, se solo riesco a farla passare sot…

… non finì la frase. Prima uno… “SNAPP”, come se qualcuno avesse rilasciato l’elastico teso di una gigantesca fionda, poi uno “ZIPP”, che assomigliava tanto allo scheggiar lontano di un proiettile impazzito, e per finire un allarmante… “TUTTIA TERRA!”.

Emma obbedì prontamente, come se fosse abituata a tutto questo. L’oggetto “impazzito” sibilò nell’aria per qualche istante rimbalzando da una parte all’altra come la pallina di un flipper; terminò la sua corsa indemoniata frantumando l’ultimo pezzo di vetrata sana che illuminava il locale.

Il guaito di un cane in lontananza rassicurò Nardo…

– E’ il cane dei Martinenghi… meno di cento metri da qui; domattina lo vado a recuperare.

Così dicendo sgusciò da sotto la “misteriosa creatura”, tutto unto di grasso e con due dita fasciate.

-“Solo due dita oggi?… Stai migliorando! – commentò sarcastica Emma, che non aveva trovato rifugio migliore della pancia nera di una vecchia stufa da legna.

– Emma! Buon Dio… ha preso fuoco la casa?… Ci sono danni, feriti, contusi?

– Calmati. E’ solo fuliggine, quella della stufa…

– E che ci facevi dentro alla stufa?

– Che ci facevo?… A momenti resto impallinata da un bullone e mi chiedi… Bah, lascia perdere.

Emma s’infilò in una vecchia tuta da meccanico che, in ragione della sua minutezza, era così arrotolata di manica e di gamba da farla parere l’omino della Michelin. I due ricominciarono ad armeggiare con martelli, pinze, molle, chiavi inglesi… il difficile era capire se lavoravano al medesimo intento o se andavano per strade diverse. Alle sette in punto, poco prima di cena, Nardo annunciò a gran voce…

“Collaudooo!”

ed Emma corse a cercare immediato rifugio sotto il banco degli attrezzi. Tutta la borgata alta del paese sapeva che quella era l’ora di mettersi a tavola. Un gorgoglio, un borbottio di pistoni sonnolenti, l’andirivieni di una cinghia sibilante, poi il silenzio… breve, e un botto da far tremare i vetri. Di lì a poco si sarebbe levato un fil di fumo nero e un’imprecazione, puntuale come un orologio. Il primo a farsi strada fra le macerie e la polvere fu proprio Nardo…

– Emma!… Emma!… Tutto apposto?… Fatta male?… Buon Dio, rispondi… I tuoi mi fanno nuovo…

– E sarebbe il minimo!… –, rispose Emma da sotto un mucchio di ciarpame, fra un colpo di tosse e l’altro –  fossi al loro posto ti chiuderei in un manicomio… tu e le tue dannate invenzioni… E io che ti vengo appresso.

Nardo ci restò male per quelle parole e con l’aria mesta andò a sedere in fondo al magazzino, sopra la cassetta degli attrezzi; avvilito chinò il capo e lo chiuse fra le mani, quasi a cercare protezione. Emma si pentì subito e lo raggiunse …

– Eddai!… Dicevo per scherzo. Prima o poi riuscirai a farla navigare la tua barca, ne sono sicura.

– Navigare?… Dovrebbe volare, non navigare!

– Eh?… Vorresti volare con quel “coso” là?!… Oh Signore…

– Ecco, vedi!… Nemmeno tu ci credi…

– Ma sì, sì… ci credo, ci credo… Un giorno volerai… Ma volerai dove?!

… chiese Emma un tantino accigliata. Nardo sollevò il capo a cogliere l’ultimo sole che filtrava dalle vetrate rotte…

– Laggiù… –, disse indicando col braccio teso ad indice

…dove le nuvole incontrano l’orizzonte, rosse di sole… dove il cielo si tinge d’oro, per un solo istante. Un solo, magico istante… Un giorno arriverò a varcare quella soglia dorata… e scoprirò dove vanno a morire i sogni… Se solo riuscissi a mettere a punto il motore di questa macchina…

 

***

Emma non dava credito alle parole di Nardo, forse perché non le capiva, ma s’impegnava egualmente ad aiutarlo perché… perché!… Boh, forse perché quel tizio strampalato gli faceva tenerezza e nonostante l’età avanzata credeva ancora nei sogni. “Borghetto” (…e lo diceva chiaramente il nome) era un paesino nato in fretta e furia, un po’ al di qua e un po’ al di là di un’importante strada che collegava le zone industriali di due grandi città. Una sorta di “dormitorio circondariale” dove la gente non si conosceva e si salutava a malapena… o litigava per una siepe. Borghetto non aveva una piazza, tantomeno un fiume o un ponte che l’attraversasse… solo due lunghe file di case, tutte uguali… la strada davanti, la campagna dimenticata ed incolta dietro. Tutte uguali! Tutte, meno una… quella di Nardo, appunto. Un tempo era un casolare mezzo diroccato, l’unico rimasto in zona, rosso di mattoni cotti, col porticato di travi a vista e i balconi di legno con la lunetta. Nardo lo comprò e ci buttò dentro i risparmi di una vita e la liquidazione di insegnante. Ad Emma piaceva quella casa; non era grande, non era particolarmente bella, né ordinata e razionale, ma era “viva”, “vera”, abitata da una persona “viva”, “vera”.

Leonardo (Nardo) ed Emma… nessuno dei due ricordava bene com’era cominciata quella loro strana amicizia. Lui, Nardo, giunto a Borghetto da chissaddove… due occhialetti bifocali in equilibrio sul naso, panciuto e goffo, un’aureola di capelli impazziti sulla testa e due lunghi baffi a manubrio, bianchi i primi, grigi i secondi… raggiunta la pensione non aveva più contato i giorni a venire. Lei, Emma… quattr’ossa sbucciate da siepi e marciapiedi, dieci anni troppo stretti per i suoi grandi e luminosi occhi; con i suoi si era trasferita a Borghetto alla fine di settembre. Per andare e tornare da scuola, come tutti i bambini, usava la scorciatoia che tagliava per i campi e che fiancheggiava il capanno di Nardo. Di lui, in paese, si dicevano tante cose: che non era “giusto”, che spendesse tempo e soldi nella costruzione di strane macchine “infernali” destinate a scoppiargli fra le mani, che disertasse la santa messa ogni domenica. Il prete, di proprio, si adoperò a convincere tutti che quel vecchio era un “balordo”, un poco di buono, un miscredente… peggio, forse anarchico!… E “cristianamente” suggerì di non lasciarlo avvicinare ai bambini. In verità si sapeva poco o nulla di lui e tutto quel parlare a vanvera aveva sortito un solo effetto: stuzzicare la vivace curiosità di Emma. Accadde una sera di dicembre… tutto quel rumore, quel battere di ferri, quel fumo che uscivano dal capanno… Emma lasciò correre avanti gli altri bambini e, con la scusa d’allacciarsi le scarpe, si fermò proprio a ridosso della siepe di Nardo il quale, giusto in quel momento, tentava di soffocare un principio d’incendio.

