I racconti del Premio letterario Energheia

Il grissinaio, Flavio Bidolli_Frascati(RM)

Racconto finalista venticinquesima edizione Premio Energheia 2019 

Da lontano sembrava un cubano. Un gigantesco sigaro cubano stretto fra i denti di un vecchio.

L’uomo osservava dal ponte le montagne, sotto di lui l’acqua scorreva veloce, pulita, effervescente.

I capelli brizzolati erano liberi di assaporare la frescura della sera, le braccia incrociate sul parapetto in pietra, la schiena leggermente protesa in avanti, al sicuro sotto un leggero cappotto marrone.

Sopra le Alpi il cielo era terso e i colori del tramonto ancora si contendevano l’ombra del vecchio con la fiacca luce dei lampioni. Dalla tasca della giacca faceva capolino un cartoccio aperto, l’uomo vi infilò la mano estraendone un altro. Come poteva aver già finito il sigaro, non lo aveva nemmeno acceso. I denti si chiusero in una sinfonia croccante: il grissino artigianale si spezzò salando le labbra aggrinzite dl vecchio.

Una coppia di passanti lo salutò, rifiutando con un sorriso l’offerta dell’uomo che tornò a studiare il panorama alpino.

Masticava lentamente, più che per degustazione non voleva rovinarsi il concerto: i passi dei passeggiatori sui sampietrini, il fluire fresco del fiume, il soffio sereno di quel venticello serale.

Spettatore malinconico, masticatore solitario, vecchio accantonato da un presente troppo moderno, romantico gentiluomo. Continuava a tenere il grissino come fosse un sigaro e sorrideva alle montagne fra un morso e un altro. A vederlo sembrava un sorriso ironico, come se detestasse il Nord e fosse stato costretto a viverci, un marinaio spinto agli antipodi, se non fosse che sembrava davvero gradire quel salato tipico piemontese.

S’incamminò verso il tramonto, lasciandosi le montagne sulla destra. Mani in tasca e grissino fra i denti, passo lento, rilassato, passeggiava. Una penna d’aquila nera spuntava dal taschino superiore della giacca, simbolo degli alpini.

Che fosse un reduce della Seconda, bersagliere alpino, magari della leggendaria Julia o magari partigiano. Una spilla americana era fissata sullo stesso taschino della penna, un emigrato ritornato in patria quindi, oppure un soldato entrato in stretto contatto con gli alleati, o ancora una semplice, vecchia commemorazione degli aiuti ricevuti da oltreoceano dopo la guerra.

L’uomo si aggirava ora per le vie della città, guardava gli edifici e i negozi chiusi come un pittore rinascimentale osserverebbe oggi dei graffiti, non con disprezzo, non con ammirazione, solo con nostalgia, nostalgia dei tempi andati, vissuti, conosciuti, preferiti.

Si fermò davanti un forno, proprio accanto al supermercato  cittadino, girò le chiavi nella serratura ed entrò nel suo negozio. L’insegna de “Il Grissinaio”, dipinta sullo stipite della porta, aveva ormai perso il suo rosso sgargiante nel buio della sera, le mura esterne gialle e la porta bianca al sole erano ormai dello stesso grigio, ma, dalle vetrine, tarallucci di ogni tipo e gli immancabili grissini erano distinguibili dalla strada.

La mattina dopo il pane fresco avrebbe accompagnato l’accoppiata di salati, l’uomo appese la giacca all’ingresso e passò affettuosamente la mano sulla cornice di una vecchia foto: volti sorridenti in bianco e nero ed uniforme guardavano l’obiettivo, avevano tutti un cappello d’Alpini, tutti piume nere, solo uno l’aveva bianca ed era in piedi di lato. L’uomo sospirò, vecchi ricordi riaffioravano nella memoria, vecchie emozioni, vecchie avventure, tutto passato. Restò alcuni istanti paralizzato ad osservare la fotografia, come se si accorse solo in quel momento di essere vecchio… no, di essere stanco. La fede all’anulare luccicava flebilmente nella penombra del negozio, poteva chiudere tutto e godersi la pensione in attesa di raggiungere lei. Sotto il vetro, sfiorato dalla mano, c’era ora invece un volto di donna. Molto giovane, con uno sguardo forte, intelligente e un sorriso denso, caldo, quasi materno, i capelli erano sciolti e le ricadevano sulle spalle, asimmetrici ma perfetti, la moglie? Una figlia?