A vederlo così, con la tuta fumante e mezzo-bruciacchiata, non gli pareva poi pericoloso come tutti si davano da fare a dipingerlo, anzi… provò tenerezza per quel buffo signore dall’aria malconcia. Si fece coraggio e…

– Buonasera signore… Cos’è successo?… Serve una mano?

Nardo, corrucciato e diffidente, allungò subito gli occhi alla siepe a cercare la fonte di quella vocina squillante e “impertinente”.

– Chi sei?… –, chiese il vecchio, inarcando le bianche sopracciglia – … non ti hanno detto di stare lontano da questo vecchio balordo?

– Oh sì… –, rispose Emma – … ma io non obbedisco mai… E poi non mi sembri così pericoloso come dicono… Sbaglio!

Nardo si avvicino alla bambina con fare burbero…

– Dicono questo di me?…

– Si, questo e tante altre cose, ma io non ci credo… Anche se ti sforzi di fare la voce grossa e gli occhi cattivi!

Il vecchio, così smascherato, cercò di recuperare un minimo di contegno riassestandosi gli occhiali sul naso e forbendosi le mani unte di grasso con una pezza ancor più unta…

– Vuoi davvero aiutarmi?

– Si!… Cosa stai costruendo?

– Una macchina per… Ehm… una macchina!… – rispose lui con l’aria di chi vuol nascondere un segreto.

– E a che ti serve?…

– Per un viaggio… un lungo viaggio…

– Bello!… E dove devi andare?…

– Buon Dio, quante domande fai… Come ti chiami?… Quanti anni hai?

– Emma, signore… mi chiamo Emma!… Faccio dieci anni il sei agosto… Non ci credi?… Sono del settantadue…

Nell’udire quel nome e quella data il vecchio impallidì e sfilò gli occhiali dal naso, infastidito, come se gli impedissero di mettere a fuoco un ricordo.

– Signore… non le piace il mio nome?

– Oh sì, sì… è un bellissimo nome… –, si affrettò a rispondere Nardo con un filo di malinconia negli occhi – conoscevo una giovane donna, molto tempo fa… Si chiamava Emma come te…

– Hai cambiato voce… Le volevi bene?

Nardo, deglutendo vistosamente, lasciò cadere nel vuoto quell’imbarazzante domanda, ma non ignorò le attenzioni della piccola…

– Vuoi davvero aiutarmi a costruire la… macchina?

– Certo!

– E i tuoi!… Cosa diranno i tuoi?

– Non lo sapranno!… M’inventerò una storia, una scusa…

– Cioè una bugia!… Ti pare bello?

– No!… Ma se non le dici ai genitori le bugie… a chi le dici?… A un amico è peggio, non trovi?

… rispose pronta Emma sfoderando un sorriso furbo e disarmante. Nardo sospirò…

– Amico!… Mi metterai nei guai tu… Hai detto che ti chiami Emma, vero?… Ti aspetto domani pomeriggio… Dopo i compiti, intesi?… E non chiamarmi ‘signore’… mi chiamo Leonardo… per gli amici Nardo.

– Intesi!… Nardo.

… e prese la via di casa.

 

***

 

Tutto era cominciato così. Da allora, ogni giorno… domenica esclusa, Emma si recava da Leonardo, ovviamente dopo aver finito i compiti. Insieme, il vecchio e la bambina, si davano ad armeggiare attorno alla macchina del momento. Già, del momento!… Perché succedeva puntualmente che questa se ne andasse in fumo sul punto di collaudarla. Un botto, i vetri rotti, qualche fiammella, i pompieri, le denuncie dei vicini, un giorno o due di pausa… e via con una nuova macchina. Certe amicizie non hanno radici… e questa, men che meno. Emma s’avvide che Leonardo, nel chiamarla, spesso scivolava in falsetto, come se nel pronunciare quel nome un boccone gli si fermasse in gola…

– Perché ti trema la voce quando mi chiami?

– Dici?… Non mi pare! –, cercava di minimizzare Nardo, ma le orecchie cominciavano a prendere colore…

– Un giorno mi dirai chi era Emma?…

… incalzava la bambina dopo qualche istante di silenzio, ma Nardo si ostinava ad eludere quella domanda, anche se in cuor suo sapeva che prima o poi avrebbe dovuto soddisfare la curiosità della piccola. Il momento propizio arrivò un pomeriggio d’aprile. Dopo un mese buono di faticoso lavoro Leonardo si scostò dalla nuova macchina quel tanto da poterla contemplare in tutta la sua magnifica… “stranezza”… No! Qualcosa non girava giusto….

– Cosa c’è che non va Nardo?… Mi pare bene! Il motore macina che è un piacere, non sputa olio… Sì, Vabbe’… con le ali fucsia è un po’ ridicola, ma non è ancora esplosa!

– Uhmmm… non so!… Non mi convince –, rispose Nardo grattandosi il capo e con un occhio socchiuso come se dovesse prendere la mira – “Facciamo una pausa… poi rivediamo le bozze… i calcoli di portanza…

… ed entrò in casa. Quando uscì teneva in mano un sacchettino di carta che porse subito ad Emma…

– Vuoi?… Li ho comprati stamattina per te.

– Uohuuu… –, esordì Emma dopo averci infilato il naso dentro – … cremini! Buoni. Vado matta per i cremini io…

– Lo so. Ti piacciono i cremini, il mare, le magliette color pastello… i gatti…

Nardo si morse subito le labbra, ma era troppo tardi… la lingua era scivolata via più veloce del pensiero. Emma sgranò i suoi occhioni meravigliosi e richiuse il sacchetto di carta, quasi avesse paura di far scappare una “magia”…

– Come lo sai che mi piacciono i gatti?… E i cremini e il mare… Non ti ho mai detto nulla di tutto questo…

Leonardo si chinò faticosamente sulle ginocchia e porse la mano ad Emma, quasi un invito…

– So tante cose di te… Cose che nemmeno tu sai ancora, cose che non ricordi perché sono ancora da venire… e cose che hai dimenticato perché sono già state… Oh… come posso… E’ così difficile!… Ti fidi di me?

…chiese con tutta la dolcezza di cui era capace. La piccola si limitò ad annuire col capo, poggiò la mano sopra quella del vecchio e se la lasciò stringere lievemente… Non chiuse gli occhi, nemmeno per un istante, eppure… eppure quando sciolse la stretta la notte era già scesa e le stelle lumeggiavano nel cielo. Si guardò attorno, smarrita, fino ad incontrare gli occhi rassicuranti di Leonardo. I due si fissarono a lungo, in silenzio… un silenzio denso di ricordi, di immagini scivolate via troppo rapidamente… denso di sensazioni, di emozioni vissute da altri…

– E’ strano Nardo… ricordo il sole… C’era il sole, prima!… Non sto male, ma mi sento il cuore pesante, di pianto… ma non ho pianto e… e perché ho l’impressione di conoscerti da sempre?…

– Non è nulla piccola… Torna a casa, è tardi… I tuoi ti staranno cercando.

… la tranquillizzò il vecchio carezzandole il volto con tanta e tale leggerezza che alla bimba venne la pelle d’oca. Quella notte Leonardo non dormì e non dormì neppure Emma. Il giorno dopo, puntualmente, i due si ritrovarono a lavorare attorno alla “macchina volante”, ma nessuno osò far parola di quanto era accaduto poche ore addietro, entrambi consapevoli di custodire un segreto che nessuna domanda e nessuna risposta avrebbero mai esaurito soddisfacentemente. “Botto” dopo “botto” le presunte macchine volanti di Leonardo segnavano il passare dei giorni, dei mesi, delle stagioni… del tempo.

Quel che non gli era riuscito di fare da solo, si concretizzò grazie alla costante presenza di Emma; mica roba da poco… una petizione di “allontanamento” per motivi di “pubblica sicurezza” firmata da tutto il paese, uno stato di “dichiarata calamità naturale” emanato dal Sindaco in occasione di un “botto” particolarmente fragoroso, la “visita occasionale” di un esorcista su esplicito richiamo del Parroco… A rimettere le cose a posto ci pensava Emma che sapeva come intercedere presso il maresciallo dei Carabinieri di Borghetto, da tutti temuto per la sua severità, ma che non sapeva reggere lo sguardo di quei due grandi, luminosi occhioni. Ci vollero sei anni e le ostentate esibizioni in motorino di un “ribelle ciuffo rosso” perché si ritornasse a parlare di quel lontano pomeriggio di aprile…

– Che ti succede Emma?… Ti chiedo una chiave a brugola da “sei” e mi passi una stellare da “otto”… Non è da te. Che

ti frulla dentro a quei ricci?

– Eh?… No, nulla… Sciocchezze…

– Sciocchezze!… E lo dici con quel tono?… Allora sono affari di cuore.

– E tu che ne sai?… Eppoi non è vero… e con la testa ci sto’ perfettamente.

– Dici!?… Allora perché continui a svitare le viti che io ho appena avvitato?…

Emma arrossì e buttando lontano il cacciavite si sedette sconsolata in un angolo del capanno. Era certa che Leonardo l’avrebbe raggiunta “costringendola” a confessare quello che avrebbe comunque confessato, solo con un po’ più di tempo.

Così accadde.

– Allora!… Chi è?… Forse quel “ciuffo rosso” che in sella a quel “coso” a due ruote sta dilapidando il patrimonio di sei generazioni in benzina?

– Difficile tenerti nascosta la verità…

– Beh… dovresti saperlo… Io ti conosco da sempre…

– Pfuuu… Vabbe’! Si chiama Marco, è un amico, un buon amico… ma a volte credo di volergli bene più del lecito…

– Più del lecito!… Cosa vuol dire?

…chiese Nardo col tono di chi conosce già le risposte.

– Voglio dire che… Voglio dire che a volte ho l’impressioneche la sua amicizia vada ben oltre il solo affetto… Certo! Anch’io gli voglio bene ma…

– So cosa vuoi dire… Non voglio sapere altro. Accetta solo un consiglio… Non dare regole e misure a ciò che per natura non ha regole e misure, ma soprattutto… non lasciare gesti incompiuti.

– Non capisco… Che cosa vuoi dirmi?… Non ho lasciato nulla d’incompiuto… ch’io ricordi.

– Lo farai…” – sentenziò Nardo distogliendo gli occhi dalla ragazza.

– Farò cosa?… E’ forse qualcosa che ha a che fare con una certa Emma?… Eddai… prima o poi dovrai pure liberarti di

quel segreto… Ai genitori si riservano le bugie, agli amici i segreti… l’ho imparato da te, lavorando con te…

Nardo era stanco di fuggire la curiosità della giovane e tutto sommato si sentiva lusingato per quelle parole d’attenzione.

Tirò un lungo sospiro per prendere un po’ di tempo e nel farlo gli capitò di guardare Emma con occhi diversi dal solito… era cresciuta e la tuta, un tempo enorme, non aveva più i risvolti; pensò che adesso, forse, avrebbe compreso.

– Vedi… ” – cominciò timidamente – “… a volte pare che la vita si prenda gioco di noi, magari offrendoci un affetto cercato, desiderato… sognato da sempre, al momento sbagliato… In realtà quell’affetto ci è donato, magicamente, nel momento in cui abbiamo il “cuore giusto” per viverlo, ma sta a noi il coraggio di viverlo… nessuno potrà dirti come… lo capirai sulla tua pelle… diversamente sarà un gesto incompiuto… e i gesti incompiuti sono sogni destinati a morire dentro di te, rimpianti che segneranno giorno per giorno la tua vita. I gesti incompiuti, il più delle volte… sono cose da poco, minute, leggere… ma sono battiti che togli al cuore, sono colore che togli agli occhi… sono ali che togli all’anima… e un pezzo della tua vita, quello più importante, si perderà nel tempo…silenziosamente.