L’uomo superò il bancone e controllò che l’ingresso al forno fosse chiuso, varcò un’altra porta e salì una scala. I gradini gli risultavano faticosi, ostacoli impegnativi non adatti alla sua età. Si fermò un momento per prendere fiato, appoggiandosi sul corrimano di legno. La parete era spoglia, non c’era nulla che potesse guardare per impegnare gli occhi, per riprendere fiducia. Si portò alla bocca l’ultimo grissino rimasto, eppure durante la camminata dal ponte non aveva avuto difficoltà.

Un paio di morsi e riprese a salire. Arrivato in casa si accasciò sulla poltrona in salotto, la stanza muta vantava un’armonica sistemazione dei mobili, poltrone, divano, tavolo, tavolino e cassepanche  erano sistemati in modo da non ostacolare mai il passaggio ma da essere sempre a disposizione in caso il padrone di casa sentisse il bisogno di appoggiarsi da qualche parte. Centrini bianchi ricamati a mano impedivano alle suppellettili il contatto con i mobili, un lampadario elettrico pendeva dal soffitto, un vecchio telefono a rotella, circondato da un paio di candelabri, era posto sul bel mobile in legno scuro attaccato al muro, vicino a un piccolo quadernino con numerosi fogli sporgenti dalle pagine. Su di esso un grande specchio ovale occupava la parete riflettendo l’immagine dell’uomo, comodamente sprofondato nel tessuto bordò della poltrona. Sollevò una mano da un bracciolo in cerca del tavolino, il grissino ancora fra i denti, le dita si strinsero intorno alla cornice che cercava: l’uomo era ritratto insieme ad un compagno, entrambi in mimetica, fucile in mano, cappello e penna in testa. L’uomo annuì grave, sospirò e ripose la foto facendo attenzione a non colpire i pezzi della scacchiera sullo stesso tavolino.

Studiò brevemente la posizione, erano anni che contemplava quella combinazione di pedoni, alfieri, cavalli, regine e re, convinto che ci fosse un modo, anche uno soltanto, in cui il nero potesse vincere. Ma non riusciva a trovarlo. Un incrocio di mosse con cui scamparla oppure almeno arrivare alla patta.

Convinto esistesse, lasciava la scacchiera ferma a prender polvere giorno dopo giorno, senza che le venisse permesso ospitare una nuova partita.

Portò una mano al cartoccio, vuoto, ma alzarsi era fuori discussione, prese in mano invece il suo orologio da taschino. La catenina d’argento si era tutta attorcigliata su se stessa, delicatamente la liberò dai nodi e aprì il coperchio.

-Ciao.-

Il suo sussurro fu coperto dal ticchettio delle lancette, sopra il quadrante il volto d’una donna gli rideva con gli occhi. Stessi lineamenti della ragazza della foto precedente, questa doveva essere la moglie allora. Le immagini riprendevano colore nei ricordi: i capelli castani legati in una cipolla o sciolti a coprirle la fronte, gli occhi tabacco, determinati, rassicuranti, le guance morbide imbiancate dalla farina, arrossate dal contatto fra i loro corpi. Le ciglia corte, nerissime, i denti bianchissimi, golosi di grissini.

-Domani torna.-

Come gli sarebbe piaciuto che lei potesse davvero sentire le sue parole, pronunciate con un filo di voce.

Fece per riporre l’orologio ma si perse nello sguardo della donna. Esitò. Tentennò. Se stesse trattenendo le lacrime a fatica era impossibile dirlo, sul suo volto era ancora acceso quel sorriso… Si notava chiaramente, però, il cambiamento, il suo era ora un sorriso triste e malinconico, ma la sua espressione era tutt’altro che disperata o sconfitta.