– … ed Emma?… E’ un gesto incompiuto?… – ,suggerì la ragazza con un fil di voce…

– Ohhh si… il mio piccolo, grande gesto incompiuto… nel momento in cui avevo il “cuore giusto… ma non ho trovato il coraggio di viverlo.

Nardo intristì e due sottili fili di cristallo gli solcarono il viso rugoso. Allora Emma accolse le mani del vecchio fra le sue, affettuosamente, sì da incoraggiarlo a continuare…

– Le volevi bene?…

– Di più… molto di più!

– Allora l’amavi?… –, insistette Emma.

Nardo sorrise con un filo d’amarezza e rispose…

– Ricorda: non dare forma a ciò che non ha forma… Non dare regola a ciò che per natura non ha regola… Non è così semplice… Vi sono luoghi dove il cuore e la pelle non hanno più distinzione… dove il silenzio è voce…

– Luoghi?…  –, ripetè perplessa Emma.

– Luoghi, sì… Luoghi della memoria. Quello che proviamo per una persona può essere così straordinariamente unico che le parole non bastano più e il cuore c’induce a disegnare luoghi… -, chiuse gli occhi e continuò. – Il ricordo che ho di lei è così forte da disegnarsi nella mia memoria come un luogo silenzioso… una manciata di papaveri buttati nella lontananza di un campo di grano dorato… un mare ondeggiante sotto la sferza del vento che scioglie il volo dei petali rossi… nell’azzurra serenità del cielo luminoso di sole… E’ il luogo che vedo nei miei sogni… e il “luogo” che da sempre lenisce la mia sofferenza. Forse quel “luogo” è il mio paradiso quando… Beh, quando sarà la mia ora. Ti sei mai chiesta cos’è veramente il paradiso?… Io si, tante volte. Se il paradiso esiste, per me, è quel luogo della memoria.

– Cosa… cosa non hai fatto?…

– Accadde proprio qui, a Borghetto… Ricordo solo la fine di una giornata trascorsa sotto il sole tiepido di febbraio, le mie e le sue tracce sulla neve azzurra del tramonto… poi un viaggio nella notte, consumato sulle ali della dolcezza, troppo breve. Desideravo donarle un gesto, un gesto e nulla di più… per sempre. Le chiesi di chiudere gli occhi, di serrare le labbra…

– Lo fece?…

– Sì… lo fece, nonostante tutto. Temevo che il mio taciuto amore la potesse ferire… Sì, pur sapendo lo fece… ma io non poggiai le mie labbra sulle sue… le toccai timidamente con un dito… solo questo. Un sorriso, una carezza, una lacrima, un silenzio… un offeso addio… non saprò mai cos’ho lasciato laggiù, in quel tempo. Ho avuto paura di vivere quel gesto proprio quando avevo il “cuore giusto” per farlo… Questo… il mio gesto incompiuto, il mio rimpianto. Ho spezzato il tempo e qualcosa di me è restato laggiù… dove vanno a morire i sogni…

…concluse Nardo allungando il braccio alle nubi dorate che scortavano il tramonto di un melanconico sole. Quante volte Emma gliel’aveva visto fare senza mai capire perché…

Quella macchina e quel luogo esistevano solo nella sua testa, ma gli parve crudele privare quel povero vecchio di una così sofferta e dolce illusione e l’assecondò, teneramente…

– E questa macchina volante dovrebbe condurti laggiù… non è vero?…

Nardo non rispose. Ruppe un singhiozzo e stringendo a se la giovane sussurrò…

– Sì… anche se non so con quali ali… Non lasciare gesti incompiuti; non importa se valgono poco o nulla, per sempre o per un addio… non lasciare gesti incompiuti…

… e su quelle parole si spense il giorno.

 

***

 

Il trenta di giugno la scuola finiva. Quel pomeriggio Emma arrivò di corsa al capanno. Il “gabbiano”, l’ultima creazione di Nardo e l’unica ad essere stata battezzata, pareva essere quella buona; due giorni prima, con la caldaia a mezza pressione, la macchina si era levata da terra di almeno un metro, ma occorreva lavorare ancora sul volano di destra, quello che azionava lo snodo dell’ala e ne stimava la battuta…

– Nardo!… Oh, Nardo… dove sei? –. chiese Emma infilandosi in fretta e furia nella tuta da meccanico – … Mi sono persa qualcosa?

– Qui sotto…mi manca poco, sai!… Giusto un paio di giri di vite. Sei in ritardo oggi… ho già buttato in pressione i compensatori… Comunque non ti sei persa nulla.

– Che dici Nardo?… Scommetti che stavolta si alza?

– Eccome no!… Senti come lavorano i pistoni… vanno che è una meraviglia!

– Sì, sì… me la sento che stavolta vola.

Giusto in quel momento Nardo si sfilò da sotto la pancia del “gabbiano”…

– Merito tuo. Sei diventata un meccanico come ce ne sono pochi… A proposito, chiudi pure la valvola di flusso, il manometro ha passato i venti…

– La valvola? –, rimbeccò Emma un tantino perplessa.

Io non ho aperto nessuna valvola…

– Ma si, dai… quella… quella… Misericordia!… Come sarebbe a dire che non hai aperto nessuna valvola?!…

Nardo non ebbe il tempo di gridare il consueto… “COLLAUDO!”

… il botto fu davvero terribile questa volta. Ai pompieri restò ben poco da spegnere e i vetri rotti non si contavano per un raggio di almeno cinquecento metri. Diversamente da tante altre volte, però, non c’era Emma a rimettere le cose a posto intercedendo presso il maresciallo dei Carabinieri di Borghetto… La giovane giaceva su un letto d’ospedale con un paio di costole ammaccate e la testa vistosamente fasciata. Il Sindaco, per garantire l’incolumità di tutto il paese, ordinò che il capanno di Nardo fosse sigillato e gli attrezzi sequestrati… ma il peggio doveva ancora venire. I genitori di Emma, che non aspettavano altro, ottennero che s’impedisse al vecchio di vedere e frequentare la figlia. Così fu. Al povero Nardo, avvilito, pieno di rimorsi… e con un braccio ingessato, fu vietato l’accesso in ospedale e una solerte infermiera, ligia alle consegne ricevute, si premurò di buttare nel bidone dell’immondizia i fiori che lui ogni giorno, immancabilmente, dedicava alla giovane amica. Alla ragazza non furono nemmeno consegnati i bigliettini che il vecchio scriveva, con mano tremante, nel tentativo di scusarsi per l’accaduto e per avere qualche notizia sul suo stato di salute. Il ricovero, la convalescenza, i consigli di parenti e amici, gl’innumerevoli “te l’avevo detto!”… La lontananza spezzò la sottile magia che nutriva quell’amicizia senza radici. Giorno dopo giorno venne meno il ricordo delle parole, delle emozioni, della complicità, il sapore di un’illusione… ed Emma cominciò a vedere il vecchio Leonardo con gli occhi grigi e spenti della brava gente di Borghetto… perché i sogni, da svegli, non hanno più colore. Emma, dal canto suo, si convinse – o fu convinta – che “sognare ad occhi aperti” non portava nulla di buono, che la vita era fatta di cose “vere”, “tangibili”, che guardare avanti e cancellare il passato era il modo migliore per crescere e non soffrire; così che non passava giorno senza che il cassonetto dell’immondizia dei Martini non si riempisse di vecchi giocattoli, peluche, bambole, fumetti, album di foto, vestiti… e poi la vecchia tuta da meccanico e le filastrocche che Nardo, di tanto in tanto, le dedicava in cambio di un sorriso o di un fiore di campo… di un papavero. Un po’ per volta in quel cassonetto ci vuotò dentro tutta una vita.

Il tempo trascorse e coprì d’edera il capanno di Nardo, di muschio la casa… e di polvere ogni ricordo. In paese non si parlava più di quel vecchio balordo che segnava l’ora del desinare serale con i suoi botti, ma molti, discorrendo in privato, lamentavano noia e monotonia e, scivolando con mezze parole, manifestavano una certa nostalgia. Il sindaco, venuto meno uno dei “punti focali” del suo programma elettorale, era tornato a “far le punte alle matite”; il parroco, per suo, non avendo più “crociate” da guidare faceva “mea-culpa” per le messe disertate. I pompieri cominciavano a mettere su pancia e i Carabinieri tornarono malvolentieri ad occuparsi di “beghe” di famiglia e “liti di confine” per mezzo metro di terra contesa.

Nel bene e nel male – più nel male che nel bene – tutti avevano un vago ricordo di quel “vecchio balordo”, ma dato il suo carattere schivo e solitario nessuno poteva affermare d’averlo conosciuto, così che qualcuno, tanto per movimentare le serate al bar, coglieva l’interesse dei più annunciando di averlo incontrato, canuto e magro come la fame, in questo o in quel posto. Altri, invece, lo ricordavano aggirarsi con fare sospetto nei pressi nel cimitero, barbuto e pesante, con il cappellaccio nero e gli occhi da demonio. A dar pace alla memoria di quel pover’uomo ci pensò un “ribelle ciuffo rosso”…

– Io l’ho visto molte volte nei pressi dei Martini…

– esordì con la distaccata fermezza di chi conosce la verità

… l’ho visto frugare, cercare cose vecchie dentro al cassonetto dell’immondizia, poco dopo il tramonto… i baffi e i pochi capelli bianchi, nulla di più.

La storia con Marco, il “ribelle ciuffo rosso”, non ebbe seguito, si spense all’ombra di quegli avvenimenti, soffocata dal rimorso di un bacio mai osato. Negli anni a seguire la vita riservò comunque grandi cose alla giovane Emma: la scuola, l’università, il lavoro che la condusse a visitare terre lontane; una famiglia no. Quel “ribelle ciuffo rosso” continuò silenziosamente ad occupare il cuore della giovane in un modo che ella, per quanti sforzi facesse, non seppe mai stimare.

 

***

 

La polvere copre il passato, ma non lo cancella. Ad Emma andò di traverso la colazione nel leggere quell’avviso stampato sulla Gazzetta…

“Asta pubblica per la vendita di rustico da ristrutturare, sito in vicolo Ario, al n° 13, località Borghetto”

… Al n° 13 ci abitava Nardo! Improvvisamente quel nome spazzò via dieci anni di polvere. Non finì nemmeno il caffè.

Corse in municipio per avere notizie di quella vendita; venne a sapere che il vecchio, dopo “l’incidente del Gabbiano”, aveva abitato la casa ancora per qualche tempo, poi era scomparso… svanito nel nulla. Nardo non aveva parenti, così il Sindaco, trascorsi dieci anni, dichiarò il casolare proprietà comunale; cedendola al migliore offerente avrebbe realizzato qualcosa per sanare il bilancio. Emma non sopportava l’idea che la casa finisse nelle mani di qualche imprenditore senza scrupoli che l’avrebbe sicuramente abbattuta. Pensò che fosse l’occasione buona per staccarsi dalla famiglia e, sull’onda di un impulso emotivo, l’acquistò. Fu in occasione del rogito notarile che Emma, con non poco stupore, scoprì che “Leonardo” era solo un soprannome, affibbiatogli in ragione delle sue strane invenzioni volanti; il suo vero nome era… Marco! Si trasferì subito in quella casa, nonostante la contrarietà della madre. Non era poi messa così male; inizialmente chiese consigli, pareri, stime, preventivi, ma alla fine si decise a lasciarla così come l’aveva trovata, quasi avesse il timore di macchiarsi di uno spregio. Non toccò nemmeno i ritratti fotografi ci che tappezzavano le stanze al piano superiore. Lassù non era mai salita.

Decine e decine di fotografi e color seppia che suscitarono una certa inquietudine nell’animo suo. Giovane, senza baffi, con i capelli a spazzola e già bianchi… Leonardo era comunque riconoscibile, ma sempre e comunque triste, accigliato; quelle foto erano intrise di una pesante malinconia e davano la sensazione di essere… incomplete, come se mancasse qualcosa.

Vivere in quella casa, fra le mura ingiallite dal tempo era come scavare nel passato di una seconda vita, di un’esistenza mai vissuta e respirare emozioni e sensazioni appartenute ad altri.

Non occupò la stanza da letto perché gli parve d’abusare di un ospitalità immeritata. Più modestamente, in attesa di prendere confidenza con la casa, s’accontentò di sistemare un lettino nel soggiorno, fra il sofà e la libreria.