Ricordò ancora una volta.

Lui era solo un ragazzo e capiva poco e niente di economia o di politica ma una cosa gli era chiara: mancava il lavoro e mancava il pane per la sua famiglia. Lui e il padre ignoravano il significato di parole come “depressione” o “borsa” e nemmeno erano interessati a conoscerlo, insieme a molti altri partirono, quindi, alla volta del Nord. Salutarono gli zii alla stazione, loro sarebbero andati per mare, oltreoceano, salutarono la mamma alla stazione, brava donna, pragmatica ma sensibile agli addii e salutarono anche i fratellini alla stazione, lui e il padre erano i loro eroi.

Una nuova, forzata, vita cominciava per lui e il suo vecchio, ma la speranza di riuscire a sostenere la famiglia bastava loro per resistere al distacco da tutto ciò che avevano sempre conosciuto e amato.

L’uomo sollevò il capo e inspirò profondamente, si accarezzò la barba rasata da poco, rievocare la partenza gli era sempre difficile, si sistemò un cuscino dietro la schiena e tornò a guardare la moglie.

Annuì e continuò a ricordare.

Molti andarono in Lombardia, molti in in Trentino, loro “scelsero” il Piemonte, altri si avventurarono oltre le Alpi, in Germania.

Il lavoro in fabbrica era duro e noioso, spedivano quasi tutto il loro doppio salario alla mamma, padre e figlio tenevano pochissimo per se. La vita era dura e la storia preoccupante, il padre non simpatizzava proprio per i fascisti, non tanto per idee, lui poi non pretendeva di capire la politica, quanto per metodi. Non era un uomo colto ma si considerava un buon cristiano: qualunque cosa si desideri o a qualunque cosa si aspiri, chi ammazza non è nel giusto, il fine, diceva, non giustifica i mezzi.

Non fece comunque in tempo a mettere in guardia il figlio dai fasci che lo prese la Pellagra, la malattia lo strappò alla vita.

L’uomo emise un controllato colpo di tosse, sapeva che tra poco la sua memoria avrebbe affrontato i momenti più duri della sua vita, ma sapeva anche che presto quelli più felici li avrebbero sostituiti, questo gli diede la forza per continuare.

Pensò più volte di ritornare al Sud dopo la morte del padre, ma così facendo la famiglia sarebbe stata ancora più in difficoltà. Decise di rimanere, di continuare il lavoro in fabbrica. Solo, in lutto, un ragazzo piccolo piccolo in balia del mondo. Il conforto dei compagni operai che riconoscevano i suoi sforzi, il fornaio che ogni giorno gli offriva generosamente un pasto in più e l’affetto delle lettere dal meridione però, accrescevano la sua determinazione a continuare.

Infine però anche la fabbrica chiuse e i più finirono in Germania, lui, stanco, solo, affamato, non poteva nemmeno più permettersi il biglietto del treno per tornare, fu cacciato dall’affittuario e si ritrovò senza nulla in mezzo alla strada, senza nemmeno più la consapevolezza, sua forza più grande, di star aiutando la sua famiglia.

Il cielo era sereno quando lo incontrò di nuovo. La situazione in cui versava non gli permetteva di godersi nemmeno il sole primaverile, la polvere gli sporcava le gote, era molto dimagrito, i vestiti sporchi e rotti. Lui però lo riconobbe, era il fornaio. Lo fece alzare dal marciapiede su cui era finito a mendicare e lo portò con se al suo negozio.

L’insegna rossa riaccendeva in lui la speranza di ricominciare, “Il Grissinaio”, suo nuovo lavoro, sua nuova casa. Il fornaio era ormai vecchio, la moglie malata, aveva bisogno d’aiuto per portare avanti l’attività. Il Grissinaio divenne il suo porto sicuro, venne salvato dalla strada, aveva di nuovo la possibilità di aiutare la sua famiglia, e poi c’era lei.