– Quanti libri…

         … commentò sottovoce. Poi, rigirando fra le mani un vecchio testo che descriveva le macchine volanti di Leonardo da Vinci, sorrise amaramente…

– Uhm… per nulla ti chiamavano Leonardo…

Lentamente i ricordi emersero, luminosi, graffi anti ed Emma trattenne a stento le lacrime. Ripensò a quei giorni lontani, alla serenità di un sogno, alla dolcezza di un segreto confidato a lei sola e sentì forte il desiderio di riviverli, ma non aveva conservato nulla delle vecchie cose d’allora, aveva buttato tutto… Gli sarebbe bastato strofinare fra le mani quella vecchia tuta da meccanico unta di olio e odorosa di vernice… di spensieratezza. Nonostante l’ora tarda si dette a sfogliare altri libri, quelli degli scaffali più bassi. Uno di questi, al solo aprirlo, lasciò cadere a terra un foglietto di carta vergata, probabilmente usato a mo’ di segnalibro. Emma lo raccolse, lo spiegò e lesse…

– Dedicata ad Emma…

Era una filastrocca, che parlava di… “Emma” e dei gatti.

Continuò a leggere e commentò…

– Doveva esserti costato davvero tanto quel “gesto incompiuto”

Si accigliò allorché gli occhi scivolarono in fondo al foglio…

– Addì, sei agosto millenovecento…! Che strana coincidenza… ha scritto queste righe proprio il giorno in cui sono nata…

Richiuse il libro e lo ripose nello scaffale; ne prese un secondo, lo aprì e vi trovò, sempre a mo’ di segnalibro, una poesiola… In ogni libro c’era un foglietto vergato… poesie, filastrocche, novelle; tutte dedicate ad Emma… tutte con la stessa data! Giusto allora rammentò le parole di “Nardo”… tanti piccoli tasselli di un puzzle misterioso…

–         … Ho spezzato il tempo e qualcosa di me è restato laggiù…

–         … So tante cose di te… Cose che nemmeno tu sai ancora, cose che non ricordi perché sono ancora da venire… e cose che hai dimenticato perché sono già state…

Sentì il bisogno di abbandonare la realtà, di ricominciare a vedere e a sentire il mondo con gli occhi e la pelle di “Nardo”.

Spense il lume e immaginando una spiaggia deserta si allungò sul letto, con le mani alla nuca e gli occhi al soffitto, abbandonandosi alla risacca dei ricordi. Gonfiando le tende come vele il soffio leggero della brezza primaverile diffondeva nella stanza la luce azzurra di una magica, fredda luna. Emma e Marco… ancora Emma e Marco…Due nomi ricorrenti, due storie distinte e simili… acque diverse che confluivano nello stesso mare. “Quale misterioso legame unisce nel tempo tutto questo?…” …pensava Emma… e il sonno la colse…

 

***

 

… Un sonno leggero, cullato dal vento, addolcito da un sogno vivo di colori e di odori… di voci…

– Emma!… Emma!… Allora, Emma… vogliamo far volare sto’ “coso” o no?…

… ed Emma spalancò gli occhi. No, quella voce non era un sogno! Si alzò e corse alla finestra. Fuori il sole caldo d’aprile illuminava un cielo così azzurro ed intenso da parere finto.

Anche la casa non era più la stessa; l’edera!… Dov’era finita l’edera che fino a ieri tappezzava i mattoni del portico?…

Pian piano gli occhi si abituarono a quella luce intensa e le fu possibile guardare oltre il cortile. Impallidì… Davanti al capanno, ritto come un granatiere e con le mani ai fianchi a mo’ di teiera, stava “Nardo”, uguale a quando l’aveva conosciuto, con i suoi baffi austeri e gli occhialini sul naso. Alle sue spalle una grande, superba “macchina volante” dalle lunghe ali a gabbiano di cuoio rosso, lucente di rame, ottone e cromo…

– Allora!… Cosa ne pensi?… Non è bella?

… chiese il vecchio con fare orgoglioso. Emma superò a fatica l’iniziale smarrimento. Di certo non era un sogno… ma era tutto così, così…

–         Strano! –, l’anticipò Nardo che pareva leggere nel pensiero

Non temere Emma… Va’ tutto bene. Dai, scendi… dobbiamo partire.

– Partire!… Partire per dove?

…chiese la ragazza sgranando gli occhi. Ma Nardo era troppo impegnato a mettere a punto i motori per rispondere.

Tornò verso il letto e con grande stupore vi trovò la vecchia tuta da meccanico, piegata, ma unta come sempre; eppure ricordava bene d’averla buttata via, nell’immondizia. Sembrava che il tempo, nello spazio di una notte, avesse camminato all’indietro. Rinunciò ai perché e ai percome… e s’infilò nella vecchia tuta con la stessa gioia e lo stesso entusiasmo di una ragazzina. Scese le scale a rotta di collo e raggiunse Nardo e la sua macchina…

– Gesù!… –, commentò meravigliata – … E’ semplicemente splendida… “Icaro”… anche il nome mi piace. Ma dov’eri fi nito?… La gente diceva che…

– Ohhh… la gente dice tante cose. – L’interruppe Nardo.

… e crede… e vede quello che vuole credere e vedere.

Emma l’abbracciò…

– Mi sei mancato. Mi sono mancati i tuoi sogni, le tue macchine… A proposito! Come funziona questa?… Le eliche girano, ma non sento il rumore del motore, non vedo fumo…

– Beh, vedi… ero stanco di “botti” ed ustioni. Questo è un motore speciale. Ho trovato le “ali giuste”… Su, forza… apri il cofano.

Emma obbedì e poco mancò che svenisse. Dentro al cofano non c’era nessun motore, solo un’infinità di cianfrusaglie…

– Ma questa… questa è la mia bambola di pezza! –, esclamò – … e il gatto di peluche… la collana di perline blù… Qui dentro c’è tutta la mia vita! Allora è vero… frugavi veramente nel nostro cassonetto. Possibile che questa roba possa…

– Far volare la macchina?… Si!… Per arrivare laggiù, dove vanno a morire i sogni, occorrevano altri sogni…

– spiegò Nardo puntando il dito verso l’orizzonte – …Purtroppo l’ho capito troppo tardi, proprio quando tu hai cominciato a non crederci più. Ma sapevo di conoscerti bene; sapevo che saresti tornata a cercare i tuoi ricordi. Ho solo dovuto aspettare un po’…

In quel momento la calda luce del tramonto vestì di bronzo ogni cosa ed Emma intristì…

– Guarda Nardo… Le nubi… Com’è che dicevi?… Ah già… scortano il sole nella terra dei sogni. Dobbiamo partire subito… Hai un appuntamento da rispettare, no!

Il vecchio fece solo un cenno col capo e la invitò a salire e a prendere il governo della macchina. “Icaro” era docile e rispondeva bene ai comandi, così che in men che non si dica, senza il minimo strappo, Emma e Nardo erano già alti sul paese. Il grande uccello rosso, raggiunto il punto dove soffi ano i venti freddi, virò bruscamente e battendo maestosamente le ali librò il suo unico effimero volo. Inseguì l’orizzonte, incontro al tramonto, fino a tuffarsi come un falco dentro ad un’immensa nube dorata dove tutto era silenzio. “Icaro” scivolò lento e solenne fra migliaia di immagini, di situazioni, di personaggi immobili e trasparenti come figurini di vetro… migliaia di fotogrammi “tagliati”, migliaia di pensieri colti da un lampo di luce… destinati a fluttuare perennemente nella foschia ovattata di quel “nulla”…

– E’ questo il luogo dove vanno a morire i nostri sogni?…

… chiese timidamente Emma.

– Si, credo di sì …

… rispose Nardo emozionantissimo. In quel preciso momento le grandi ali rosse di Icaro cessarono di battere e si allungarono in un volo teso e circolare sempre più stretto di spira in spira. La macchina poggiò la grande pancia di rame sul prato azzurro e molle della nube, giusto a pochi passi da una “bolla di tempo”… A ridosso d’un portico, nella notte illuminata dalle lampade, una ragazza dai capelli crespi volgeva le spalle, immobile…

– E’… e’ lei?… –, osò Emma con voce incerta…

– Si… Ho ritrovato il mio gesto incompiuto.

– E’ strano… –, borbottò la giovane – … ho l’impressione di conoscere quella donna. Non so… Se solo si voltasse! C’è qualcosa di familiare in lei.

– Dici!… Devo andare. Non temere… Icaro ti ricondurrà a casa.

… disse Nardo con la voce rotta di chi soffoca il pianto in gola. Baciò la giovane sulla fronte e scese dalla macchina incontro alla figura.

– Leonardo… Marco!… Ne valeva la pena? – Gridò Emma prima che il vecchio si dileguasse nella grande bolla.

– Non lo so… è solo qualcosa che dovevo fare… Se ne è valsa la pena lo saprai presto. – Rispose il vecchio con un radioso sorriso, poi aggiunse: – Non lasciare gesti incompiuti… mia dolce amica…

La bolla lo inghiottì e si richiuse vibrando come l’acqua ravvivata da un sasso. Le figure si fecero sempre più torbide ed Emma riuscì solo a cogliere l’istante in cui un Leonardo giovane e sbarbato prendeva la mano della misteriosa donna e… nulla più. Le grandi ali rosse di Icaro spiccarono subito il volo, un vertiginoso volo attraverso l’oro delle nubi, fino a sbucare nel cielo stellato della notte. Qui, similmente ad un vascello antico, la macchina riprese la sua lenta e maestosa andatura. Nella fredda solitudine del cielo Emma, ormai incapace di distinguere il sogno dalla realtà, cercò di rimettere ordine nei suoi ricordi, forse nel tentativo di trovare un “gesto incompiuto”. Poco prima dell’alba, triste come mai, dedicò un pensiero al suo vecchio amico…

– Ne è valsa la pena… mio buon Leonardo?…

Fu come aver pronunciato una formula magica… Il nuovo giorno dissolse ogni ombra ed Icaro prese a volteggiare come un gabbiano impazzito, sempre più veloce, fino a picchiare vorticosamente verso la terra. Emma chiuse gli occhi per la forte emozione. Quando li riaprì la macchina non c’era più… svanita alla luce del sole, proprio come un sogno. A volare adesso, era proprio lei. Sorvolò fiumi, ponti, boschi, città…

Di che si sarebbe mai dovuta meravigliare?… Ormai era preparata a tutto. A tutto, meno che volare sopra quel magico “luogo”…

“.…una manciata di papaveri buttati nella lontananza di un campo di grano dorato… un mare ondeggiante sotto la sferza del vento che scioglie il volo dei petali rossi… nell’azzurra serenità del cielo luminoso di sole…”

Allora prese a volare più forte. Volava, piangeva, poi rideva… rideva e gridava…

– Sììì… Ne è valsa la pena Leonardo!… Il tuo gesto è compiuto… Ne è valsa la pena davvero. Se è il paradiso che cercavi… l’hai trovato!… L’hai trovato!

Volteggiò sopra quel luogo infinite volte, col cuore in gola, fino a chiudere gli occhi per la stanchezza… finché i rumori divennero echi e i colori sfumarono come acquerelli e tutto… tutto perse forma e contorno…

 

***

 

– Che strano, stranissimo sogno ho fatto… –, borbottò Emma poggiando i piedi sulla pietra fredda – … Nardo, la sua macchina volante… quel luogo… eppure pareva tutto così vero.

Consumò la colazione distrattamente, col pensiero alle immagine sognate, poi uscì. Con un certo sollievo notò che l’edera continuava a rivestire i muri della casa e del vecchio capanno diroccato e si convinse d’averle solo sognate quelle cose. In casa di lavori da fare ce n’erano parecchi ed Emma non conosceva migliore sistema per tenere lontani i pensieri.

Riassettò per primo il piano terra; spolverò, lavò la pietra d’Istria, lucidò mobili e legni… ma niente da fare, per quanti sforzi facesse non riusciva a scrollarsi di dosso i colori di quello strano sogno. Data l’ora – l’una era già passata da un bel pezzo – decise di prendersi una pausa, magari lasciandosi cullare dalla vecchia sedia a dondolo che troneggiava nella stanza di Nardo. Nel salire le scale ebbe la sensazione di penetrare la silenziosa sostanza dei pensieri e le parve di respirare aria diversa, già respirata, già vissuta. Istintivamente, fiancheggiando la parete che delimitava il soppalco, buttò l’occhio ai ritratti fotografi ci e si meravigliò nel costatare che questi avevano perso tutto quel grigiore che fino a ieri velava i volti e le espressioni. Leonardo appariva sorridente, sereno, appagato; le foto non erano più intrise di malinconia e davano la sensazione di essere… complete. Qualcosa era sicuramente successo la notte scorsa, pensò Emma, e ridiscese rapidamente le scale inseguendo istintivamente un presentimento. Raggiunse la libreria e, scorrendo con l’indice i dorsi dei volumi, sfilò dagli scaffali gli stessi libri che aveva sfogliato la sera prima.