Con i capelli castani legati e gli occhi tabacco, sgranocchiava grissini mentre infornava il pane.

La figlia del fornaio non aveva un’età dissimile da lui, fu lei a insegnargli il mestiere, lo comandava a bacchetta mentre prendeva la farina, cuoceva il pane, o preparava i grissini. Per un certo periodo gli sembrò di star facendo tutto da solo, che il lavoro in fabbrica a confronto fosse una bazzecola.

La regina del Grissinaio comandava la truppa dall’alto di una sedia: lì è ancora sporco, c’è della farina a terra, non è ancora cotto, inforna, tira fuori, impasta, più acqua, più energia e via dicendo.

Fu impossibile non innamorarsene.

I momenti più felici della sua vita gli scorrevano davanti agli occhi, inafferrabili, sfuggenti, avrebbe voluto ricordare tutto, ogni dettaglio, ogni pagnotta o grissino preparato assieme, ogni bacio e carezza con le mani impiastricciate di farina, ogni sorriso e ogni risata.

Si toccò l’anulare, il loro matrimonio fu celebrato nella sua terra, in Basilicata, c’era tutta la sua famiglia, la madre pianse di commozione, i fratellini, ormai uomini e donne anche loro, li riempirono di regali, cibo e piccoli prodotti d’artigianato per lo più, fu il giorno più bello della sua vita. Ma il tempo passava veloce, troppo veloce  la storia non diede loro il tempo di festeggiare che con le nozze venne anche la guerra.

Ritornati in Piemonte la lettera d’arruolamento non tardò ad arrivare, quella fu la prima occasione in cui vide la moglie arrabbiata, lei voleva bruciare quella carta, voleva strapparla, cancellarla dall’esistenza. Come avrebbero fatto con il negozio, come avrebbe fatto lui, suo marito, a tornare da lei, lui faceva il pane che ne sapeva di guerra e di battaglie. Niente ovviamente, come tutti del resto.

L’uomo lanciò uno sguardo alla foto vicino alla scacchiera, fu grazie a lui che riuscì ad entrare come bersagliere negli alpini. Cliente abituale del Grissinaio, diventarono ben presto amici inseparabili, condivisero paura, lacrime e sangue per tre lunghi anni, fu lui che lo introdusse agli scacchi, giocavano una piccola scacchiera da viaggio, quando la guerra lo permetteva. Incolumi dalla Grecia, l’amico perse un braccio in Russia, ebbero la fortuna di trovarsi in licenza durante l’otto Settembre.

Entrambi agli arresti da parte dei fascisti di Salò, lui ebbe l’opportunità di ritornare al Grissinaio e riprendere l’attività insieme all’amata. Ma la guerra non era finita e non la si poteva ignorare come fosse stata solo una puntura di zanzara fastidiosa. Ben presto il Grissinaio divenne un ritrovo di partigiani, sua moglie e il suo migliore amico si davano un gran da fare contro i fascisti, lui invece avrebbe volentieri preferito ritornare a fare il pane e i grissini senza usarli per nascondere le munizioni dei fucili.

Le ombre delle battaglie passate e l’incertezza del futuro travagliavano il suo animo e i suoi pensieri, la moglie, gli amici,  erano con lui ma le loro menti erano altrove, ritrovare la felicità perduta sembrava sempre più impossibile.

Poi finalmente nacque sua figlia. La moglie rallentò un po’ con le attività partigiane, gli alleati avanzavano nel Nord della Francia, ma la guerra era ben lontana dal terminare.

Con la bambina le difficoltà aumentarono, ma nuovi sprazzi di gioia riuscivano a rompere lo oscurità della guerra, Il Grissinaio era diventato sempre più frequentato, spesso clienti abituali, amici, conoscenti e compagni venivano a fare visita alla coppia portando sempre momenti di allegria. Lui lavorava senza sosta al forno, lei si occupava della piccola. Forse le cose sarebbero potute tornare come prima, forse la guerra sarebbe finita invece. Magari finita presto.

Ma di nuovo il suo porto sicuro, il suo mondo protetto venne sconvolto, lui non né era stato informato, con la piccola di appena un anno, la moglie aveva ripreso ad agire con i partigiani e ben presto coinvolse anche lui in una nuova sortita ai fascisti.

Durante l’assalto di quella notte il numero di nemici si rivelò più alto del previsto, il gruppo di sua moglie e del suo migliore amico fu sorpreso e circondato. Il suo attacco era andato invece a buon fine, il carico di armi a cui miravamo era stato depredato con successo e, come da piano, rientrarono per ricongiungersi con gli altri e distruggere il tutto.

Si accorsero dei fascisti solo troppo tardi, quando ormai erano ad un passo dai soldati nemici che accerchiavano il gruppo della moglie. A quel punto i loro compagni, ormai scoperti e riconosciuti, non consegnarono le armi e ingaggiarono battaglia, urlando a squarciagola agli altri di scappare, che li avrebbero coperti.

L’uomo strinse forte l’orologio, lui non aveva intenzione di scappare, non con le persone a cui teneva di più in balia dei nemici.

Quando si accorse dell’assenza della moglie fra i fuggitivi tornò subito indietro, ma i compagni gli urlavano di fermarsi, di pensare alla bambina, lui non era stato riconosciuto, dovevano ripulire il Grissinaio di tutte le loro tracce o sarebbe stata la fine, fidati dei compagni urlavano.

Lo presero di forza e lo trascinavano via, lui era l’unico con una figlia lì, l’unico con ancora qualcosa da perdere. Perché sua moglie non era con lui, perché aveva scelto la guerra anziché lui, che paradosso. Non voleva crescere una figlia in un mondo dominato dal fascio e dalla svastica aveva cominciato a proferire quando lui tornò dal fronte. Però era disposta a lasciare la bambina crescere senza un genitore, che sciocchezza.

Quella notte lei non tornò. Lui aspettava cullando dolcemente la piccola. Pregava, aspettava, invano. Neanche il suo amico tornò, come molti altri. Non vennero mai ad indagare al Grissinaio, nessuno ritrovò mai il corpo della moglie. Avere una madre morta eroina di guerra non è una consolazione, anche suo padre sarebbe stato d’accordo. La forza stava esaurendosi, senza sua moglie come poteva andare avanti.

Quella notte pianse, forse per la prima volta, credendo di aver perso tutto, ripensò anche alla sua famiglia nel meridione, non aveva loro notizie dal ’43, non era più riuscito a contattarli, non sapevano di sua figlia. Sua figlia. La guardò nella culla che aveva costruito con la moglie. Dormiva. Stessi lineamenti, stessa espressione, aveva ancora qualcosa, c’era ancora speranza.

Qualche volta però, come quella sera, l’uomo continuava a chiedersi se quel sacrificio fosse stato davvero così necessario e più ci pensava più si convinceva del contrario.

Ripose l’orologio e decise di coricarsi. Passò vicino al tavolino e i suoi occhi volarono automaticamente sulla scacchiera. Restò fisso a guardarla per alcuni secondi poi mosse la donna attaccando un pedone nemico. Studiò quella nuova posizione, la sua regina nera era sotto presa da un pezzo avversario, quella mossa non recava alcun vantaggio apparente. Ma costringeva il bianco ad una mossa forzata, catturare, anche se lo avrebbe fatto volentieri. Mosse i pezzi sulla scacchiera. Risprofondò nella poltrona, mezz’ora dopo la partita era finita in parità grazie a quel gambetto di donna.

Erano anni che provava a risolvere quella posizione ma ora sembrava deluso dall’esserci riuscito. Il fine non giustifica i mezzi, lo diceva sempre suo padre.

-Credo smetterò con lo scacchi.-

Disse a bassa voce riponendo i pezzi, dopo anni, nella scacchiera. Pochi secondi dopo già non ci pensava più, si mise al letto e spense la luce sorridente: l’indomani avrebbe conosciuto il suo secondo nipotino.