Li aprì uno dopo l’altro e sentì il bisogno di sedersi, di ritrovare un tempo e uno spazio che le stavano sfuggendo di mano. I foglietti con le poesie e le filastrocche non c’erano più, al loro posto decine e decine di fiori seccati con grande cura; fiordalisi, ranuncoli, occhioline… ma soprattutto papaveri, un’infinità di papaveri, i fiori che crescono fra il grano… L’ultimo libro, nell’angolo dello scaffale più alto, non racchiudeva un fiore di campo, bensì una rosa rossa e poche righe a lei dedicate e scritte… nel giorno della sua nascita…

“Quel che so di te, mia ritrovata amica,

si perde in un tempo ancora da venire,

ma per me già vivo come un luogo.…

…una manciata di papaveri

buttati nella lontananza di un campo di grano dorato…

un mare ondeggiante sotto la sferza del vento

che scioglie il volo dei petali rossi…

nell’azzurra serenità del cielo luminoso di sole…

Dai ali ai tuoi sogni e cerca nel tempo la misura dei

gesti incompiuti.”

Richiuse il libro, se lo strinse al petto e con gli occhi velati di pianto sussurrò…

– Lo farò!…Mio ritrovato amico… lo farò.

… e da allora nulla fu più come prima nella vita di Emma.

 

***

 

Il bambino lasciò correre avanti i compagni e, con la scusa d’allacciarsi le scarpe, si fermò proprio a ridosso della siepe di Emma la quale, giusto in quel momento, tentava di soffocare un principio d’incendio. A vederla così, con la tuta fumante e mezzo-bruciacchiata, non gli pareva poi pericolosa come tutti si davano da fare a dipingerla, anzi… provò tenerezza per quella buffa signora dall’aria malconcia. Si fece coraggio e…

– Buonasera signora… Cos’è successo?… Serve una mano?

Emma, corrucciata e diffidente, allungò subito gli occhi alla siepe a cercare la fonte di quella voce “impertinente”.

– Chi sei?… –, chiese inarcando le sopracciglia – … non ti hanno detto di stare lontano da questa vecchia strega?

– Oh sì…  –, rispose il ragazzino –  … ma io non obbedisco mai… E poi non mi sembri così pericolosa come dicono… Sbaglio?

Emma si avvicino al bambino con fare burbero…

– Dicono questo di me?…

– Si, questo e tante altre cose, ma io non ci credo… Anche se ti sforzi di fare la voce grossa e gli occhi cattivi!

La donna, così smascherata, cercò di recuperare un minimo di contegno riassestandosi gli occhiali sul naso e forbendosi le mani unte di grasso con una pezza ancor più unta…

– Vuoi davvero aiutarmi?

– Si!… Cosa stai costruendo?

– Una macchina per… Ehm… una macchina!… –, rispose lei con l’aria di chi vuol nascondere un segreto.

– E a che ti serve?…

– Per un viaggio… un lungo viaggio…

– Bello!… E dove devi andare?…

– Buon Dio, quante domande fai… Come ti chiami?…

Quanti anni hai?

– Marco, signora… ma tutti mi chiamano Leonardo per via delle cose che m’invento di costruire… Faccio dieci anni il 31 di dicembre… Non ci credi?… Sono del cinquantanove…

Nell’udire quel nome e quella data la donna impallidì e sfilò gli occhiali dal naso, infastidita, come se gli impedissero di mettere a fuoco un ricordo.

– Signora… non le piace il mio nome?

– Oh sì, sì… è un bellissimo nome… –, si affrettò a rispondere Emma con un filo di malinconia negli occhi – conoscevo un ragazzo, molto tempo fa… Si chiamava Marco… e lo chiamavano Leonardo, come te…

– Hai cambiato voce… Gli volevi bene?

Emma, deglutendo vistosamente, lasciò cadere nel vuoto quell’imbarazzante domanda, ma non ignorò le attenzioni della piccolo…

– Vuoi davvero aiutarmi a costruire la… macchina?

– Certo!… Ma non vuoi dirmi dove devi andare con quella macchina?

– Laggiù… –, disse indicando col braccio teso ad indice

…dove le nuvole incontrano l’orizzonte, rosse di sole… dove il cielo si tinge d’oro, per un solo istante. Un solo, magico istante… Un giorno arriverò a varcare quella soglia dorata… e scoprirò dove vanno a morire i sogni…

– Che cosa cerchi in quel posto?

– Cerco un gesto incompiuto… cerco un amico.

– Un gesto incompiuto!… Non capisco… Cos’ è successo fra te e il tuo amico?

– Per la stima interessata dei più ho rinunciato al suo vero e sincero affetto… Questo non mi perdono. Un giorno ho cominciato a vederlo con gli occhi grigi e spenti degli altri… ho cominciato a dare un senso diverso alle sue parole… un peso diverso ai suoi gesti, così che un bacio appena osato mi parve… Beh, questo è un segreto. Allora!…Vuoi davvero aiutarmi a costruire la… macchina?

– Certo!

– E i tuoi!… Cosa diranno i tuoi?

– Non lo sapranno!… M’inventerò una storia, una scusa…

– Cioè una bugia!… Ti pare bello?

– No!… Ma se non le dici ai genitori le bugie… a chi le dici?… A un’ amica è peggio, non trovi?

… rispose prontamente Marco sfoderando un sorriso furbo e disarmante. Emma sospirò…

– Amica!… Mi metterai nei guai tu… Hai detto che ti chiamano Leonardo, vero?… Ti aspetto domani pomeriggio…

Dopo i compiti, intesi?… E non chiamarmi ‘signora’… mi chiamo Emma… solo Emma.

– Intesi!… Emma.

… rispose Leonardo prendendo la via di casa. Di suo Emma si abbandonò dolcemente, con cuore leggero, all’idea, alla sensazione d’aver già vissuto quelle cose…

 

***

 

“…A volte pare che la vita si prenda gioco di noi,

magari offrendoci un affetto cercato, desiderato… sognato

da sempre, al momento sbagliato…

In realtà quell’affetto ci è donato, magicamente,

nel momento in cui abbiamo il “cuore giusto” per viverlo,

ma sta a noi il coraggio di viverlo…”

(una semplice riflessione)